
Dopo "Le donne", la biografia romanzata di Frank Lloyd Wright, torna uno dei più caustici e brillanti scrittori americani contemporanei con un breve romanzo sull'inestinguibile tema del contrasto fra Natura e Civiltà. Una sera d'autunno nel 1797, alcuni cacciatori catturano un ragazzo vagabondo, nudo, sporco e irsuto, in una foresta del Sud della Francia. Sono tutti commossi, affascinati dalla scoperta di questo "prodigio" che sembra essere sprovvisto di anima e ragione come un animale. Chi è quel "ragazzo selvaggio", sfida concreta al secolo dei Lumi? Trascinato da un orfanotrofio a un salotto come un mostro da fiera, sarà presto abbandonato dai suoi tutori alla sua incurabile natura selvaggia. Solo il dottor Itard, dell'Istituto dei sordomuti di Parigi, s'intestardisce nel credere che di questo "animale" saprà fare un uomo, e per anni il ragazzo selvaggio, ribattezzato Victor, subirà l'apprendistato della civilizzazione. Un romanzo dove T.C. Boyle rivisita la storia di Victor dell'Aveyron, già resa nota dal celebre film di Truffaut.
Boyle ci porta all'interno dei ristoranti alla moda di Manhattan, ossessionati dai critici gastronomici, e ci racconta le traversie di un cuoco e dei suoi piatti. Ecco i "reduci" degli anni Sessanta, i creatori di immagine pronti a tutto, o gli agenti hollywoodiani trafitti nel racconto "La mosca umana". O ancora i rampolli Wasp attratti, loro malgrado, dal "calore" delle altre etnie, o la solitudine degli ultimi machos. Non mancano storie intrise di dolore, di una tristezza mite e consapevole: dalla dolce follia di una vecchia signora maltrattata dal marito e dalla vita, all'improvvisa maturazione di un bambino che assiste impotente alla morte dell'amore dei suoi genitori...
Non si era fermata a uno stop, ecco tutto. Alex Halter andava di fretta quella mattina: l'appuntamento dal dentista, i compiti da correggere, la cena con Bridger, la vita normale di una ragazza trentenne, insegnante d'inglese in una scuola per non udenti, e sorda a sua volta. Una giornata come tante, insomma: fino a quello stop, al poliziotto che le urla di scendere, che l'ammanetta come se fosse la più pericolosa delle criminali - un'assassina, una terrorista - all'ingiustizia di tre interminabili giorni in prigione. E poi l'assurdità delle accuse: assegni scoperti, droga, rapina a mano armata e altri reati in giro per gli Stati Uniti, in posti che prima d'allora non aveva mai neanche sentito nominare. Quello che Alex non sa è che negli ultimi anni lei è stata l'inconsapevole vittima di un furto d'identità: c'è un altro "Alex Halter" là fuori, un truffatore che si è appropriato dei suoi dati anagrafici, della sua patente, delle sue carte di credito, della sua vita. Ormai è una questione personale e Alex, aiutata dal fidanzato, decide di risalire al misterioso individuo che le ha clonato l'esistenza. Inizia una caccia all'uomo adrenalinica attraverso gli Stati Uniti, un inseguimento senza pause in cui i ruoli non smettono di ribaltarsi: il truffato diventa truffatore, l'inseguito inseguitore, le identità sempre più liquide e intercambiabili.
Portsmouth, 1787. È la vigilia di Natale, e il ladruncolo John Jacob Turnstile, quattordici anni, è stato preso di nuovo con le mani nel sacco. Questa volta, può scegliere la sua condanna: un anno di galera o due come sguattero a bordo di una nave. Il ragazzo non ha dubbi: sceglie il mare. Il Bounty è un maestoso vascello della flotta inglese, e John, incantato dalla vastità dell'oceano, accoglie con tutta la meraviglia di cui è capace la nuovissima vita che gli si apre di fronte. Senza immaginare che sta andando incontro a uno dei viaggi per mare più travagliati di tutti i tempi, diventando testimone della più celebre rivolta della storia della marina britannica. Ma negli occhi spalancati e impazienti di un ragazzo, anche una pericolosa avventura come quella che porterà il Bounty a Tahiti, terra coloratissima dove il tempo sembra non essere mai cominciato, può diventare un'irripetibile occasione di crescere davvero, e imparare il significato dell'amicizia, della lealtà, del coraggio. Per assaporare, finalmente, qualcosa che somiglia molto alla libertà. Con questo nuovo romanzo, John Boyne ci regala una storia piena di emozione e di avventura, raccontando con straordinaria delicatezza il passaggio all'età adulta di un ragazzo che la vita ha messo dura prova.
Un gioco come tanti.
Una sfida tra ragazzi.
La distrazione di un attimo,
e niente è più come prima.
Estate. Tempo di vacanze, di corse in bicicletta, di partite di calcio con gli amici. Non per Danny. Niente è più lo stesso a casa sua dalla sera in cui la mamma rientra scortata da due poliziotti. C’è stato un grave incidente, però la mamma non ne ha colpa. Ma è proprio così? E chi è la ragazzina dai capelli rossi che si presenta a casa loro e dichiara di sapere come stanno davvero le cose? John Boyne ci regala una nuova storia lancinante, in cui ancora una volta sono i bambini a deviare il corso degli eventi. Una parabola moderna, scritta con la voce di un ragazzo di dodici anni, che si legge tutta d’un fi ato e non si cancella più.
Inghilterra, 1919. Tristan Sadler ha solo ventun anni, ma è già un veterano. Un tremito incontrollabile alla mano destra e un senso di colpa così devastante da sconfinare nell'odio di sé, sono questi i segni che l'esperienza atroce e insensata della Grande Guerra gli ha lasciato addosso e nel cuore. E anche se ha provato a rifarsi una vita inseguendo il sogno di diventare scrittore, il ricordo di un gesto inconfessabile non gli dà pace. Proprio per lenire le ferite di un passato che non vuole passare, Tristan decide di incontrare la sorella di Will, un commilitone giustiziato durante la guerra perché, obiettore di coscienza "assolutista", aveva gettato le armi e rifiutato di combattere contro altri esseri umani: c'è un plico di lettere che Tristan vuole riconsegnare alla famiglia del compagno morto. Ma l'incontro fra Tristan e Marian prende una piega diversa e inaspettata, quella di una struggente, urgentissima confessione. Perché il tempo delle menzogne e della violenza è finito, e per Tristan è giunta l'ora di fare i conti con chi è veramente. Con "Non all'amore né alla notte" John Boyne ci consegna una storia così vera e dirompente da fare più male dei fucili, un inno vibrante al coraggio di amare e di essere liberi.
Leggere questo libro significa fare un viaggio. Prendere per mano, o meglio farsi prendere per mano da Bruno, un bambino di nove anni, e cominciare a camminare. Presto o tardi si arriverà davanti a un recinto. Uno di quei recinti che esistono in tutto il mondo, uno di quelli che ci si augura di non dover mai varcare. Siamo nel 1942 e il padre di Bruno è il comandante di un campo di sterminio. Non sarà dunque difficile comprendere che cosa sia questo recinto di rete metallica, oltre il quale si vede una costruzione in mattoni rossi sormontata da un altissimo camino. Ma sarà amaro e doloroso, com'è doloroso e necessario accompagnare Bruno fino a quel recinto, fino alla sua amicizia con Shmuel, un bambino polacco che sta dall'altro lato della rete, nel recinto, prigioniero. John Boyne ci consegna una storia che dimostra meglio di qualsiasi spiegazione teorica come in una guerra tutti sono vittime, e tra loro quelli a cui viene sempre negata la parola sono proprio i bambini. Età di lettura: da 12 anni.
Russia, 1915. Georgij Jachmenev è figlio di un contadino e ha solo sedici'anni quando salva un membro della famiglia imperiale da un attentato. Dall'"izba" di legno nel remoto villaggio rurale di Kasin al Palazzo d'Inverno il passo è breve. Georgij diventa la guardia del corpo di Aleksej Romanov, l'unico figlio maschio dello zar Nicola II, destinato a ereditare il trono. Nei sontuosi corridoi del Palazzo d'Inverno, ornati di malachite e oro zecchino, Georgij diviene l'ombra fedele dello zarevic e assiste impotente alle ambigue trame di Rasputin, alle incertezze fatali dello zar, ai presagi della disfatta che presto travolgerà il regime. E soprattutto incontra l'amore della sua vita. Più di mezzo secolo dopo, la donna che da molti anni è sua moglie e si fa chiamare Zoja sta morendo in un ospedale di Londra. Georgij ripensa al loro amore indissolubile ma segnato dall'esperienza dell'esilio e dal peso di un segreto mai tradito.
Leggere questo libro significa fare un viaggio. Prendere per mano, o meglio farsi prendere per mano da Bruno, un bambino di nove anni, e cominciare a camminare. Presto o tardi si arriverà davanti a un recinto. Uno di quei recinti che esistono in tutto il mondo, uno di quelli che ci si augura di non dover mai varcare. Siamo nel 1942 e il padre di Bruno è il comandante di un campo di sterminio. Non sarà dunque difficile comprendere che cosa sia questo recinto di rete metallica, oltre il quale si vede una costruzione in mattoni rossi sormontata da un altissimo camino. Ma sarà amaro e doloroso, com'è doloroso e necessario accompagnare Bruno fino a quel recinto, fino alla sua amicizia con Shmuel, un bambino polacco che sta dall'altro lato della rete, nel recinto, prigioniero. John Boyne ci consegna una storia che dimostra meglio di qualsiasi spiegazione teorica come in una guerra tutti sono vittime, e tra loro quelli a cui viene sempre negata la parola sono proprio i bambini. Età di lettura: da 12 anni.
Questa è la storia di Cyril Avery, anima bella venuta al mondo nella profonda Irlanda cattolica del 1945 e fin da subito alla ricerca di un posto nel quale potersi sentire a casa. Dopo la nascita, la madre sedicenne lo aveva consegnato a una monaca redentorista perché si occupasse della sua adozione, e Cyril era finito a vivere in una casa ricca, sotto la tutela di due genitori eccentrici, non esattamente affettuosi: cresceva così un bambino alla deriva, ancorato al mondo solo grazie all'amicizia con Julian Woodbead, passione infantile, primo e decisivo innesco che gli avrebbe fatto intuire l'uomo che era destinato a essere. Diventato adulto, in una ricerca ininterrotta della propria identità, Cyril viaggerà tra l'America e l'Europa incrociando le grandi paure collettive che hanno contrassegnato il Novecento, la cupa violenza dell'Ira, il dolore inaffrontabile dell'Aids.
In una lettera indirizzata a un maresciallo dei carabinieri, Greta ripercorre un anno di supplenza nella scuola media di Meduno, paesino delle montagne friulane. Un anno passato tra lezioni, gite nei boschi, chiacchierate con colleghi frustrati da un mancato trasferimento, rapporti non sempre facili con la comunità del posto. Un anno ripercorso attraverso una confessione che è un viaggio nei sentimenti, alla riscoperta del nodo di repulsione e attrazione per una terra aspra, dove anche i ragazzi hanno negli occhi la durezza di leggi antiche e la purezza di un isolamento che le scie dei caccia militari, diretti nei vicini territori dell'ex Iugoslavia durante la guerra del Kosovo, sfiorano appena. È un anno che si rispecchia nel volto da bambino-adulto di "Occhiverdi", e nella silenziosa, cauta passione che quello stesso volto suscita in Greta. Ma l'anno raccontato, l'anno che è questo libro, è macchiato dalla tragica morte di un ragazzo al termine di una festa in riva al fiume. Si è trattato di un incidente o è stato vittima di un omicidio? Qualcuno avrebbe potuto fare qualcosa per impedirlo? È l'eco di questo evento misterioso continuerà ad aleggiare sulla vita dei protagonisti come un fantasma senza pace.
"Il profondo bisogno del magico spiega il successo di opere letterarie e cinematografiche come la saga di Harry Potter, che il giovane e promettente studioso di teologia Gianluca Bracalante ha voluto leggere e studiare con passione e competenza". (dalla Prefazione di Giuseppe Lorizio)"È un'originale, serio e affascinante tentativo di poter cogliere nel "fantasy" della saga di Harry Potter il "logos" dell'amore per il prossimo e della fede nel Dio che è Amore".(dalla Postfazione di Bruno Forte)

