
Il primo romanzo pubblicato dal premio Nobel per la letteratura nel 1935. Polonia, metà del XVII secolo. Nel villaggio ebraico di Goray, presso Lublino, i pochi sopravvissuti a un massacro ascoltano la predicazione del falso Messia Sabbatai Zevi. Un venditore ambulante annuncia la redenzione e il ritorno degli ebrei a Gerusalemme. Il messaggio è raccolto, fra gli altri, dallo zoppo Mordechai Joseph. Il rabbino Rabbi Benish è certo del carattere malefico degli eventi annunciati, e ripara a Lublino. Il venditore ambulante sposa Rachele, ma, vittima dei digiuni e della depressione, si rivela impotente, fra lo scherno del villaggio...
Alle soglie del 1666 si diffuse in Polonia la notizia che per gli ebrei la fine dell'Esilio era imminente: un uomo chiamato Shabbatay Tzevi si era rivelato come il Messia, e presto una «nuvola sarebbe apparsa e li avrebbe portati tutti in Terra Santa». I segni non erano mancati: nel decennio precedente i cosacchi dell'atamano ucraino Chmel'nitskij avevano massacrato quasi centomila ebrei, «scorticando vivi gli uomini, sgozzando i bambini, violando le donne per poi squarciarne i ventri e cucirvi dentro gatti vivi». Ma quegli orrori non erano altro se non «le doglie che annunciavano la nascita del Messia». Per accelerare la liberazione - così dicevano gli emissari di Shabbatay Tzevi - bisognava immergersi nell'oscurità del peccato: solo la discesa agli inferi avrebbe consentito l'ascesa delle anime, e la perfetta redenzione. Anche gli abitanti di Goraj, «la città nascosta tra le colline in capo al mondo», si abbandonano dunque all'idolatria e alla licenza, infrangendo ogni legge. Ma la sciagura si abbatte su di loro: dopo aver giaciuto, benché sposata, con il capo dei sabbatiani, Rechele la profetessa viene posseduta da un dybbuk, e finisce per essere ingravidata da Satana, mentre la disperazione stringe in una morsa la città, stremata dalla carestia. Perché a Goraj «vi sia contentezza» bisognerà che le forze demoniache vengano scacciate, e il nome dell'Onnipotente sia di nuovo santificato. «Che meraviglioso, meraviglioso mondo,» ha scritto Henry Miller «un mondo bello e terribile, quello di Isaac Bashevis Singer, benedetto sia il suo nome!».
Cambridge, 1965. Due ragazzi si conoscono e si innamorano. Lei si chiama Sonia Maino, è italiana e proviene da una famiglia semplice. Lui è indiano e sì chiama Rajiv Gandhi: è figlio di Indira e nipote del Pandit Nehru, il fondatore, insieme al Mahatma Gandhi, dell'India indipendente. Superata l'opposizione iniziale del padre della ragazza, nel 1968 i due si sposano. Al matrimonio, lei indossa un sari rosso, il colore delle spose indiane. Nascono due figli, ma la tranquillità familiare non durerà a lungo. Presto Rajiv diventerà consigliere della madre e segretario generale del Partito del Congresso. Nel 1984 Indira Gandhi, al secondo mandato come primo ministro, perde la vita in un attentato e il figlio le succede. La tragedia incombe: nel maggio del 1991 Rajiv viene assassinato da un commando delle Tigri Tamil. Nel 1995 avviene l'incredibile: Sonia accetta il ruolo di leader offertole dal Partito del Congresso. Sarà proprio lei a portare alla vittoria il suo schieramento alle elezioni del maggio 2001, rinunciando poi al ruolo di primo ministro, pur rimanendo alla presidenza del Partito per perseguire il suo obiettivo iniziale, lo stesso del marito e della suocera: la lotta alla povertà. Con una scrittura epica e carica di sensualità, sulla scia di "Stanotte la libertà" di Dominique Lapierre e Larry Collins, Javier Moro ricostruisce nel suo "Sari rosso" la storia memorabile e appassionante dell'"italiana" diventata "figlia dell'India".
Naboru Kuroda ha tredici anni, vive a Yokohama solo con la madre Fusako da quando il padre è morto,cinque anni prima. È un ragazzo duro e orgoglioso della propria insensibilità, che ama però spiare la madre quando si spoglia nuda per coricarsi. Una sera viene ospite da loro un ufficiale di marina, Tsukazaki Ryuji, e la donna gli si concede di nascosto dal figlio che però li osserva alla luce della luna. E questa sarà per lui un'esperienza voluttuosa e illuminante. Intanto Ryuji pur impacciato nell'esprimere e riconoscere i sentimenti, capisce che Fusako, con la sua bellezza imperturbabile e sensuale, è la donna della sua vita. Naboru, da parte sua, prova a spiegare alla sua piccola banda di amici, nichilisti come lui e crudeli per scelta, che meraviglioso uomo di mare sia l'amante della madre. Ma si ricrederà e dovrà rassegnarsi alla volontà sadica dei compagni, al loro delittuoso anelito di negare ogni senso al mondo. Mishima scandaglia con maestria il fondo oscuro dell'animo di questi ragazzi per i quali, che si tratti di un gatto sfortunatamente capitato nelle loro mani o di un uomo, conta solo la capacità di non provare compassione o emozione nell'aggredire. Per loro che si affacciano alla vita, la maturazione pare non consistere in altro che nell'impassibilità davanti all'esperienza del sangue e della morte.
Sylvia, diciassette anni appena compiuti, viene investita nel pieno della notte dalla Porsche di un calciatore argentino ventenne del quale finirà per innamorarsi. Lorenzo, il padre di Sylvia, abbandonato dalla moglie, disoccupato, tenta di ricostruirsi una vita assassinando il suo vecchio socio d'affari. Leandro, padre di Lorenzo e nonno di Sylvia, uomo mediocre e pianista mancato, ora pensionato (la moglie Aurora è in ospedale in punto di morte), si gioca pensione e reputazione frequentando un bordello di periferia.Tre protagonisti, una sola famiglia, una sola città. Madrid. Tre vite, tre biografie, tre prospettive.
Sylvia, diciassette anni appena compiuti, viene investita nel pieno della notte dalla Porsche di un calciatore argentino ventenne del quale finirà per innamorarsi. Lorenzo, il padre di Sylvia, abbandonato dalla moglie, disoccupato, tenta di ricostruirsi una vita assassinando il suo vecchio socio d'affari. Leandro, padre di Lorenzo e nonno di Sylvia, uomo mediocre e pianista mancato, ora pensionato (la moglie Aurora è in ospedale in punto di morte), si gioca pensione e reputazione frequentando un bordello di periferia. Tre protagonisti, una sola famiglia, una sola città. Madrid. Tre vite, tre biografie, tre prospettive: Trueba esplora le possibilità esistenziali del sentimento in un mondo in cui nulla è più ciò che sembra. Ognuno cerca di conquistare a modo suo un'identità vincente, ma in verità "bisogna saper perdere". "Saper perdere" è uno spaccato della Madrid contemporanea, che rivela fino in fondo l'ansia dell'uomo di fronte alla felicità: un oggetto quanto mai indefinito e impossibile da comprendere al di fuori della barriera della propria intimità.
Il santo nell'ascensore racconta la Romania di oggi, le sue ferite e i suoi traumi, facendoci sorridere e procedere spediti tra le pagine al ritmo di una musica popolare. «Romanzo di angeli e moldavi», ci sorprende con le parabole surreali del calzolaio Simion che, chiuso nell'ascensore all'ottavo piano, rivela agli altri condomini l'esistenza di Dio e dell'anima. Ognuno degli abitanti del palazzone popolare di Via delle Pecore trova in Simion - che interpreta a suo modo la pratica degli asceti stiliti - una guida spirituale: la moglie infedele, il professore ricattato dalla sua allieva, la ragazza sedotta dal fìnto maestro di yoga, il bambino innamorato della sua professoressa di Lettere... Anime spaesate nel loro stesso Paese, diviso tra vecchia mentalità statalista, leggi del libero mercato e civiltà patriarcale.
Questo apologo allegro e scanzonato, ricco di pagine esilaranti e di solare erotismo, ha per protagonista la stravagante figura di una santa munita, secondo la tradizione, di un mazzetto di fulmini: santa Barbara. Un bel giorno la sua statua viene fatta trasportare dal Reconcavo a Bahia per una esposizione d'arte sacra. Ma già durante il breve viaggio, su un peschereccio, la statua comincia a dar segni di irrequietezza: per rimettere a posto alcune situazioni che non le vanno a genio, al momento dell'attracco prende vita e, assunto l'aspetto di Yansã, signora dell'uragano e della guerra, se ne va in giro per le strade, seminando panico e raccogliendo reverenti omaggi. Siamo negli anni della dittatura militare, e la sparizione della statua getta nello scompiglio la polizia e la stampa.
In fuga dalla polizia degli Stati Uniti, Jack Burn ha catapultato la famiglia a Città del Capo con la speranza di iniziare una nuova vita. Luogo di richiamo per turisti, molti dei quali americani, la città offre un riparo perfetto e permette un facile anonimato.
Ma oltre le apparenze si rivela piena di rischi per chi non ne conosce le regole.
Sul suo territorio non si è ancora rimarginata la separazione tra la zona dei bianchi ricchi e le aree circostanti, i sobborghi operai e i Cape Flats, il quartiere-ghetto nel quale era stata segregata la popolazione di colore ai tempi dell'apartheid.
Burn si ritrova suo malgrado coinvolto nel conflitto tra le due realtà. Per proteggere la moglie incinta e il figlio piccolo è costretto a ricorrere alla forza uccidendo due gangster e attirando su di sé l'attenzione di Barnard, poliziotto folle e corrotto che per anni ha sfruttato il suo potere sulla povera gente. Contro questo nuovo nemico l'unico alleato è l'ex galeotto Benny Mezzosangue, assassino in cerca di una disperata quanto impossibile redenzione.
Negato come rapinatore di banche perché incasina le fughe. Negato come pappone perché si affeziona alle prostitute. Negato come pusher o esattore di crediti perché non sa tenere i conti. Nel giro della mala, l'unica cosa che Olav è capace di fare è il liquidatore, il killer. Ma quando Daniel Hoffmann, il boss della droga di Oslo, gli ordina di uccidere sua moglie perché lo tradisce, persino lui capisce di essere finito in un mare di guai. Se poi, anziché uccidere la donna, Olav se ne innamora, è chiaro che il mare è destinato a diventare un oceano. Ormai braccato, gli resta una sola speranza: liquidare Hoffmann prima che Hoffmann liquidi lui, magari chiedendo aiuto al suo peggior nemico. Auguri.
«A Pasqualino, che aveva sei anni e ogni mattina portava giù l'immondizia, al pescatore monco, perché metteva a tacere il mare, a Santo Strato, perché proteggeva il palazzo e i malati»: a loro Márai dedica il suo «romanzo napoletano», ambientato nella città dove aveva vissuto dal '48 al '52, prima di partire per gli Stati Uniti. A formare il vasto coro, lacero e sgargiante, che commenta la vicenda intorno alla quale è costruito il libro, sono gli uomini, le donne e i bambini della città, con la loro miseria, il loro lerciume, le loro interminabili chiacchiere, la loro fatica di vivere, il loro orgoglio ancestrale di aristocratici, le loro liti che scoppiano furibonde, teatrali, ritualizzate, da una finestra all'altra, i loro lutti non meno teatrali e urlati, la loro religiosità pagana e superstiziosa, i loro santi arcigni e polverosi dentro le teche di vetro, la loro umanità piagata e ghignante. Un intero popolo che, fra tutte le possibilità, crede che «la più verosimile sia il miracolo» (anche quelli che si dichiarano comunisti, anzi soprattutto loro). Un giorno arrivano a Posillipo due stranieri, un uomo e una donna (inglesi? polacchi?): displaced persons, così li definiscono le autorità, profughi. Anche loro, almeno per un po', crederanno che lì possa avvenire il miracolo. Ma un giorno, durante una bufera, l'uomo precipita da un belvedere sfracellandosi sulla spiaggia. Suicidio? Omicidio? Ne sentiremo parlare in tre lunghi monologhi dai quali potremo intuire che cosa abbia significato, per quell'uomo, la condizione dell'esule.
In un paesino della provincia di Zamora, si scontrano (e poi diventano misteriosamente detentori di un segreto che li accomuna) il parroco, Manuel Bueno, che tutti venerano e considerano come un santo e Lazzaro, la pecora nera del paese, agnostico dalle idee progressiste, che è appena tornato dall'America dove aveva fatto fortuna.