
Il motorino che si rompe, la pioggia che le sferza il viso, il freddo che s'insinua tra i vestiti: Sandra Sahlmann desidera soltanto tornare a casa. Ma, non appena apre la porta, si sente sprofondare in un incubo. Suo padre si è impiccato. In un attimo, il salotto brulica di paramedici e agenti di polizia, che si affrettano ad archiviare il caso come suicidio. Soltanto la giovane Olivia Rivera ha l'impressione che qualcosa non vada. Innanzitutto Bengt Sahlmann non ha lasciato neppure un biglietto, pur sapendo che sarebbe stata la figlia a trovarlo. Inoltre lavorava all'Agenzia delle Dogane, da dove è scomparsa una grossa partita di droga sequestrata a un trafficante. Possibile che Sahlmann fosse coinvolto nel furto? O forse stava per smascherare il colpevole e perciò è stato messo a tacere? Nonostante il parere contrario dei colleghi, Olivia è determinata a scoprire la verità. E, avanzando da sola lungo un cammino costellato di velate minacce e di persone sparite nel nulla, ben presto si renderà conto che la morte di Bengt Sahlmann è solo la punta di un iceberg immerso in un mare nero di verità inconfessabili...
In "'Nzularchia" si racconta di una notte spaventosa, in un derelitto palazzo dentro il quale arrivano i tuoni e i lampi di una tempesta incombente. Gaetano deve fare i conti, testimone il giovanissimo Picceri', con il sopruso, l'orrore, la violenza subita da un padre camorrista e assassino che si aggira dentro una vestaglia consumata nelle stanze di quel palazzo. Siamo alla fine degli anni Novanta del Novecento, ma il tempo sembra contrarsi e aprirsi come in una tragedia antica. L'inconscio di Gaetano emerge a scatti, a conati dal buio e il padre Spennacore si erge torvo e torbido a testimoniare un dominio decaduto e al contempo intriso di colpa e di mostruosità. «Io sono la fame che ti fa diventare infame, io sono un infame, traditor, morto di fame.» 'Nzularchia è l'itterizia, la piaga, il segno che marchia una umanità condannata, senza identità, che sfida il labirinto per cercare un dolore originario e una colpa, o meglio ancora, un colpevole. Nessuno nel teatro italiano ha saputo, come Borrelli, toccare il confine, il limite e cercare dentro l'abisso del nulla per cavarne un'oratoria grande, barocca, da teatro fiammeggiante. Questa edizione dispiega insieme al testo in dialetto flegreo una traduzione dell'autore che non solo non tradisce la furia dell'originale ma talora crea una lingua nuova, un italiano non formale, pieno di falle e di neologismi, trasparente come il sogno di un demone.
Se c'è una cosa che Robert ha imparato, nella sua vita di giovane medico, è non smettere mai di farsi domande. Eppure, c'è una risposta che non è riuscito a ottenere. La risposta ad anni di impenetrabili silenzi e incomprensioni con suo padre. Ma adesso che lui non c'è più, forse è arrivato il momento di scoprire la verità. Robert ha appena trovato un passaporto ricoperto di sangue: appartiene a Wilhelm Peters, un agente delle SS. Robert conosce questo nome, è l'uomo a cui il padre ha rubato l'identità per fuggire dal nazismo. Accanto al passaporto c'è il ritratto di una giovane donna dagli occhi di ghiaccio. Robert non l'ha mai vista, ma sente che quella figura dal fascino misterioso conosce quello che il padre gli ha nascosto per tutta la vita, e vuole scoprirlo a ogni costo. Seguendo le fila di un passato che non gli appartiene, Robert intraprende un lungo viaggio, dal Canada alla Spagna, fino a quando non trova un nome: Therese Peters. E lei la donna della foto. È ancora viva e si è trasferita a Maiorca sotto una falsa identità per sfuggire al peso del suo oscuro passato. Perché Therese è una nazista che si è macchiata di orribili colpe. I suoi ricordi hanno il colore del sangue di vittime innocenti. Robert deve rintracciarla. Il male non può rimanere impunito, i colpevoli devono pagare per i crimini commessi. E la donna è l'unica che può sciogliere i suoi dubbi. Solo lei conosce un segreto che non è mai stato rivelato.
Un incontro casuale in treno si trasforma in una lunga amicizia. Uno scrittore importante, Giovanni Testori, ogni mattina svuota le sue tasche piene di storie davanti a un giovane scrittore condannato a far carriera in pubblicità. Sulle carrozze delle Ferrovie Nord spuntano i fantasmi di Luchino Visconti, Pasolini, Géricault, Alain Delon, Arbasino, Grünewald, Gadda, Rubens, papa Wojtyla, Montale, Tanzio da Varallo, Giulio Einaudi… E poi compaiono folle di poveri disperati e sublimi dementi, boxeur, prostitute, mariuoli, magnaccia, ragazzi sbandati e apocalittici disintegrati, i protagonisti dei primi libri di Testori. Personaggi reali e inventati che hanno popolato una vita piena di eccessi, sregolatezze, passioni assolute, misticismi erotici, bestemmie e preghiere, dannazioni e conversioni… In parallelo alle vicende dello scrittore lombardo emerge la trama di una metropoli in piena mutazione. Si scorge il passaggio dagli anni del terrorismo all’edonismo reaganiano. Ogni mattina una nuova puntata corre sulle linee di una ferrovia che attraversa la vita come una landa senza fine, una transiberiana domestica con moltitudini di pendolari scarrozzati su una città agitata dalla caffeina del profitto.
Luca ama il cinema ed è un critico, per così dire, dilettante, inesorabile, soprattutto nei riguardi dei film francesi. Un giorno, per qualche strano sortilegio, si trova a vivere proprio in un film, francese s'intende. Pur di sottrarsi agli odiati cliché cinematografici d'oltralpe, non esita a compiere soppressioni e a creare colpi di scena per alterare la trama e liberarsi dei personaggi. In fuga dopo le sue malefatte, attraversa un film di Bergman e, passando fra le scene di Woody Allen e le atmosfere felliniane, approda in una specie di studio cinematografico abbandonato e divenuto rifugio per altri sette transfughi cinematografici. Alleatisi, gli intrepidi partono alla sfida del mitico Filmondo, impantanandosi però in un film di gangster...
Pubblicato per la prima volta in Inghilterra nel 1939, "Il viaggiatore" cade nell'oblio per ottanta anni. Nel 2018 diventa un caso letterario internazionale. Otto Silbermann sta negoziando con un conoscente la vendita del suo elegante appartamento di Berlino quando alla porta di casa risuona un colpo secco seguito da un ordine: «Apri, ebreo» intima una voce. È il 10 novembre 1938, il giorno dopo la Notte dei Cristalli: i pogrom organizzati dal regime nazionalsocialista sono iniziati e Silbermann, ricco e stimato commerciante ebreo tedesco, sguscia fuori dalla porta di servizio, incontrando il suo destino di fuggiasco. «Berlino - Amburgo, pensò. Amburgo - Berlino. Berlino - Dortmund. Dortmund - Aquisgrana. Aquisgrana - Dortmund. E forse sarà sempre così. Adesso sono un viaggiatore. In realtà sono già emigrato, sono emigrato nelle ferrovie del Reich.» Succede proprio questo, Silbermann trascorre una settimana intera sui treni, sa di essere in trappola, ma non gli è possibile fermarsi o smettere di cercare un riparo. Esule in patria, uomo sopraffatto, emblema di tutte le anime rifiutate costrette a soccombere al meccanismo della paura, ora è nient'altro che un «insulto con due gambe». "Il viaggiatore" è il quadro, realizzato con drammatica lucidità, delle conseguenze della Kristallnacht, il romanzo di un giovanissimo scrittore - Ulrich Boschwitz aveva poco più di vent'anni - che ebbe il dono tragico della preveggenza e descrisse in presa diretta il crollo di ogni legge di umana convivenza.
Avete presente quei momenti della vita in cui qualcosa inizia a non funzionare, e in un attimo sembra trascinarsi dietro tutto il resto? Ecco, prendete Cristina: per una diabolica serie di coincidenze nel giro di ventiquattr'ore perde il lavoro, la casa e il fidanzato. E se pure non c'è dubbio che certi fidanzati sia meglio perderli che trovarli, scovarne uno decente dopo i trent'anni sembra un'impresa più disperata che cercare un lavoro. Così Cristina si ritrova a vivere con il fratello e i genitori - che da quarant'anni si amano pazzamente e si chiamano fra loro "Cip" e "Ciccetta" -, a dover fare "l'inviata imbranata" in una trasmissione televisiva in diretta nazionale... e, come se non bastasse, a scoprire che il giovane medico del pronto soccorso che sin dal primo incontro l'ha folgorata è una meta irraggiungibile. Nemmeno i consigli di Carlotta, l'amica maestra di yoga e dispensatrice di amorevole saggezza, riescono a impedire che Cristina perda definitivamente il baricentro, infilandosi in una serie di situazioni sempre più complicate. Ma la realtà non è mai come sembra, e la vita le riserva ancora molte, moltissime sorprese... Perché spesso è necessario andare a sbattere contro il muro delle proprie ambizioni, perdersi nella selva delle proprie paure, fermarsi a riprendere fiato, per scoprire che la felicità è nascosta dove non la andremmo mai a cercare. Solo abbandonando ogni certezza si impara a cavalcare l'onda, anziché farsene travolgere...
"Se c'è una cosa che detesto sono i proverbi.
Quello che odio più di tutti in particolare è: "C'è sempre una prima volta". Sì, è vero, una prima volta c'è sempre, ma di solito non è un granché.
Sono molto più importanti le ultime volte.
In realtà, la vita è solo un'incredibile collezione di "ultime volte".
L'ultima volta che ti cantano una ninna nanna, l'ultima volta che esci dal cancello della tua scuola, l'ultima volta che baci la persona che ami, l'ultima volta che ti addormenti senza bisogno del Valium.
Ma non c'è mai nessuno ad avvertirti che quella che stai vivendo è l'ultima volta, anzi, di solito non te ne accorgi nemmeno.
Il fatto è che quando sei piccolo credi che tutto ti sia dovuto e che tutto rimanga esattamente come quando hai tre anni: i parenti che ti fanno le foto, i regali e sono ossessionati dal fatto che tu dorma, mangi e caghi, ed è tutto un sorridere, battere le mani e fare facce stupide.
Poi, però, arriva un giorno in cui puoi essere morto soffocato nel tuo vomito e a nessuno importa più un fico secco, così ti trovi da solo a gridare: "Hei! C'è nessuno?" e allora capisci che, o ti fai andare bene tutto quello che arriva dopo, o puoi spararti un colpo in testa.
Cinico? No, realista. Ma forse è il caso che io cominci dall'inizio."
Andrea aveva cinque anni quando il padre se n'è andato come un ladro lasciandolo ostaggio di sette femmine: la madre iperprotettiva, tre sorelle fuori controllo, la nonna genio della fisica, la cinica badante Stanka e la cagnolina di casa. Tutte sembrano non riuscire a fare a meno di lui. Sono talmente "pazze di lui" da fare di tutto per non permettere a nessun'altra donna di entrare nella sua vita. Finchè un giorno arriva Giulia...
Con il suo inconfondibile stile, sospeso tra romanticismo e ironia, Federica Bosco ci regala una storia d'amore toccante e divertente ma anche il racconto del percorso di un trentenne che vuole diventare un uomo. Perché solo se sei te stesso, puoi amare fino in fondo.
Brigitta, la protagonista di questo romanzo, vive una appassionata quanto assurda relazione con Luca (o meglio con il suo cellulare), un uomo descrivibile in tre esse: Speciale, Sorprendente... e soprattutto Sposato! Con la sua ironia, e capacità di giocare con le parole, Federica Bosco dà vita a una romantica commedia su come sopravvivere alle relazioni a colpi di sms!
Marina ha diciannove anni e una vita molto complicata. Sua madre è morta, e suo padre, un uomo prepotente e autoritario, si è risposato con una donna odiosa che la tratta come Cenerentola. L'unica ragione che la trattiene dal fuggire da casa è il fratellino Filippo, che Marina cerca di proteggere da quella famiglia dissestata a colpi di affetto e ironia. Il suo grande sogno è quello di entrare all'Accademia delle Belle Arti, essendo dotata di un incredibile talento per il disegno, ma non potendo permetterselo, l'unico modo di stare il più vicino possibile a quel mondo è lavorare al bar davanti all'Accademia, dove può osservare gli studenti che fanno la vita che vorrebbe lei e a peggiorare la situazione è innamorata cotta di Christo, uno studente brasiliano bello e scapestrato che viene a fare colazione da lei tutte le mattine senza degnarla di uno sguardo. La sua vita non potrebbe essere più frustrante se si escludono i momenti in cui si chiude in camera a disegnare senza sosta ascoltando i Temper Trap estraniandosi totalmente da quel mondo cupo e senza speranza. Finché un giorno arriva Nic.
La mattina del suo quarantanovesimo compleanno Giulia è seduta sullo sgabello della cucina a bere un caffè e, mentre contempla la nebbia dell'inverno milanese, viene travolta da un attacco di panico in piena regola. Lei, giornalista di costume in una rivista di grido, con una vita scandita da mille impegni, avverte all'improvviso la consapevolezza che la sua esistenza così com'è sembra non avere più alcun senso. Un compagno da quattro anni, Massimo, anch'egli giornalista con una forte propensione all'indipendenza, una madre giocatrice incallita dalla personalità crudele e affascinante da cui ha imparato a guardarsi le spalle, qualche amica con cui condividere sfilate e pettegolezzi, un fratellastro amatissimo, un padre artista e sognatore, e questo è tutto. Ciò che la sconvolge, però, è l'impellente desiderio di maternità mai provato prima, giunto molto oltre i tempi supplementari, che adesso le sembra l'unica ragione di vita. Le reazioni delle persone vicino a lei non sono incoraggianti e, accompagnata da un coro di «ma tu non ne hai mai voluti», Giulia si accinge non senza difficoltà a convincere il compagno a imbarcarsi nel complicato mondo delle cure per la fertilità, ispirata da un'idea di famiglia in cui crede ancora nonostante la sua infanzia passata a giocare a Barbie sotto i tavoli verdi. Massimo però si rivela un partner imprevedibile, che la porta un giorno in un paradiso di mille premure e quello dopo nell'inferno dell'indifferenza, facendola sentire ancora più sola. Così Giulia, quasi senza alleati, decide di abbandonare per sempre la sua zona di confort e di spiccare un salto nel vuoto. Alternando ironia e malinconia col suo stile inconfondibile, Federica Bosco ci trascina in un crescendo di emozioni e colpi di scena raccontando una storia in cui tutti possiamo riconoscerci, perché e non è mai troppo tardi per prendere una decisione folle, se è quella che ti può rendere felice.
È l'ennesimo 31 dicembre, e Benedetta lo trascorre con gli amici della storica compagnia di via Gonzaga, gli stessi amici che, negli anni Ottanta, passavano i pomeriggi seduti sui motorini a fumare e a scambiarsi pettegolezzi, e che ora sono dei quarantenni alle prese con divorzi, figli ingestibili, botulino e sindrome di Peter Pan. Ma quello che, a distanza di trent'anni, accomuna ancora quei «ragazzi» è l'aspettativa di un sabato sera diverso dal solito in cui, forse, succederà qualcosa di speciale: un bacio, un incontro, una svolta. Un senso di attesa che non li ha mai abbandonati e che adesso si traduce in un messaggio sul telefonino che tarda ad arrivare. Un messaggio che potrebbe riannodare il filo di un amore che non si è mai spezzato nonostante il tempo e la distanza, che forse era quello giusto e che torna a far battere il cuore nell'era dei social, quando spunte blu, playlist e selfie hanno preso il posto di lettere struggenti, musicassette e foto sbiadite dalle lacrime. Una nostalgia del passato difficile da lasciare andare perché significherebbe rassegnarsi a un mondo complicato, competitivo e senza punti di riferimento, che niente ha a che vedere con quello scandito dai tramonti e dal suono della chitarra intorno a un falò. Fino al giorno in cui qualcosa cambia davvero. Il sabato diverso dagli altri arriva. L'inatteso accade. La vita sorprende. E allora bisogna trovare il coraggio di abbandonare la scialuppa e avventurarsi a nuoto nel mare della maturità, quella vera.

