
Nel 1939 è attiva in Svizzera l'Opera bambini della strada, un'organizzazione che, col pretesto di svolgere un'opera umanitaria a favore dell'infanzia derelitta, mira a sradicare il fenomeno del nomadismo. I bambini nomadi vengono strappati alle famiglie e rinchiusi in istituti o dati in adozione. Quando Lubo Reinhardt, zingaro naturalizzato, riceve la notizia che i suoi figli sono stati presi dalla polizia e che la moglie, tentando di opporsi, è stata uccisa, decide di vendicarsi. Si appropria di una nuova identità e diventa un Don Giovanni involontario e involontariamente politico. Il suo piano è inseminare il maggior numero di donne svizzere. Dal seme di quel primo sopruso germina altra violenza, che dura nel tempo, con una tenacia oscura.
Un romanzo che è la storia di un'autoeducazione selvaggia, attraverso una folta sequenza di avventure, incontri, fagocitazioni, seduzioni e soprattutto fughe, perché la vocazione del protagonista è quella di evadere da ogni esperienza che tenda a chiudersi su se stessa. E ogni fuga lascia in dono al lettore un personaggio, una storia, avvolti da quella dolorosità peculiare della gioventù. Di questo libro iniziale di Busi possiamo dire oggi che offre un esempio di lucentezza che non si offusca con il tempo. E si accende ora di nuovi riflessi in questa stesura "interamente riscritta, e interamente per davvero", nonché sigillata, come da una sorta di epilogo, dall'inesorabile Seminario sulla vecchiaia.
Forse è stato il caso, o forse l’amore, a condurre Giacomo Musso, maestro di trentacinque anni, al Braccio 6, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Novara. Sulle labbra, la dichiarazione di innocenza; tra le mani, il giornale che ritrae in prima pagina il corpo inerte e dilaniato di sua moglie. Per sfuggire alla disperazione, Giacomo decide di raccontare la propria storia, l’inevitabile serie di eventi che lo ha portato in quella stanza, con una minuscola finestra come unico contatto con il mondo, come se fosse un pericolo per gli altri, lui che non ha mai fatto male a nessuno. Si erano conosciuti in un locale di Parigi, lei si chiamava Shirin ed era di origine iraniana. Il loro non era stato un amore focoso fin dal primo istante, ma era nato con la lentezza inesorabile delle cose fatte per durare. Si erano sposati alla fine di marzo e poi avevano preso la decisione che avrebbe cambiato le loro vite per sempre: si erano trasferiti a Molini, sulle montagne piemontesi, il paese dove lui era nato. Giacomo aveva deciso per nostalgia, Shirin perché aveva bisogno di radici: quelle che non aveva mai avuto, quelle che i suoi genitori avevano reciso fuggendo da un paese, l’Iran, profondamente cambiato nel giro di pochi anni. Tra le mura di quelle case, in quel luogo che sembrava essere rimasto indenne al trascorrere del tempo, Shirin credeva di aver trovato ciò che cercava. Ma si sbagliava. Anche lì non era che una straniera, guardata prima con curiosità invadente e poi con diffidenza. Così aveva cominciato a cercare dove non avrebbe dovuto: lei, laica e atea, aveva trovato una casa proprio nella religiosità ostentata dei suoi connazionali. Ora, di lei e del suo grande amore non è rimasto nulla, esistono solo i ricordi che Giacomo affida alle pagine del suo diario, sperando forse di poter scrivere un altro finale.
Un delicato viaggio nella memoria famigliare, seguendo i ricordi che Letizia, contadina ormai ultraottantenne, vuole condividere con le nipoti, perché qualcosa resti. Non solo della sua storia, ma delle sue conoscenze e dei piccoli segreti di ruralità e natura. E proprio la natura, la campagna, il bosco, l'orto, sono - insieme a Letizia - i protagonisti del romanzo. Ogni capitolo si apre con delle note sulla cura e sull'utilizzo di specifiche piante ed erbe, che fanno parte di una storia in cui prendono forma luoghi e ambienti, dove ritornano figure del passato ed eventi della vita, emozioni e sentimenti. E quel sapere antico, eco di un passato intensamente vissuto e ancora buono per il futuro che ci attende.
Quattro commedie giudiziarie, ambientate in una terra fantastica che simboleggia lo spirito umano. Valenti avvocati che si battono per portare alla luce il seme sepolto della verità. È questo il quadro narrativo che viene precisandosi da un episodio all'altro, finché il pubblico accusatore, il nemico, il persecutore, affascinato da Petra, la Pietra immortale, la Santa Madre, personificazione della Chiesa, si converte e crede. Anche lui è il seme sepolto, il peccatore che alla fine trova la Fede e si prepara ad affrontare la via crucis della salvezza.
L'Autore
Emilio Biagini (Genova, 1941) è ordinario della cattedra di Geografia all’Università di Cagliari ed autore di una dozzina di volumi di saggistica e ricerca, oltre ad un centinaio di articoli scientifici. Ha tre lauree: Scienze Naturali, Biologia e Geografia, conseguite presso l’Università di Genova; parla inglese, tedesco, francese, nederlandese e afrikaans. Ha trascorso lunghi periodi di studio negli Stati Uniti (borsa Fulbright), in India, nel Sud Africa (borsa del Ministero degli Esteri), in Gran Bretagna (borsa dell’Accademia dei Lincei) e in Irlanda. Ha diretto il gruppo di studio “Conflitto e globalizzazione”, dell’Associazione Geografi Italiani: in tale veste ha studiato sul terreno le violenze no-global a Genova del 2001. Ha vinto il Premio Colamonico per la ricerca geografica e il premio dell’Accademia dei Lincei per la ricerca socio-economica. È stato Visiting Fellow all’Università di Southampton, nonché Visiting Professor e Hatfield College Fellow all’Università di Durham. Da poco ha cominciato a pescare nella montagna di inediti letterari ed ha pubblicato due romanzi (La luce, 2006; Labirinto oscuro, 2008), un volume di racconti (L’uomo in ascolto, 2008) e un volume di pièces teatrali satiriche (Saccenti ed altri serpenti, 2008). Ulteriori notizie sul sito www.itrigotti.it.
Elia ha 17 anni, è brillante, è bello, tutti gli vogliono bene, a scuola primeggia, è conteso dalle ragazze. Ma è infelice, ha scoperto con troppo ritardo di essere stato abbandonato dai suoi genitori biologici e di essere stato adottato. Vuole scoprire a tutti i costi il mistero delle sue origini e così, con Ettore, investigatore privato e suo maestro di karate, decide di intraprendere un viaggio alla ricerca della sua identità. Destinazione Rio, Brasile. Su una lunga sequenza di brani musicali, in silenzi carichi di saudade, le vite dei protagonisti si mischiano, si contaminano, si fondono, si intrecciano. "La vita, amico, è l'arte dell'incontro", ci ricorda Vinícius de Moraes. Incontrarsi per ritrovarsi. Forse perché il viaggio più importante della vita è quello che facciamo dentro noi stessi.
"Sembrava il paradiso" è l'ultimo romanzo di John Cheever, apparso solamente quattro mesi prima della sua morte. Il protagonista, Lemuel Lears, è un vecchio gentiluomo che vive in un paesino incantato, dove non è ancora arrivato un fast-food e neppure la ristrutturazione delle grandi ville per farne case di riposo per anziani alla fine del loro ciclo vitale. Il paradiso di Lears è rappresentato da un laghetto, il laghetto dei Beasley, dove ama pattinare d'inverno, un posto incantevole destinato però a scomparire a causa della speculazione edilizia e dell'inquinamento. Si sviluppa così un'intricata vicenda incentrata sul crudo ritratto della vita sessuale e sentimentale di Lears: vedovo gaudente, impegnato a non diventare anch'egli una discarica, si divide tra ricordi, incontri con una bella e capricciosa signora, istantanee follie omosessuali con il ragazzo dell'ascensore e la consolazione emotiva con un suo coetaneo. Perché in fin dei conti il suo problema, la sua vera paura, era proprio quella: la fine dell'amore. Già pubblicato nel 2007 con il titolo "Sembra proprio di stare in paradiso".
Ad accoglierci tra le pagine di questo romanzo è una donna, una scrittrice, che dopo essersi sentita ai margini per molti anni ha finalmente conosciuto il successo. Vive un tempo ruggente di riscatto, che cerca di tenersi stretto ma ogni giorno le sfugge un po' di più. Proprio come la figlia, che rifiuta di parlarle e si è trasferita lontano. Combattuta tra risentimento e sgomento per il tempo che si consuma la coglie Federica, la più cara amica del liceo, quando dopo trent'anni torna a cercarla. E riporta nel suo presente anche la sorella maggiore Livia - dea di bellezza sovrannaturale, modello irraggiungibile ai loro occhi di sedicenni sgraziate -, che in seguito a un incidente è rimasta prigioniera nella mente di un'eterna ragazza. Come accadeva da adolescenti, i pensieri tornano a specchiarsi, a respingersi e mescolarsi. La protagonista perlustra il passato alla ricerca di una verità, su se stessa e su Livia, e intanto cerca di riafferrare il bandolo della propria esistenza ammaccata: il lavoro, gli amori. Livia era e resta un mistero insondabile: miracolo di bellezza preservata nell'inconsapevolezza? O fenomeno da baraccone? Avvolti nelle spire di un'affabulazione ammaliante, seguiamo la protagonista in un viaggio che è insieme privato e generazionale, interiore e concreto. E mentre lei aspira a fermare l'attimo per non perdere la gloria, la sorte di Livia è lì a ricordare cosa può succedere se la giovinezza si cristallizza in un presente immobile: una diciottenne nel corpo di una cinquantenne, una farfalla incastrata nell'ambra. "Sembrava bellezza" è un romanzo sull'impietoso trascorrere del tempo, e su come nel ripercorrerlo si possano incontrare il perdono e la tenerezza, prima di tutto verso se stessi. Un romanzo di madri e di figlie, di amiche, in cui l'autrice mette in scena le relazioni, tra donne e non solo. Un romanzo animato da uno sguardo che innesca la miccia del reale e, senza risparmiare nessun veleno, comprende ogni umana debolezza.
Mille giorni e mille notti. Ecco quanto ha impiegato Sarah Marquis a compiere la sua impresa: attraversare sei Paesi, dalla Mongolia all'Australia, passando per il deserto del Gobi, la Cina, la Siberia, il Laos e la Thailandia. Camminando. Perché camminare è un'antica forma di meditazione, e Sarah, un passo dopo l'altro, ha fatto sua questa pratica. Ventimila chilometri davanti e uno zaino sulle spalle, Sarah ha visto paesaggi sontuosi, come il Lago Bajkal, e luoghi lussureggianti, come la giungla del Laos. Si è imbattuta in animali amichevoli e temibili belve, come i lupi della Siberia e i leopardi delle nevi nel deserto del Gobi. Ha incontrato personaggi minacciosi, ladri, narcotrafficanti, ma anche popolazioni accoglienti e calorose. Un viaggio incredibile in cui, contando solo sulle sue capacità, Sarah ha affrontato temperature gelide e caldi opprimenti, i pericoli della natura selvaggia e della solitudine. Ricompensata dalla bellezza dei luoghi e dal cammino interiore percorso, ci racconta in queste pagine la natura in tutta la sua grandiosità: meravigliosa e forte, emozionante, pericolosa e spettacolare.
"Selva oscura" nasce dal desiderio di quattro autori fiorentini di raccontare la loro città andando dietro le apparenze: una Firenze "diversa", decisamente inattesa, e comunque lontana dalle immagini rassicuranti che hanno fatto il giro del mondo e a cui siamo abituati. Tutti hanno qualcosa da nascondere, sembrano dirci gli autori, e forse Firenze con la sua storia, la sua grandezza, la sua bellezza è un luogo dove è ancora più facile nascondere questo "qualcosa". Come nel caso del giudice Guido Bevilacqua, che deve sistemare i suoi "affari" con l'avvocato Maurizio Bisunti, nel racconto di Lorenzo Chiodi; come la badante molto referenziata di Leonardo Gori, seria, onesta, affidabile, che non si tira indietro davanti a nulla; come l'enigmatico protagonista del racconto di Emiliano Gucci che mentre va avanti con i colloqui selezionando personale per un oscuro lavoro, conduce una ricerca personale che forse non si concluderà mai; o, ancora, come nel caso dell'affermato avvocato Bollini di Marco Vichi, inseguito da una storia di molti anni prima, una "ragazzata", una storia che qualcuno si ostina a non dimenticare...
Lui ha cinque anni e adora bollire le carote, vederle lentamente cambiare di forma. La trasformazione lo affascina, da sempre. Come quella dei panni in lavatrice, che entrano sporchi, vengono travolti dal diluvio universale ed escono limpidi e redenti. È convinto che non debbano esistere differenze tra uomini e donne, solo tra amici e nemici. E crede fermamente che negli occhi di chi è innamorato si possano vedere pesci che nuotano felici. D'altra parte, non è forse vero che le lacrime sono salate e che l'amore è un sentimento grande come un oceano? Come quello per Noah, suo compagno d'asilo. E dove sta scritto che, solo perché tra le gambe hanno entrambi un ditino che spunta, non possono sposarsi, ma devono soltanto essere migliori amici? E perché invece i vermi possono essere maschi e femmine contemporaneamente? Poi, in un attimo, la scoperta del corpo che cambia travolge ogni cosa: è l'adolescenza, il tripudio degli ormoni, della scoperta, del sesso. Lui si iscrive al college, si masturba, studia, si masturba, finisce il college, si masturba ancora. Fino a una notte in Portogallo, durante un viaggio, quando compare lei e di colpo il mondo è diverso. Lei frequenta l'università, scrive racconti, viaggia, s'innamora. Lei è lui. Lui è lei. Uguali. Diversi. Uniti. Distinti. O forse entrambe le cose. Fino al colpo di scena finale.