
È una fredda, grigia, nebbiosa giornata di novembre degli anni Trenta a Londra e Miss Pettigrew, il cappotto di un indefinibile, orrendo marrone, l'aria di una spigolosa signora di mezza età e un'espressione timida e frustrata negli occhi, è alla porta di un appartamento al 5 di Onslow Mansions, in uno dei quartieri più eleganti della capitale inglese. Stamani si è presentata come sempre al collocamento e l'impiegata le ha dato l'indirizzo di Onslow Mansions e un nome: Miss LaFosse. L'edificio in cui si trova l'appartamento è tanto esclusivo e ricercato da metterle soggezione. Miss Pettigrew coi suoi abiti logori, il suo mesto decoro e il coraggio perduto nelle settimane trascorse con lo spauracchio dell'ospizio dei poveri, suona ripetutamente prima che la porta si spalanchi e appaia sulla soglia una giovane donna. È una creatura così incantevole da richiamare subito alla mente le bellezze del cinematografo. Miss Pettigrew sa tutto delle dive del cinematografo: ogni settimana per oltre due ore vive nel mondo fatato del cinema, dove non ci sono genitori prepotenti e orridi pargoli a vessarla. Miss LaFosse la fa entrare e poi scompare nella camera da letto, per ricomparire poco dopo seguita da un uomo in veste da camera, di una seta dalle tinte così abbaglianti che Miss Pettigrew deve socchiudere gli occhi. In preda all'ansia, stringendo la borsetta fra le dita tremanti, Miss Pettigrew si sente sconfitta e abbandonata prima ancora che la battaglia per l'assunzione cominci, ma anche elettrizzata.
È una fredda, grigia, nebbiosa giornata di novembre degli anni Trenta a Londra e Miss Pettigrew, il cappotto di un indefinibile, orrendo marrone, l'aria di una spigolosa signora di mezza età e un'espressione timida e frustrata negli occhi, è alla porta di un appartamento al 5 di Onslow Mansions, in uno dei quartieri più eleganti della capitale inglese. Stamani si è presentata come sempre al collocamento e l'impiegata le ha dato l'indirizzo di Onslow Mansions e un nome: Miss LaFosse. L'edificio in cui si trova l'appartamento è tanto esclusivo e ricercato da metterle soggezione. Miss Pettigrew coi suoi abiti logori, il suo mesto decoro e il coraggio perduto nelle settimane trascorse con lo spauracchio dell'ospizio dei poveri, suona ripetutamente prima che la porta si spalanchi e appaia sulla soglia una giovane donna. È una creatura così incantevole da richiamare subito alla mente le bellezze del cinematografo. Miss Pettigrew sa tutto delle dive del cinematografo: ogni settimana per oltre due ore vive nel mondo fatato del cinema, dove non ci sono genitori prepotenti e orridi pargoli a vessarla. Miss LaFosse la fa entrare e poi scompare nella camera da letto, per ricomparire poco dopo seguita da un uomo in veste da camera, di una seta dalle tinte così abbaglianti che Miss Pettigrew deve socchiudere gli occhi. In preda all'ansia, stringendo la borsetta fra le dita tremanti, Miss Pettigrew si sente sconfitta e abbandonata prima ancora che la battaglia per l'assunzione cominci, ma anche elettrizzata.
"Se si possiede un tesoro, bisogna andare a ritrovarlo", sostiene Leo, sette anni. È così che inizia un viaggio che nessuno dei protagonisti potrà mai dimenticare. Leo, suo padre Danny e suo nonno, tre generazioni si ritrovano in un roadmovie avventuroso e divertente su una vecchia auto, con un atlante stradale non aggiornato, una modica provvista di pane e burro, alla ricerca del tesoro del bisnonno di Leo, Hermann Isakowitz. Secondo una leggenda di famiglia, infatti, lo stesso Hermann Isakowitz avrebbe sotterrato questo tesoro prima che la Polonia venisse invasa dai tedeschi e lui fosse ucciso dai nazisti. Così i tre Wattin, nipotino, padre e nonno, si gettano a capofitto in questo viaggio che è anche la storia della loro famiglia.
In questo libro Waugh raccolse tutto ciò che desiderava conservare dei libri di viaggi scritti fra il 1929 e il 1936: l'esilarante racconto di una crociera nel Mediterraneo; l'incoronazione a imperatore d'Etiopia del negus Hailé Selassiè; un complicato viaggio di ritorno, denso di significati e di rivelazioni, attraverso il cuore dell'Africa Nera; una serie di strabilianti avventure nella Guyana Britannica, che si conclude in Brasile; una seconda visita a Addis Abeba, come corrispondente di guerra, nell'attesa dell'invasione italiana.
"Non sapevo in realtà dove stavo andando; se me lo chiedevano, dicevo in Russia". Se anche si prendono tutti, ma proprio tutti gli stereotipi sullo strano essere che Mark Twain chiamava l'innocente all'estero, e li si dispone a formare un personaggio immaginario, si otterrà solo una pallida approssimazione a quel prototipo del viaggiatore, e dello scrittore di viaggi, che è stato Evelyn Waugh. Che nel 1928, quando a ventisei anni parte per la sua prima, lunga crociera nel Mediterraneo, è già completamente formato, vuoi negli abiti di scena vuoi in quelli mentali, a cominciare dalla convinzione, molto fertile sul piano narrativo, che l'Inghilterra sia la norma, e il resto del mondo una bizzarra, affascinante e soprattutto comica eccezione. Etichette è il primo e più celebre esperimento dell'autore con un genere in realtà molto arduo - ed è forse il più capriccioso, attendibile e felice. E se la Napoli o il Cairo di Waugh risultano ancora oggi più veri del vero, il merito è tutto della sfacciata certezza che ispira questa non resistibile scorribanda, e cioè che i libri di viaggio, come quell'autobiografia di cui costituiscono un sottoinsieme, siano tanto più efficaci quanto più si reggono "su un bel fondamento di vanteria bugiarda".
Questo libro avrebbe dovuto chiamarsi "War in Abyssinia". Buon titolo: asciutto, fattuale, esotico. Dell'Abissinia nel 1935 nessuno sapeva nulla, anche se il paese era l'unico stato africano cooptato nella Lega delle Nazioni e il suo giovane despota era un pupillo dei media - Uomo dell'Anno per "Time". Ma adesso di quell'immensa piantagione di caffè stava per impadronirsi l'ultima arrivata nel circolo delle potenze coloniali: sì, la Grande Proletaria di Mussolini si preparava a invadere, e per ciò stesso a scatenare, nei timori di molte cancellerie, un conflitto globale. Ottima ragione per spedire sul posto un esercito di inviati - pericoloso quanto e più di quelli in armi, però, specie se forzato all'inazione. I centocinquanta embedded al seguito dell'esercito italiano erano infatti costretti a passare le veline dello Stato Maggiore, o riferire voci incontrollabili (i duemila morti nel bombardamento d'Adua, che a villaggio raggiunto si sarebbero rivelati sei). Quanto a quelli aggregati agli etiopi, se ne occupava un irreprensibile addetto stampa indigeno, che fin dal primo giorno aveva promesso notizie di due soli tipi: false, o tendenziose. Dopo qualche settimana gli inviati erano accampati in pianta stabile ai tavolini da bridge. Tutti, tranne il corrispondente dello "Evening Standard", Evelyn Waugh. Povero Waugh, mette a segno addirittura uno scoop, e ne è talmente geloso da scrivere il pezzo in latino, certo che i colleghi non lo mastichino. Così in effetti è...
Nel 1951 il cinico, caustico, cattolico Evelyn Waugh rimette piede in Terra Santa, eterno terreno minato, e ha il coraggio di dire la sua, come solo lui sapeva fare - con devozione, curiosità e meraviglia per lo splendore dei luoghi -, su una piaga mai sanata in ogni animo, credente o non credente.
Il volume contiene un'introduzione e una cronologia di Guido Almansi alle opere di Evelyn Waugh. Le opere riportate sono: Una manciata di polvere; L'inviato speciale; Ritorno a Briedeshead; Il caro estinto; La prova di Gilbert Pinfold, Corpi vili; Racconti; Diari.
In "Compassione" uno dei tre racconti che compongono il libro, la vicenda, ambientata in Croazia durante la seconda guerra mondiale, ha per protagonista il maggiore Gordon, "solida testa di scozzese" alle prese con il caos balcanico, tra ustascia e partigiani, in una scacchiera dove tutto assume il carattere dell'indecifrabilità; e quando si prodiga per mettere in salvo una piccola comunità di ebrei constata quali percorsi paradossali possa escogitare la Provvidenza. "L'uomo che amava Dickens" è invece una sorta di ghigno nelle tenebre, che risuona attraverso una storia atroce e risibile. Il terzo racconto, infine, ripropone Basil Seal, famigerato personaggio di alcune opere giovanili.
Undici racconti quasi tutti inediti in Italia di un maestro del Novecento, lungo un arco che copre la sua intera vita creativa, dal 1925 al 1962. Undici pezzi di pura maestria: dialoghi a rotta di collo, battute fulminanti, un sense of humour che più cattivo non potrebbe essere e a cui tutti in seguito si sono ispirati: da Ionesco a Arbasino a Alan Bennett. Per la prima volta presentati tutti insieme al lettore italiano, i racconti di Evelyn Waugh sono un'autentica scoperta letteraria. Per chi pensa che leggere è soprattutto un piacere.
"'Ufficiali e gentiluomini' è il secondo episodio della trilogia "Sword of honour", 'Spada d'onore'. La preoccupazione principale dei personaggi riguarda ancora una volta come accaparrarsi la migliore sistemazione nel quartier generale o un pranzo di almeno tre portate, ma la tragedia del conflitto bussa alla porta. Il protagonista, Guy Crouchback, fugge su una zattera dall'attacco tedesco a Creta e solo miracolosamente approda sulla costa nordafricana controllata dalle truppe britanniche. Durante la convalescenza in un ospedale militare del Cairo, Guy ritrova la stessa imperturbabile vacuità, lo stesso cinismo di sempre, impersonati adesso da una ricca e potente coppia inglese. Rieccoci con una giravolta dentro quella raffinata e vagamente svampita upper class britannica che probabilmente salverà il mondo dalla barbarie nazista, ma, verrebbe da dire, solo perché vuole continuare a vivere come ha sempre fatto, e insomma perché deve salvare se stessa." (dalla prefazione di Mario Fortunato)