
Di Julia Martin sappiamo solo quanto racconta agli uomini che la mantengono: che forse è stata sposata, che forse ha avuto un bambino, che forse è cresciuta in qualche paese straniero. Del resto a chi passa una notte con lei non importa sapere chi sia veramente quella silhouette con il suo buffo costume di scena: turbante, veletta, un cappottino di seconda mano, un mazzo di violette stretto nel pugno. Del resto neanche a Julia importa sapere quello che pensano gli altri, lei ha sempre qualche credito da riscuotere, e non tradirebbe quello che ritiene l'unico modo sensato di vivere: "Se un taxi suona il clacson prima che abbia contato fino a tre vado a Londra, se no niente".
Sullo sfondo di una California ricca e corrotta, pullulante anche di miserabili in attesa del colpo grosso, Philiph Marlowe viene sguinzagliato sulle tracce di un marito scomparso. Si imbatte in un ex carcerato, uscito di galera dopo otto anni di detenzione, e da lui viene incaricato di trovare la sua donna, anche lei scomparsa. Ne nasce una vicenda a tinte forti, condita di ricatti e violenza, lusso e una lunga catena di delitti.
Ida è appena sbarcata a Messina, la sua città natale: la madre l'ha richiamata in vista della ristrutturazione dell'appartamento di famiglia, che vuole mettere in vendita. Circondata di nuovo dagli oggetti di sempre, di fronte ai quali deve scegliere cosa tenere e cosa buttare, è costretta a fare i conti con il trauma che l'ha segnata quando era solo una ragazzina. Ventitre anni prima suo padre è scomparso. Non è morto: semplicemente una mattina è andato via e non è più tornato. Sulla mancanza di quel padre si sono imperniati i silenzi feroci con la madre, il senso di un'identità fondata sull'anomalia, persino il rapporto con il marito, salvezza e naufragio insieme. Specchiandosi nell'assenza del corpo paterno, Ida è diventata donna nel dominio della paura e nel sospetto verso ogni forma di desiderio. Ma ora che la casa d'infanzia la assedia con i suoi fantasmi, lei deve trovare un modo per spezzare il sortilegio e far uscire il padre di scena.
Composto febbrilmente tra il 1928 e il 1929, "Addio alle armi" è la storia di amore e guerra che Hemingway aveva sempre meditato di scrivere ispirandosi alle sue esperienze del 1918 sul fronte italiano, e in particolare alla ferita riportata a Fossalta e alla passione per l'infermiera Agnes von Kurowsky. I temi della guerra, dell'amore e della morte, che per diversi aspetti sono alla base di tutta l'opera di Hemingway, trovano in questo romanzo uno spazio e un'articolazione particolari. È la vicenda stessa a stimolare emozioni e sentimenti collegati agli incanti, ma anche alle estreme precarietà dell'esistenza, alla rivolta contro la violenza e il sangue ingiustamente versato. La diserzione del giovane ufficiale americano durante la ritirata di Caporetto si rivela, col ricongiungimento tra il protagonista e la donna della quale è innamorato, una decisa condanna di quanto di inumano appartiene alla guerra. Ma anche l'amore, in questa vicenda segnata da una tragica sconfitta della felicità, rimane un'aspirazione che l'uomo insegue disperatamente, prigioniero di forze misteriose contro le quali sembra inutile lottare.
“Addio al calcio”, di Valerio Magrelli, si presenta come un libro ibrido, a cavallo fra generi diversi. Strutturato come una raccolta di novanta “racconti da un minuto”, e diviso in due “tempi” di quarantacinque minuti ciascuno, il volume conduce il lettore attraverso aneddoti, ricordi, microbiografie, realizzando una sorta di immersione totale nell’universo di una passione vissuta e insieme sognata. Mentre si alternano le immagini di campioni antichi e moderni, Magrelli si concentra sul particolare legame che unisce in questo gioco la figura del padre a quella del figlio. Trasmesso di generazione in generazione, il calcio appare allora come una staffetta, un pegno, un’umile divinità domestica chiamata a vegliare sul futuro delle famiglie italiane.
Meno di cento chilometri in linea d'aria separavano le colline del Kent dalle Fiandre, e i corni della caccia alla volpe avevano un suono sinistro, contro il rombo dei bombardamenti a tappeto intorno a Ypres, o sulla Somme. Durante un attacco dell'artiglieria tedesca, il 20 luglio 1916, Robert Graves fu ferito così gravemente da comparire, in un primo momento, sulla lista dei caduti con onore, beninteso che il "Times" pubblicava ogni giorno. In realtà Graves tornò su un treno ospedale alla stazione di Wimbledon, e qualche tempo dopo si riprese dalle ferite, per quanto atroci: ma la notte sentiva esplodere granate intorno al letto, scambiava i passanti per amici perduti al fronte, e se sentiva partire una macchina, o sbattere una porta, si gettava a terra. E così, a poco a poco, quei cento chilometri scarsi fra il tè del pomeriggio e i cadaveri lasciati a decomporsi nella terra di nessuno diventarono, per Graves come per gli altri scampati al massacro, un abisso capace di inghiottire per sempre, in un orrore senza nome, il mondo di ieri. Che nel 1929, prima di lasciare un'Inghilterra in cui non avrebbe potuto più vivere, Graves ricostruì per un'ultima volta in questo libro il più nitido, struggente e indimenticabile atto di commiato che le trincee d'Europa abbiano costretto un poeta a scrivere. Con una nota di Ottavio Fatica.
Due poeti si scambiano versi di notte sul Tevere: sono Pier Paolo Pasolini e Sandro Penna. Una donna bellissima e coraggiosa, fra molti amori e lotte per il potere, si batte per imporre l'arte astratta: è Palma Bucarelli. Uno scrittore giovane e già carismatico fa la spola fra Torino e la capitale per amore: è Italo Calvino. Un artista prestigioso e chiacchierato conquista la città con una mostra sensazionale: è Picasso. Una scrittrice cerca casa nel centro di Roma bisticciando con il marito: è Natalia Ginzburg. Un giovane americano scribacchia pettegolezzi sui giornali per pagarsi la casa in via Margutta: è Truman Capote. Pittori leggendari si arrabbiano in continuazione con le generazioni più giovani: sono Giorgio De Chirico e Renato Guttuso. Un marito e una moglie romanzieri litigano furiosamente in pubblico, ma forse si adorano: sono Elsa Morante e Alberto Moravia. Una grande poetessa austriaca e un importante autore svizzero si amano e si dicono addio in un Caffè di via del Babuino: sono Ingeborg Bachmann e Max Frisch. Un'icona della musica pop e un artista maledetto hanno un affair travolgente, ma lei lo lascia per tornare dal suo infedele innamorato: sono Marianne Faithfull, Mario Schifano e Mick Jagger. Un regista di fama internazionale e il suo più celebre sceneggiatore, che è anche uno scrittore meraviglioso, intrecciano, rompono, ricompongono una turbinosa collaborazione: sono Federico Fellini e Ennio Flaiano.
Tra fatti della vita e clamorose dispute letterarie e artistiche, nascita e morte di vivaci testate giornalistiche, l'irripetibile stagione che vide i protagonisti della scena culturale romana al centro di un interesse mondiale, dalla povertà estrema dei primi anni '50, al furore della Neovanguardia, ai ribaltamenti del Sessantotto fino alla decadenza dei primi '70, rivive in un colorato affresco per celebrare un recente eppure lontanissimo passato. Dalla ritrosia di Burri alle nevrosi di Carlo Emilio Gadda, dai sadici scherzi di Goffredo Parise alle scazzottate di Consagra, dalle perfidie di Anna Magnani al nuovo gusto camp di Alberto Arbasino, la città della Dolce Vita incontra la sua leggenda in un racconto fastoso e pervaso di ironia. A condurre per mano il lettore, fra via Veneto e piazza del Popolo, da una galleria d'arte a un set cinematografico a una libreria è una ragazza trasteverina, che si chiama Ninetta - come il Ninetto Davoli che ha svolazzato leggero in tanti film e versi di Pasolini - e che traghetterà il suo desiderio di diventare scrittrice da quell'epoca di grandi alla "nuova preistoria" contemporanea.
"Io sono una macchina fotografica con l'obiettivo aperto" dichiara l'alter ego di Christopher Isherwood arrivando nell'autunno del 1930 a Berlino, dove resterà fino al 1933. Un obiettivo - si può aggiungere - inesorabile, attraverso il quale partecipiamo come dal vivo ai suoi incontri nel cuore pulsante di una Repubblica di Weimar che si avvia al suo fosco tramonto: da un'eccentrica, anziana affittacamere alla sensuale Sally Bowles, aspirante attrice un po' svampita, a Otto, ombroso proletario diciassettenne, a Natalia Landauer, rampolla di una colta famiglia ebrea dell'alta società. Tra cabaret e caffè, tra case signorili e squallide pensioni, tra il puzzo delle cucine e quello delle latrine, tra file per il pane e manifestazioni di piazza, tra crisi economica e cupa euforia - da nulla dettata e in bilico sul Nulla -, Isherwood mette in scena "la prova generale di un disastro" e ci fa assistere alla "resistibile ascesa del nazismo". Non solo: cogliendo con ironia corrosiva i presaghi rintocchi che accompagnano la grandeur di un mondo "inutilmente solido e pesante", ci consegna una scabra narrazione che ci ricorda come la Storia - e ogni storia - sia sempre contemporanea.
Tre donne, tre amiche e la loro storia, raccontata da Virginia. Il tema dell'eros e quello dell'addio, il tradimento e la fedeltà ai patti d'amicizia, l'ambiguità del vivere e il matrimonio, prigione piena di speranze di salvezza. E poi l'invidia e l'ipocrisia, che fanno da sfondo alle grandi amicizie nello straordinario mondo del teatro dell'opera.
Roma, Los Angeles, Viareggio. Tre città, tre luoghi dell'immaginario popolare, che qui si incentra sul mito degli anni sessanta, rivissuto dal protagonista, Alfredo il Tenebroso. Un ragazzo innocente e destinato a perdere questa innocenza, nell'attrito che gli oppone una vita violenta, tra riformatorio e bar di periferia, ai sogni della giovinezza, tutti convergenti verso quegli anni leggendari, contenitori magici di tutto e nulla: i film di James Dean, le moto rombanti, le Cinquecento Fiat e le Giulie Super Alfa Horneo, i cantanti melodici, i concerti di Gianni Morandi, i discorsi di Almirante, l'omicidio di Kennedy e quello di Sharon Tate. Fatti che sembravano simboli universali, di un qualcosa che forse non c'era e non c'è, ma che si legava a un ribellismo difficile da dimenticare, perché legato al senso di un'esistenza che desiderava a più non posso essere diversa e libera. Dal profondo delle realtà metropolitane agli anni di piombo il passo è stato nulla più di un grande salto. Ciò che vi sta in mezzo è il racconto che ci offre Aurelio Picca. Un inno all'imprevedibilità della vita umana, sorretto in punta di penna da una profonda nostalgia.
Germania dell'Est, 1989. Le donne amano Adam perché confeziona loro abiti che le rendono belle e desiderabili. Adam ama le belle donne. Così, quando le donne indossano i suoi abiti, Adam le desidera tutte. A parte questo, Adam ama Evelyn. Quando lei, in un afoso giorno d'agosto, lo coglie in flagrante tradimento, lo pianta in asso e va in vacanza sul lago Balaton con un'amica e il cugino di lei. Adam li segue. Per Evelyn andrebbe in capo al mondo, e forse dovrà proprio farlo, visto che l'Ungheria vuole aprire il confine a ovest. All'improvviso il frutto proibito è lì, a portata di mano, e ognuno deve decidere se coglierlo o no. Nella situazione eccezionale di quella tarda estate dell'89, nel clima sospeso di un'improvvisa libertà di scelta, Ingo Schulze riscopre l'origine mitica dell'uomo, il divieto e la tentazione, l'amore e la conoscenza, e con essi l'anelito del paradiso. Dove si trova il paradiso? In un gioco di rimandi con il mito biblico di Adamo ed Eva, Ingo Schulze crea una leggiadra tragicommedia che offre una chiave di lettura di quella storica estate del 1989, quando il frutto proibito sembrava a portata di mano.