
A Mezudat Ram, un kibbutz isolato nel Nord del paese, circondato da nemici e sormontato dall'ombra di cupe montagne, si svolge la vita di una comunità di coloni, dediti all'agricoltura e all'allevamento, allo sport, alla musica, al dibattito, ma soprattutto alla purificazione. A trent'anni dalla fondazione del kibbutz, infatti, sono essenzialmente gli ideali di miglioramento personale e collettivo che sostengono i kibbutzim e il miglioramento si attua anche grazie al pettegolezzo. Questo spiega la voce narrante di un colono che guida il lettore - non senza malizia e ironia - alla scoperta degli abitanti del kibbutz, concentrandosi soprattutto sulla famiglia di Ruben Harish. Questi è tra i più convinti sostenitori di una vita pacifica e collettiva, l'instancabile cantore delle virtù di un'esistenza semplice e illuminata, il poeta del kibbutz. La moglie Eva lo ha abbandonato per fuggire con un cugino in visita a Mezudat Ram come turista. Si è sposata, vive in Germania e aiuta il nuovo marito a gestire un night-club. Ruben lo ha accettato senza lamentarsi, sprofondando in una tristezza nobilitata dai doveri di maestro, guida turistica e poeta. È rimasto solo col figlio Gai e la figlia Noga e, per consolarsi, ha iniziato una blanda relazione con un'amica Bronka, un'insegnante sposata, madre di due figli...
A Mezudat Ram, un kibbutz isolato nel Nord del paese, circondato da nemici e sormontato dall'ombra di cupe montagne, si svolge la vita di una comunità di coloni, dediti all'agricoltura e all'allevamento, allo sport, alla musica, al dibattito, ma soprattutto alla purificazione. A trent'anni dalla fondazione del kibbutz, infatti, sono essenzialmente gli ideali di miglioramento personale e collettivo che sostengono i kibbutzim e il miglioramento si attua anche grazie al pettegolezzo. Questo spiega la voce narrante di un colono che guida il lettore - non senza malizia e ironia - alla scoperta degli abitanti del kibbutz, concentrandosi soprattutto sulla famiglia di Ruben Harish. Questi è tra i più convinti sostenitori di una vita pacifica e collettiva, l'instancabile cantore delle virtù di un'esistenza semplice e illuminata, il poeta del kibbutz. La moglie Eva lo ha abbandonato per fuggire con un cugino in visita a Mezudat Ram come turista. Si è sposata, vive in Germania e aiuta il nuovo marito a gestire un night-club. Ruben lo ha accettato senza lamentarsi, sprofondando in una tristezza nobilitata dai doveri di maestro, guida turistica e poeta. È rimasto solo col figlio Gai e la figlia Noga e, per consolarsi, ha iniziato una blanda relazione con un'amica, Bronka, un'insegnante sposata, madre di due figli. Ma Noga, che ha sedici anni, sembra aver ereditato la grazia e l'irrequietezza della madre; Ezra, il marito di Bronka, un camionista appassionato di Bibbia che cita frasi sagge, diversamente da Ruben sa vivere le proprie emozioni. E quando dalla Germania arriva Zachariah, il fratello di Ezra, un personaggio misterioso e conturbante, le cui mire e comportamenti nessuno comprende, la comunità è gettata nello scompiglio.
"Altro nulla da segnalare", il libro che ha vinto all'unanimità il Premio Italo Calvino 2021, è un testo raro, prodigioso. Al centro, le storie struggenti dei «paz»: i pazienti - o i pazzi, direbbero i più - dei servizi psichiatrici nati subito dopo la chiusura dei manicomi: uomini e donne che si ritrovarono improvvisamente liberi nel mondo, o che nel mondo non sapevano più come abitare. Le storie a cui dà vita Francesca Valente ruotano sempre attorno a punti luminosi: dettagli, pensieri, eventi; non mirano mai a raccontare le vite dei personaggi, cercano piuttosto il cuore pulsante della loro umanità: perché è lì, in quel frammento di memoria che li riguarda, portato alla luce ma irriducibilmente oscuro, che può essere racchiusa ogni prospettiva d'universalità. «Occhipinti, insonne, insisteva nell'ordinare champagne: le ho portato in sostituzione dello stesso dell'acqua, ma ha dimostrato, rovesciandomela in testa, di non gradirla. Tutti gli altri signori ospiti hanno dormito, tranne la signora Agosta, che continua ad andare al gabinetto e spacca tutto. Altro nulla da segnalare». «Altro nulla da segnalare» è la formula di rito con cui, nei primi anni Ottanta, si chiudevano i rapportini quotidiani degli infermieri del Servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell'Ospedale Mauriziano di Torino, uno dei primissimi esperimenti di «reparto aperto» subito dopo la promulgazione della Legge 180. Chi finiva il turno riferiva con semplicità a chi lo iniziava quanto era avvenuto nelle ore precedenti: cose ordinarie e straordinarie. Episodi comici, tragici, feroci. In quelle note «c'era un'umanità che raccontava un'altra umanità, con benevolenza e un sincero sforzo di comprensione. Spesso erano entrambe umanità dolenti». Partendo proprio dai rapportini, e dai racconti fatti all'autrice dallo psichiatra del reparto Luciano Sorrentino - che un giorno è andato a casa sua affidandole uno scatolone pieno di tutte le carte che aveva accumulato negli anni -, Francesca Valente ha dato vita a un testo senza paragoni, dove il confine tra documento e scrittura letteraria è sempre mobile e indefinibile. A ogni pagina si avverte che la sua penna cerca qualcosa, mentre insegue le storie di pazienti, medici, infermieri, a partire dalle tracce a disposizione. Qualcosa che miracolosamente trova e ci mette davanti agli occhi. «Perché le tante persone passate per i repartini hanno lasciato minuscoli frammenti: il resto è in un cono d'ombra. E perché ognuna di queste storie è una possibile versione di qualcosa che è accaduto realmente, una fotografia ricomposta di una vicenda individuale e collettiva».
Andrea conduce una vita ai limiti dell'insignificanza e del torpore morale insieme alla compagna Livia. Poi arriva una lettera: il padre, sparito in Kenya moltissimi anni prima, sta morendo. C'è ancora il tempo per accomiatarsi da lui come un vero figlio. Il padre è in ospedale e Andrea fa appena in tempo a sentirne la stretta della mano. Combattuto fra pietà e risentimento, Andrea sta per tornare in Italia quando gli viene presentato suo fratello, il figlio che il padre ha avuto da una donna keniota: Charlie. Reazione: rifiuto, negazione. Piuttosto che portarlo con sé, Andrea è pronto a pagare un collegio e a rintracciare, dopo un avventuroso viaggio nell'interno del paese, i nonni kenioti che, in verità, hanno maledetto e bandito la memoria della figlia. Charlie è di pochissime parole ma fra i due cresce - faticosamente, conflittualmente, come in un disegno più grande di loro - una simpatia, un rapporto. Fratello-padre, Andrea finisce con il portare Charlie in Italia. E qui la fatica ricomincia, Charlie è un diverso ma soprattutto è un bambino che ha conquistato il cuore di Andrea. Livia capisce che tutto è cambiato. Tommaso non accetta che tutto sia cambiato. Lo stesso Andrea sa che deve giocare il tutto per tutto. Da una parte c'è la carriera, il successo professionale, dall'altra la tentazione di impegnare gli affetti e puntare su una vita nuova.
La tragica morte di una donna viene sbrigativamente archiviata dalle autorità come omicidio per mano del bandito Dionigi Mariani che vive con i suoi uomini nei monti della Barbagia.
L'avvocato Bustianu è incaricato di chiarire questo mistero proprio dal bandito, che sembra fornirgli, anche se in maniera un po' ambigua, una pista da seguire. Nonostante sia riluttante ad accettare la proposta di Mariani, l'avvocato rimane tuttavia turbato da alcune cose che a mano a mano comincia a intravedere e decide cosí di continuare la sua indagine.
Bustianu deve però fare una scelta importante anche nella sua vita privata: vuole vivere alla luce del sole la sua storia d'amore con Clorinda Pattusi, e sa che questo gli costerà una rottura con la madre.
Una doppia battaglia, dunque, la sua: privata, contro la tradizione e i costumi famigliari; pubblica, contro una modernità che, per l'incapacità di rinnovare conservando quanto c'è di buono, sta distruggendo la sua terra e corrompendo le coscienze della sua gente.
Siamo nell'Ottocento, ma talvolta la storia si ripete.
Alle soglie della Grande Guerra, il giovane Enrico Mreule, grecista e filosofo, s'imbarca per il Sudamerica e va a fare il gaucho in Patagonia, dove sparisce nell'anonimato e nella solitudine. Abbandona la sua Gorizia ancora absburgica, con il suo mosaico di culture diverse, e tra la fuga e il ritorno, fra la caduta dell'impero e le tragedie della seconda guerra mondiale e del comunismo, tra i grandi spazi d'oltreoceano e il caparbio ritiro immobile su uno scoglio dell'Adriatico, la sua esistenza si consuma interiormente in un'ansia di perfezione che la conduce al nulla, si brucia per troppa luce e si chiude in un acre e nostalgico diniego. In una narrazione asciutta e tagliente, scandita dall'incalzare dei fatti e affidata a una scrittura epica ed essenziale, Magris racconta la storia di un amore per la vita che approda all'impossibilità di vivere, una parabola che si richiama all'odissea di altri grandi fuggiaschi della letteratura e della cultura moderna.
Alessandro Manzoni, quello tramandato dai rituali della cultura letteraria, ha un sosia, rimasto finora sconosciuto. Il Manzoni ufficiale, quello che da sempre conosciamo, è una controfigura deputata a nascondere il Manzoni vero, il quale ha sotterrato nei Promessi sposi, sotto le apparenze di un cattolicissimo romanzo, una vicenda tutta diversa, che - come aveva subito sospettato il mondo cattolico dell'800 - è pervasa da un micidiale nichilismo anticristiano. Un criptoromanzo al quale spetta il titolo di massimo capolavoro della nostra letteratura.
In questo libro Aldo Spranzi toglie la maschera al Manzoni, e fa emergere il romanzo nascosto, con la sua grandezza. Ci fa conoscere «l'altro Manzoni», autentico superuomo protagonista di un'appassionante, incredibile avventura esistenziale, oltre che genio artistico.
Liberato dal sarcofago nel quale, dopo averlo imbalsamato e divulgato, la cultura accademica l'ha per quasi due secoli rinchiuso, Manzoni e il suo capolavoro rinascono e rivelano una sconvolgente attualità . L'incontro con il vero Manzoni e con il romanzo nascosto è per l'uomo moderno, e in particolare per i giovani che popolano le nostre scuole, portatore di una sfida conturbante e affascinante (pp. 344).
Aldo Spranzi è professore ordinario di Economia dell'arte nella Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Milano.
Composto, per progressivi incrementi, intorno a un nucleo originario di sei testi, riuniti sotto il generico titolo di «Altre poesie» all'inizio degli anni Quaranta, «L'altro, lo stesso» vede la luce alla fine del 1964 e costituisce la più copiosa delle raccolte poetiche borgesiane. Il volume ci consente di seguire, lungo l'arco di oltre un trentennio (il testo più antico è del 1934, e la silloge ne ingloberà di nuovi fino al 1967), l'evoluzione della scrittura poetica di Borges, dalle poesie della «crisi» successiva al declino delle avanguardie a quelle della piena maturità, contrassegnate dalla conquista di compostezza e misura formale.
Viaggiare è sempre stato per Tiziano Terzani un modo di vivere e così, quando gli viene annunciato che la sua vita è ora in pericolo, mettersi in viaggio alla ricerca di una soluzione è la sua risposta istintiva. Solo che questo è un viaggio diverso da tutti gli altri, e anche il più difficile perché ogni passo, ogni scelta - a volte fra ragione e follia, fra scienza e magia - ha a che fare con la sua sopravvivenza. Strada facendo prende appunti. Da una lunga permanenza a New York e poi in un centro "alternativo" della California nasce un ritratto inquietante dell'America. Da un lungo girovagare per l'India, compresi tre mesi passati da semplice novizio in un ashram, sempre in cerca di qualcosa o qualcuno che possa aiutarlo, Terzani arriva ad una visione di quel che di più profondo questo paese ha da offrire all'uomo: la sua spiritualità. Ogni cultura ha il suo modo di affrontare i problemi umani, specie quelli della malattia e del dolore. Così, dopo essersi interessato all'omeopatia, Terzani si rivolge alle culture d'Oriente sperimentando sulla propria pelle le loro soluzioni, siano esse strane diete, pozioni di erbe o canti sacri. Medicina tibetana, cinese, ayurveda, qi gong, reiki, yoga e pranoterapia sono fra le sue tappe. Alla fine il viaggio esterno alla ricerca di una cura si trasforma in un viaggio interiore, il viaggio di ritorno alle radici divine dell'uomo.
Viaggiare è sempre stato per Tiziano Terzani un modo di vivere e così, quando gli viene annunciato che la sua vita è ora in pericolo, mettersi in viaggio alla ricerca di una soluzione è la sua risposta istintiva. Solo che questo è un viaggio diverso da tutti gli altri, e anche il più difficile perché ogni passo, ogni scelta - a volte fra ragione e follia, fra scienza e magia - ha a che fare con la sua sopravvivenza. Alla fine il viaggio esterno alla ricerca di una cura si trasforma in un viaggio interiore, il viaggio di ritorno alle radici divine dell'uomo. Un libro sull'America, un libro sull'India, un libro sulla medicina classica e quella alternativa, un libro sulla ricerca della propria identità.
Viaggiare è sempre stato per Tiziano Terzani un modo di vivere e così, quando gli viene annunciato che la sua vita è ora in pericolo, mettersi in viaggio alla ricerca di una soluzione è la sua risposta istintiva. Solo che questo è un viaggio diverso da tutti gli altri, e anche il più difficile perché ogni passo, ogni scelta - a volte fra ragione e follia, fra scienza e magia - ha a che fare con la sua sopravvivenza. Alla fine il viaggio esterno alla ricerca di una cura si trasforma in un viaggio interiore, il viaggio di ritorno alle radici divine dell'uomo. Un libro sull'America, un libro sull'India, un libro sulla medicina classica e quella alternativa, un libro sulla ricerca della propria identità.
Con pochi tratti rapidi, Mariolina Venezia disegna una città che potrebbe essere ovunque, con le sue scuole, ospedali, supermarket. Qui vivono i protagonisti di queste storie, immersi nelle loro routine, senza nemmeno rendersene conto, compiono qualche piccolo tradimento a se stessi o al prossimo. Vigliaccherie. Inezie. Non perseguibili penalmente, appena condannabili moralmente. Da questa "zona grigia" si scatena una serie di effetti collaterali sempre più potenti, svelando un po' alla volta il disegno: il bene e il male si sviluppano dentro ognuno di noi, e si diffondono attraverso i legami che ci uniscono. Il gesto mostruoso della cronaca viene così ricollegato al suo contesto, non più episodio isolato, ma prodotto di una catena di cause ed effetti della quale tutti sono partecipi, e in qualche misura responsabili. L'autrice di "Mille anni che sto qui", in questo primo libro, uscito da Theoria nel '98, anticipa la ricchezza di personaggi che si ritroverà nel suo romanzo, raccontando una società metropolitana in cui si stanno perdendo la sacralità della vita e della morte e i valori della storia e dei legami fra gli individui. Risalendo fino alle radici della sofferenza e della gioia, sullo sfondo di una dilagante crisi della famiglia e delle istituzioni, questi racconti sembrano anticipare certi folgoranti eventi degli ultimi anni di cronaca italiana.

