
In questa saga famigliare lirica e avvincente, affidata alle voci di tre generazioni, il dramma dell'Iraq rivive attraverso le passioni amorose, l'impegno civile e lo slancio religioso degli uomini e delle donne che ne hanno attraversato le turbolente vicissitudini: amanti e fratelli divisi dalla politica fino al delitto, padri distrutti dalla fuga in Occidente dei figli, giovani che tentano faticosamente di ricostruirsi una vita in Europa, madri rimaste sole ad assistere alla devastazione dell'Iraq durante la Guerra del Golfo.
Kantu è giovane, bella, piena di interessi e di entusiasmo. Vive a Cuzco, una città del Perù, e trascorre le sue giornate tra lo studio, gli amici, le feste. Non conosce nulla delle antiche tradizioni andine, della scienza della Pachamama, degli insegnamenti dei curanderos. Non la interessano. Un giorno, un evento inatteso sconvolge il suo universo, costringendola a confrontarsi con una realtà a lei incomprensibile. Disposta a tutto pur di conquistare l'uomo che ama, Kantu intraprende un cammino difficile che la porterà a riscoprire l'energia che c'è in lei.
Privato è una resa dei conti in forma di romanzo: tenera e spietata, fatta di verità e di sentimenti, di personaggi ed emozioni.
È un dialogo violento e amoroso della protagonista-narratrice con la propria madre, che l'ha fatta nascere in un mondo dove è stato possibile l'orrore di Auschwitz. È un confronto con la fede degli avi, quella che la madre incarnava con forza, quella che è assurdamente, orribilmente diventata una colpa. È la partita sempre aperta tra la Storia e la vicenda di una sopravvissuta al cospetto della Storia. È la conversazione impossibile con il fratello Ödön, che non ha mai voluto parlare del proprio passato e della morte del padre, nei campi. È una resa dei conti che attraversa l'Europa: dall'Italia, dove vive la narratrice di Privato, alla Germania, ovvero il passato che non riesce a passare. Si spinge verso Israele, con il sogno di una nuova patria e un futuro che non può mantenere le promesse. E giunge fino in Brasile, rifugio per un lontano esilio.
In questo dialogo tra passato e presente emergono figure emblematiche. Non solo la madre, morta all'ingresso nel Lager, e il fratello Ödön, scomparso alla fine di una vita di emigrazione in Sudamerica, ma la sorella sopravvissuta, l'amico scrittore, i vicini di casa dell'infanzia, il marito italiano: testimoni ognuno della propria esperienza, compresenti nel confronto continuo con la memoria.
Edith Bruck, di origine ungherese, è nata in una povera, numerosa famiglia ebrea. Nel 1944, poco più che bambina, il suo primo viaggio la porta nel ghetto del capoluogo e di lì ad Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen… Sopravvissuta alle deportazione, dopo anni di pellegrinaggio, approda definitivamente in Italia, adottandone la lingua.
Nel 1959 esce il suo primo libro Chi ti ama così, un'autobiografia che ha per tappe l'infanzia in riva al Tibisco e la Germania dei Lager. Nel 1962 pubblica il volume di racconti Andremo in città, da cui il marito Nelo Risi trae l'omonimo film.
È autrice di poesia e di romanzi come Le sacre nozze (1969), Lettera alla madre (1988), Nuda proprietà (1993) e Lettera da Francoforte (2004). Nelle sue opere il più delle volte ha reso testimonianza dell'evento nero del XX secolo. Nella lunga carriera ha ricevuto diversi premi letterari ed è stata tradotta in più lingue.
Roma, fine anni Sessanta: tra i caffè di piazza Navona scossi da aspirazioni rivoluzionarie, la storia di un precipitoso matrimonio e delle sue amare conseguenze tra un giovane rappresentante dell'aristocrazia industriale alla ricerca del senso della propria vita e una bellissima ereditiera, altrettanto smarrita e vittima di un inconfessabile trauma familiare. Narrata con tono partecipe e insieme disincantato da un testimone a trent'anni di distanza, una fiammeggiante parabola di desiderio e perdita di due "belli e dannati", implacabile nel rivelarci i privati abissi che albergano in ogni uomo, sotto la superficie di ogni amore.
Fra il 1923 e il 1929 Borges pubblica tre volumi di poesia su cui in seguito interverrà radicalmente, e tre di prosa che saranno ripudiati. Tutti gli altri scritti – dispersi per lo più in periodici e riviste – cui era affidata l’insolente riflessione di quegli anni verranno dimenticati. E si capisce: ansioso di giustificare una tumultuosa militanza ultraista, ma soprattutto di «disanchilosare l’arte» e di difendere la sua poesia, Borges dichiara la supremazia dell’«estetica attiva dei prismi», capace di forgiare una visione personale, sull’«estetica passiva degli specchi», che trasforma l’arte in copia; addita nel ritmo, elemento acustico, e nella metafora, elemento luminoso, gli strumenti imprescindibili di tale rivoluzione; regola impavido i conti con i morti e i loro esercizi di retorica; stigmatizza risolutamente il «nulla immobile» della letteratura coeva, preoccupata solo di cambiare di posto alle «cianfrusaglie ornamentali» che pretendono di discendere da Góngora e di «infilzare in quantità infinite i consunti aggettivi»; celebra una Buenos Aires che nelle «ore orfane che vivono come spaventate dagli altri e delle quali nessuno si cura» diventa libertà di poesia, ed esalta l’ultimo tango, «zolletta di zucchero che da sola addolcisce la città offuscata e molle». Anni spavaldi, certo, di fervori iconoclasti, ma che a ben vedere ci dischiudono il segreto lavorio da cui nascerà il più indimenticabile Borges, come appare evidente da questo passo del 1923: «le nostre nullità differiscono così poco, e così tanto influiscono le circostanze sulle anime, che è quasi una casualità che tu sia il leggente e io lo scrivente – il sospettoso e appassionato scrivente dei miei versi».
Erica Falck è tornata nella casa dei genitori a Fjällbacka, incantevole località turistica sulla costa occidentale della Svezia che, come sempre d'inverno, sembra immersa nella quiete più assoluta. Ma il ritrovamento del corpo di Alexandra, l'amica d'infanzia, in una vasca di ghiaccio riapre una misteriosa vicenda che aveva profondamente turbato il piccolo paese dell'arcipelago molti anni prima.
Se questo libro fosse un disco, magari uno della leggendaria collezione di Murakami, sarebbe un concept album. Otto racconti molto diversi ma uniti dallo stesso «strumento» suonato: la prima persona singolare. Un Murakami davvero inedito, non solo perché sono nuove le storie che racconta. È nuovo il modo in cui si mette in gioco: otto diversi modi di dire «io», per parlare a tutti. «La "prima persona singolare" di Murakami osserva la vita da un punto preciso, lì dove la realtà deraglia e il particolare si fa universale. Questo libro ci svela che davvero esiste un mondo, un altro mondo, dentro al nostro» (Laura Imai Messina). Murakami Haruki è da solo in viaggio nel nord del Giappone quando decide di fermarsi per la notte in un ryokan, le tipiche locande di montagna giapponesi. Ad accoglierlo un locandiere vecchissimo e di poche parole e un gatto che appare altrettanto decrepito. Ma che importa, il posto è accogliente e poi non c'è altro disponibile nei dintorni: anzi, Murakami decide di approfittare del bagno termale per rilassarsi. Ed è lì, tra i vapori dell'acqua calda, che entra una scimmia: «Buonasera », dice la scimmia, «vuole che le lavi la schiena?» La scimmia ha imparato a parlare dal suo antico padrone, un professore di Shinagawa, un quartiere di Tokyo, ama ascoltare Bruckner (apprezza in particolare il terzo movimento della Settima sinfonia) e ha una vita molto interessante alle spalle. La racconterà al nostro narratore poco dopo, in camera, mentre si bevono una Sapporo come due vecchi amici che, complice la notte, aprono il loro cuore intorno al tema dei temi: l'amore, l'amore romantico e quello erotico, la solitudine e il suo opposto, il desiderio e ciò che significa nella vita degli esseri viventi. Pare proprio che, con la raggiunta maturità anagrafica e artistica, Murakami Haruki abbia deciso di puntare il telescopio della sua arte verso l'interno, verso quella «prima persona singolare» che nelle opere precedenti restava nell'ombra. E per farlo ci regala otto racconti in cui dice «io», otto gemme che anche quando sconfinano nei mari del fantastico non rinunciano alla sincerità, al calore della confessione, all'emozione di un cuore per la prima volta messo a nudo.
Coppie sul filo del tradimento, matrimoni che non funzionano, vecchi amanti che si ritrovano, grandi amori che sembrano realizzarsi, ma si consumano nella bellezza di un gesto e si sciolgono nel rimpianto, effimeri come la prima neve sul Fuji o le gocce di rugiada sulle foglie di bambú. In questi racconti dell'inquietudine amorosa Kawabata è a un passo dal sentimentalismo: basterebbe una parola in più e saremmo nella letteratura di genere; e invece c'è una parola in meno, quel pizzico di non detto che trasporta la banalità del quotidiano in un'ambiguità rarefatta, in una malinconia assoluta. Dove il dolore, l'arte e la morte sono molto vicini, almeno per un attimo, alla perfezione della natura.
Nell'America puritana del primo Novecento, Laura Morgan, una ragazza bella e spregiudicata, si sottrae al matrimonio con la fuga in Europa. Nel Vecchio Mondo, tra la mondanità dei salotti parigini e il dorato isolamento delle tenute in Cornovaglia, conosce gli splendori e le miserie di una nobiltà decadente e due personaggi perversi e affascinanti, che la trascinano in un gioco ambiguo. Ma l'uomo che ha rifiutato di sposare l'ha seguita a sua insaputa: riuscirà il suo amore a salvarla da se stessa?
«Tutte le famiglie felici sono simili fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo»: è il celebre incipit dell'Anna Karenina di Tolstoj. Nella loro bella casa di Ann Arbor, in Michigan, dove un tempo erano una coppia felice di respirare ogni giorno «la stessa aria domestica», Frank e Ellie Benton sembrano perfettamente confermare la verità racchiusa in queste parole.
Dopo la morte di Benny, il loro bambino stroncato da una malattia improvvisa, ciascuno di loro ha coltivato l'infelicità a modo suo. Ellie si è ostinatamente rifugiata nel suo lavoro di psicoterapeuta; Frank, del tutto incapace di colmare l'assenza del figlio, ha via via nutrito un sentimento di aperta ostilità nei confronti di Ellie, come se la moglie fosse in qualche modo responsabile della sciagura abbattutasi sulla loro vita.
La memoria di quel che resta del tempo gioioso trascorso con Benny, i libri di Harry Potter, le foto di scuola, rappresentano una frattura insanabile, oltre che un ricordo straziante. La stessa Ann Arbor sembra un vuoto scenario, dove è impossibile strappare un motivo per alzarsi la mattina.
Accade così che Ellie decida un giorno di infrangere la regola che da sempre ripete ai suoi pazienti: non prendere nessuna decisione importante dopo un evento traumatico. Convince Frank ad accettare la proposta di andare a dirigere uno stabilimento a Girbaug, un villaggio sperduto nell'India rurale.
Sotto un cielo nuovo potrebbero forse ritrovarsi.
E una volta laggiù, in effetti, la solitudine personale sembra lenita dalla solitudine stessa del mondo. Tra incantatori di serpenti, mucche sacre e bisogni e abitudini semplici, Ellie ritorna alla vita. Presta assistenza volontaria in una clinica locale, dove riesce a instaurare autentici rapporti d'amicizia e ad aprirsi a sconosciuti e affascinanti saperi.
Lo stesso Frank si scopre capace di allontanare in qualche modo da sé il dolore quando fa il suo ingresso nella loro casa Ramesh, il figlio dei domestici. Su di lui riversa generosità e aspirazioni che al bambino sembrano essere sempre mancate.
Ma anche dove governa l'esistenza semplice, «con umanissimi e insopprimibili bisogni, desideri e aspirazioni», anche là si mostra la faccia oscura della vita.
Romanzo che esplora la fatica tutta umana di guarire dal dolore, e offre un ritratto vibrante dell'India e delle sue trasformazioni, Il prezzo del paradiso è una splendida conferma del talento di Thrity Umrigar, una scrittrice capace come poche di mostrarci gli odierni conflitti del cuore e della mente.