
Un magnifico romanzo che descrive la quota di corruzione e amarezza intorno alle quali trova coesione, paradossalmente, l'aristocratica famiglia degli Uzeda. Introduz. Di Nunzio Zago.
1894 Nascono John Ford e Nikita Chruscev – Viene eseguito per la prima volta il Prélude à l’après-midi d’un faune di Debussy – Yersin e Kitasato isolano il bacillo della peste – Nasce la Banca d’Italia – I Vicerè, scritto fra Catania e Milano, viene dato alle stampe nel capoluogo lombardo dall’editore Galli – Al Teatro nuovo di Napoli esordisce il tenore Enrico Caruso – A Milano viene fondato il Touring Club Italiano – Emile Berliner lancia sul mercato il grammofono a disco
Nel momento in cui la storia siciliana si fa storia italiana, De Roberto affonda con gelido distacco il suo bisturi nel “decadimento fisico e morale di una stirpe esausta”, e se ne serve per rappresentare la cancrena di un’intera nazione. Il racconto si svolge tutto fra un testamento e un comizio: il primo apre il romanzo, testimoniando l’antico familismo feudale, il secondo lo chiude, dando voce alla mistificazione risorgimentale, al trasformismo, alla demagogia della nuova politica. Saranno le parole dell’ultimo erede della famiglia a segnare la pace fatta tra vecchio e nuovo: “Ora che l’Italia è fatta, dobbiamo fare gli affari nostri”.
Giuseppe, dinanzi al portone, trastullava il suo bambino, cullandolo sulle braccia, mostrandogli lo scudo marmoreo infisso al sommo dell’arco, la rastrelliera inchiodata sul muro del vestibolo dove, ai tempi antichi, i lanzi del principe appendevano le alabarde, quando s’udì e crebbe rapidamente il rumore d’una carrozza arrivante a tutta carriera.
Straordinario romanzo della letteratura popolare e colta italiana, sottovalutato dai suoi contemporanei, I Viceré è una saga epica di inaudita ricchezza, che esplora la storia e le vicende esistenziali dell'antica famiglia catanese d'origine spagnola degli Uzeda di Francalanza. L'opera, pubblicata nel 1894, costituisce il secondo volume d'una trilogia e si cala a pieno in un'epoca di rivolgimenti di cui De Roberto è tra i massimi interpreti. Considerato oggi un grande classico della letteratura italiana, è la storia di ogni tempo, ricca di agganci storici e narrazioni incrociate tra i personaggi, nello scenario storico di una Sicilia splendida e decadente.
In principio c’è De Roberto. Nel 1897, più di un secolo prima dell’esplosione del genere poliziesco nella letteratura italiana, uno dei grandi maestri del nostro Ottocento dà alle stampe un romanzo tutto imperniato sull’indagine indiziaria attorno a un caso scabroso ambientato in una signorile dimora sul lago di Ginevra. La facoltosa contessa d’Arda, legata al rivoluzionario russo Alessio Zakunine da una lunga, e ormai contrastata convivenza, muore con un colpo di rivoltella alla tempia nella sua stanza da letto, in una mattina d’autunno del 1894. Ad accorrere sulla scena, oltre al principe nichilista, la giovanissima slava Alessandra Natzichev, sua compagna di fede politica, e Roberto Vérod, scrittore inquieto, legato alla vittima da qualcosa di più che una calda amicizia. Si apre così un romanzo che sin dalle prime righe avvince il lettore in una morsa e lo trascina nel continuo oscillare tra due ipotesi contrapposte: delitto passionale o suicidio? A sciogliere l’enigma è chiamato un magistrato di lungo corso, Francesco Ferpierre, subito preda di un’ansia investigativa che, in assenza d’indizi inoppugnabili, lo porta ad aggrapparsi al suo collaudato intuito e alla capacità di intravedere i moti dell’animo umano. Saranno il suo sguardo inquisitore, i suoi dubbi e i suoi espedienti al limite delle regole, ad accompagnare il lettore nella ricostruzione di una vicenda nella quale magistralmente s’incarnano le contraddizioni e i dilemmi di quel fine secolo: le positivistiche certezze della ragione e il richiamo della fede in un Dio pietoso; l’inestinguibile lotta tra il bene e il male, tra l’ardore delle passioni e le convenzioni sociali, tra la tentazione intimista e l’afflato rivoluzionario. Sostenuto da una lingua capace di assecondare ogni sfumatura e ogni contorno dei gesti e dei pensieri dei protagonisti, l’intreccio inaugura uno stratagemma narrativo destinato a diventare un canone per tanta letteratura e tanto cinema successivi: quello dell’investigatore capace di immedesimarsi nei panni dei diversi personaggi, via via che la ricostruzione pare identificare nell’uno o nell’altro il colpevole del delitto o viceversa propendere per la pista del suicidio. Lo «spasimo» che accomuna tutti i personaggi finisce in tal modo per annidarsi anche nell’animo del lettore, fino all’ultimo imprevedibile colpo di scena. Pubblicato tre anni dopo I Viceré, Spasimo fu accolto con le curiosità e le polemiche riservate alle opere veramente innovative, per essere poi consacrato, nel corso del secondo Novecento, come il primo e più significativo esempio di romanzo investigativo italiano. «Stupisce la modernità di Spasimo, la sua originalità poliziesca – osserva Massimo Onofri nell’Introduzione – ed è proprio nella costruzione e nel formidabile intreccio del dramma giudiziario che sta la qualità prima del romanzo».
L'AUTORE
Federico De Roberto (1861-1927) nacque a Napoli da famiglia aristocratica e trascorse gran parte della sua vita a Catania. Scrittore d’ispirazione verista, ebbe come maestri Verga e Capuana, ed esordì nel 1889 col romanzo Ermanno Reali. Trasferitosi a Milano, fu introdotto da Verga negli ambienti letterari in cui conobbe scrittori, giornalisti, musicisti e uomini di teatro. Il suo capolavoro, I Viceré, considerato uno dei maggiori romanzi dell’Ottocento italiano, è del 1894. Autore di numerose novelle, raccolte in più volumi a cavallo dei due secoli, De Roberto scrisse anche diverse opere critiche, tra cui una monografia su Leopardi. Morì a Catania nel 1927.
Un giallo pieno di colpi di scena scritto da uno dei maestri del Verismo. L'assassinio della contessa D'Arda, in una villa sul lago di Ginevra, dà il via a un'indagine serrata, condotta dall'esperto ma anche spregiudicato giudice Francesco Ferpierre. Sullo sfondo, un affresco della società di fine Ottocento. La soluzione del caso sarà tutt'altro che scontata e riuscirà a tenere con il fiato sospeso il lettore fino all'ultima pagina.
"I Viceré si iscrive a mio avviso nel capitolo delle grandi saghe che con la potenza di un affresco narrano alcuni decenni di storia attraverso le vicende di una famiglia, di una stirpe, di un ceto sociale, assunti come monade del mondo che li circonda. [...] I Viceré è una disperata, sofferta, dolorosa confessione. La confessione di un essere umano che si identifica totalmente con una precisa società, e ne racconta i fatti e i misfatti con una oggettività insistita e impietosa; come un serial killer che una volta preso e smascherato svuota finalmente il sacco dei suoi delitti, rivelandone addirittura di insospettati. [...] I Viceré è dunque davvero un lungo, dolente monologo. Dal suo senso più profondo possono anche distrarre i fatti, i conflitti, i personaggi che ne animano le pagine, e che nel romanzo tengono desta l'attenzione, incuriosiscono, e addirittura appassionano. Ma il più autentico filo conduttore è quello: il dolore, forse anche la disperazione, che ne fanno il sofferto epicedio di questa società di naufraghi della Medusa, atavicamente impotente, alla quale l'autore è atavicamente legato e alla cui sorte si immola." (dalla prefazione di Luigi Lunari)
Terzo e ultimo volume del ciclo degli Uzeda, "L'imperio" riprende il personaggio principale de "I Viceré", l'ambizioso e cinico Consalvo, e ne segue l'ascesa politica a Roma, in qualità di deputato e di ministro. Sinora poco letto anche a causa dello stato provvisorio in cui l'autore lasciò il dattiloscritto tra le sue carte (prima della pubblicazione postuma nel 1929), il romanzo di De Roberto ritorna oggi in un nuovo testo criticamente rivisto che sana le incongruenze delle edizioni precedenti, accompagnato da un commento che per la prima volta fa luce sui tantissimi riferimenti polemici alla corrotta politica liberale di fine Ottocento e lo presenta ai lettori in tutta la sua statura di grande classico. Arricchisce il volume un'ampia introduzione del curatore, Gabriele Pedullà, dove, a partire da "L'imperio", l'intera trilogia degli Uzeda viene riletta retrospettivamente alla luce dell'inesausta pulsione a smascherare la violenza dei rapporti di forza - nella coppia, nella famiglia, nell'arena pubblica - che accompagnò De Roberto per tutta la vita.
Il ciclo in quattro volumi dell'"Amica geniale" di Elena Ferrante è un successo globale e trasversale: più di sette milioni di lettori in tutto il mondo, travolti da un irresistibile piacere della lettura, assediati dal bisogno di divorare la quadrilogia, affascinati da un plot che dà forma alle storie di Elena e Lila, di chi va e di chi resta. Con "L'amica geniale", Napoli e l'Italia si propongono come un repertorio di storie della nostra ultramodernità globalizzata. Perché nell'intreccio di locale e globale in cui oggi viviamo, Elena e Lila, due bambine che racchiudono in sé la speranza e l'angoscia del futuro, sono un'equivalenza del destino: nelle nostre vite nomadi e sradicate, chi va è chi resta. "Elena Ferrante. Parole chiave" si rivolge allo stesso pubblico trasversale e composito a cui hanno parlato le storie dell'"Amica geniale". Questo libro è stato pensato come un percorso tematico per parole chiave: segnali luminosi che sintetizzino gli aspetti multiformi della scrittura di Ferrante e ci guidino nel labirinto di questo successo internazionale.
L'adolescenza è il tempo in cui si misurano gli spazi: del mondo fuori e dentro di sé. Ecco il motivo per cui Emilio si aggira per Nuoro sentendosi una "creatura di un mondo diverso gettata per palese ingiustizia in un ricettacolo di barbarie". Forse perché arriva da Oristano, forse perché è ricco, forse perché è figlio dell'ingegner Corona, che ha costruito mezza Sardegna. Pasquale Cosseddu, invece, è "la Fogna": indossa maglioni dozzinali, in testa ha un groviglio di capelli sporchi, e puzza terribilmente. Solo quando si arrampica sugli alberi o si rotola nelle foglie la sua vera indole - di capra, o di angelo - si rivela. Non c'è ragione al mondo per cui debbano diventare amici. Ma quando si ritrova Cosseddu come compagno di banco, Emilio intuisce, e volontariamente sceglie, la sua maledizione. Alessandro De Roma affronta di petto una storia colma di cattiveria e di dolcezza: le prove generali della vita adulta. La Sardegna urbana degli anni Novanta, lontana dal folklore, fa da sfondo a un romanzo sottile nello scavo psicologico, che parla alla parte più profonda di tutti noi: quella che - per convenienza, vergogna, o semplice paura - preferiamo tenere nascosta.
Se un romanzo è un edificio a più piani, che succede la volta in cui un autore scopre di aver perso le chiavi del portone? O meglio, quando capisce che, ad avergliele rubate, è stato uno dei suoi personaggi? È questa la miccia che innesca "Quando tutto tace". Qualche riga, e il buffo angelo caratteriale spedito a salvare dal suicidio una celebrità dello show business caduta in disgrazia - chiede conto all'autore del suo ruolo e delle sue azioni. È l'impasse di qualche pagina che, a poco a poco, squarcia il sipario delle apparenze, aprendo a un cammino doloroso verso la verità. In questo gioco, Alessandro De Roma - abbandonando per una volta l'impianto tradizionale del romanzo - ci propone una riflessione sul mestiere di scrivere: un personaggio non esiste, neanche nella finzione, se il suo creatore non è disposto a stanarne fino all'ultimo segreto; e insieme una lettura accorata e visionaria dei nostri giorni: un'epoca in cui il reality supera la realtà e la parola, svuotata di significato, si riduce a un silenzio disperato in cui tutti, prima o poi, rischiamo di perdere le chiavi.
L'undicenne Pietro Stefano Mele è un ragazzino qualsiasi, che ancora non sa come un piede messo in fallo possa cambiare tutta una vita. Quando la madre scivola sbatte la testa su uno scoglio, inizia una lunga battaglia con il proprio senso di colpa. Il padre, Seb, dall'esasperato egocentrismo, riversa su Pietro la responsabilità dell'accaduto e lo abbandona nel piccolo borgo sardo di San Leonardo de Siete Fuentes, da nonna Sircana, che fino a quel momento è stata, per il nipote, solo una sconosciuta. L'anziana vive in una casa ai confini del bosco e non pare avere alcuna intenzione di aprire il suo mondo a Pietro. Tuttavia, giorno dopo giorno, tra i due nasce un'intesa profonda. Il romanzo di una grande voce letteraria, la storia della formazione alla vita del ragazzo selvaggio che è in ognuno di noi.
Il parigino Antoine è seduto in un ospedale di provincia in attesa del responso: sua sorella è sotto i ferri, non si sa se ce la farà. Ha avuto lui l'idea di portare Mélanie nella casa della loro infanzia per festeggiare i quarant'anni di lei, una casa che avevano abbandonato dopo la morte della madre trent'anni prima. Quanti ricordi ha messo in moto questo breve weekend, quante cose taciute, quante sorprese, fino all'ultima rivelazione che sua sorella stava per fargli quando ha perso il controllo dell'auto... Mentre aspetta Antoine fa un bilancio della sua vita: la moglie che l'ha lasciato, i figli adolescenti e incomprensibili, il padre anziano che lo tiranneggia e poi il grande interrogativo sul segreto di Mélanie. Soffocato da un passato dal quale non riesce a liberarsi, Antoine riceve un aiuto del tutto inaspettato da una donna che incontra in ospedale, bella, vitale e con un mestiere molto particolare: l'imbalsamatrice. Anche lei ha dei segreti che l'hanno portata a fare un lavoro così insolito. E grazie a lei, che con la morte ha un rapporto quotidiano, Antoine imparerà a vivere di nuovo.