
Una donna. O novantasette differenti creature? Il libro si direbbe un inno all'eterno femminino nella sua inarrestabile e travolgente ricchezza di caratterizzazioni, in un continuo ondeggiare fra il sublime, il divino, il comico, il grottesco, l'ovvio e il volgare del quotidiano. Ognuna di queste donne è un'anti-Barbie: ora dea arrogante e inavvicinabile, ora amante capricciosa e passionale, ora moglie e madre detestabile, sa di Chanel n. 5 o di cipolle, ma è sempre irresistibile in tutte le sue metamorfosi. Travolto dalla vitalità di lei, il maschio narratore e personaggio di queste storie si tormenta nel desiderio, languendo nella propria inabilità e soggezione di eterno bambino-adolescente. Un balletto irregolare, in questa galleria di figure femminili con le quali i lettori non possono non entrare in un ambiguo rapporto di fascinazione, avvinti da opposte emozioni di repulsione e attrazione.
Il romanzo ruota attorno alla vedovanza di dona Flor e al suo lutto stretto, vissuto nel ricordo di Vadinho, delle loro ambizioni, del fidanzamento e dello sposalizio. Coglie l'intimità della giovane vedova, il suo riserbo, le sue notti insonni e la sua insoddisfazione. Racconta di come arrivò onorata al suo secondo matrimonio, quando il fardello del defunto cominciava a pesare sulle sue spalle, e di come visse in pace e armonia, senza dispiaceri né soprassalti, con suo bravo secondo marito, nel mondo della farmacologia e della musica. E mentre lei brilla nei salotti e il coro dei vicini le ricorda la sua felicità, Vadinho, nel suo corpo astrale, la visita, la corteggia, le elargisce gioie eccezionali e consigli formidabili.
Lo spazio della pampa, la vita dei mandriani, la natura illimitata, la condizione fra libera e servile degli uomini, il sangue misto e l'incertezza delle origini disegnavano una vita apparentemente brada, ma in realtà soggetta a codici astratti e feroci: un mondo a parte, di selvaggia nobiltà, fondato sull'infamia e sulla fierezza taciturna, sul privilegio del gesto sulla parola, sul rischio mortale e inutile, prova di assoluto prestigio e di vitalità. Terreno naturale, perciò, di storie favolose, tanto più intense quanto più scarni e ripetitivi sono gli elementi delle vicende.
"Vero è che avevo sempre pensato che Don Giovanni non poteva essere tanto cattivo come nel tempo lo avevano dipinto da Tirso de Molina in poi, né Donna Anna e Donna Elvira delle creature tanto innocenti, per non parlare del Commendatore, puro ritratto di un onore sociale offeso, né di un Don Ottavio che a stento riesce a dissimulare la vigliaccheria sotto le affabili battute che va via via declamando nel testo di Lorenzo da Ponte. Azio Corghi insisteva, insisteva, e allora, come ultima possibilità, attirato dalla sfida, ma nello stesso tempo intimidito dalla responsabilità dell'impresa, gli dissi che se mi fosse venuta un'idea, una buona idea, ci avrei provato. Passava il tempo, passavano i mesi, con Azio che domandava, e finalmente l'idea è nata. Ora mi viene il sospetto che potrebbe non essere così buona quanto al principio mi era parso, ma il risultato è questo. Si può alzare il sipario. Mancherà la musica, che è sempre la cosa migliore di tutte. Speriamo che il lettore possa ascoltare, avvicinando bene l'orecchio alla pagina, quell'altra musica che possiedono le parole e che queste forse non hanno del tutto perduto." (José Saramago)
In un non ben precisato paese dell'America Latina, Donna Costanza, alle prese con un fastidioso problema idrico, decide di modificare il naturale corso del fiume per riuscire a riempire la sua piscina. L'operazione desta non poca perplessità nei suoi compaesani che decidono di bloccare l'insano proposito. Ne nasce una vera e propria guerra che vede contrapposti agli intrepidi locali i brutali squadroni capeggiati da Capitan Rodrigo Figueras.
Nel maggio del 2002, una giuria composta da un centinaio di scrittori di oltre cinquanta Paesi ha scelto il romanzo di Cervantes come "the world's best work of fiction" (La migliore opera di fantasia del mondo) di tutti i tempi, assai più votato delle opere di Proust, Shakespeare, Omero, Tolstoj. Cos'ha "Don Chisciotte della Mancia" per meritare una tale preferenza? Nessuno potrà dirlo con sicurezza, ma è un fatto che, dal momento della sua apparizione, nel 1605, questo libro ha goduto in modo crescente di una stima e di un successo eccezionale. Questa edizione del capolavoro di Cervantes presenta il testo critico spagnolo costituito sulla comparazione di un centinaio di edizioni antiche e moderne, una sorta di summa di quattrocento anni di studi preparata dal professor Francisco Rico, conoscitore massimo dell'opera cervantina; è corredata da un apparato di note tanto essenziali quanto illuminanti; infine è dotata, a fronte, della traduzione italiana di Angelo Valastro Canale, che si è avvalsa dei più recenti commenti al "Don Chisciotte".
Nel quarto centenario del "Don Chisciotte" viene riproposta la traduzione, ormai classica, che Vittorio Bodini realizzò per i "Millenni" Einaudi nel 1957. Una traduzione lineare, limpida, e al tempo stesso arguta per la resa dei bisticci, delle battute e dei proverbi. Questa edizione comprende, oltre all'introduzione di Bodini, una biografia dell'autore e una bibliografia essenziale degli studi sul "Don Chisciotte" in Italia e all'estero, un'originale interpretazione di Erich Auerbach e un commento "per immagini" di Gustave Doré.
Capolavoro della letteratura mondiale, Don Chisciotte inaugura la grande stagione del romanzo moderno. Scritto con l'intento di parodiare i libri di cavalleria, narra le gesta di un nobile hidalgo spagnolo, idealista e folle, e del suo fido scudiero Sancho Panza, dal tenace e realistico buon senso. Sul filo di vicende grottesche e sconclusionate dominate dall'animo visionario del protagonista, i due vanno verso "un destino di sconfitta e di smentita". Ma dietro una realtà disincantata e triste, permane nel romanzo un sorriso di saggezza, che guarda a tutte le illusioni con animo sereno, non ripudiandone nessuna, perché tutte sono proprie dell'uomo. Introduzione di Dario Puccini.
Nata dalla fantasia di Miguel de Cervantes, mentre era rinchiuso nel carcere di Siviglia, la storia del cavaliere errante e del suo fido scudiero Sancho Panza, che si svolge durante il regno di Filippo III di Spagna, ci induce a percorrere un itinerario al tempo stesso cavalleresco, etico, letterario, sociale e sentimentale. In una miscela dei generi narrativi in voga, Cervantes supera il canone letterario, la norma unitaria, l'esclusione di temi e realtà, per comporre un mondo in cui nulla di umano è estraneo alla sua sensibilità. Sfortunato e grande scrittore, Cervantes ha lavorato sul linguaggio componendo il primo romanzo moderno e al tempo stesso portando a maturità una lingua che si sarebbe poi diffusa oltremare, grazie alla vitalità che ha saputo darle il serrato dialogo tra il cavaliere e lo scudiero, eroi strampalati e umanissimi. Introduzione di Alessandra Riccio.
Frutto del disinganno e dell'abisso che l'epoca ha scavato fra realtà quotidiana e grandezza imperiale, il Don Chisciotte è unanimemente annoverato tra i classici della cultura occidentale. Nata dalla fantasia di Miguel de Cervantes, mentre era rinchiuso nel carcere di Siviglia, la storia del cavaliere errante e del suo fido scudiero Sancho Panza, che si svolge durante il regno di Filippo III di Spagna, ci induce a percorrere un itinerario al tempo stesso cavalleresco, etico, letterario, sociale e sentimentale. In una miscela dei generi narrativi in voga, Cervantes supera il canone letterario, la norma unitaria, l'esclusione di temi e realtà, per comporre un mondo in cui nulla di umano è estraneo alla sua sensibilità. Sfortunato e grande scrittore, Cervantes ha lavorato sul linguaggio componendo il primo romanzo moderno e al tempo stesso portando a maturità una lingua che si sarebbe poi diffusa oltremare, grazie alla vitalità che ha saputo darle il serrato dialogo tra il cavaliere e lo scudiero, eroi strampalati e umanissimi.
Sasa fugge, sempre. E si divincola per sottrarsi a qualcosa: ai Balcani dove è nata e di cui intravede le prime crepe, che di lì a poco si allagheranno di sangue; alla Cuba castrista troppo calda e ammaliante e in cui sua madre balla troppo a lungo con Fidel; alla sua New York dei primi tempi, fatta di luride scale antincendio, materassi a ore e sexy-shop. Sasa accetta di attraversare tutto, compresa l'eroina, i peep-show e rapporti non sempre disinteressati, ma pretende in cambio il diritto all'ultima, quasi sempre abrasiva, parola. La cronaca fedele e immaginaria di una discesa agli inferi scandita dal ritmo e dai tempi comici di una surreale, sinistra e malinconica commedia sofisticata, con al centro il più riuscito personaggio dell'autrice: se stessa.
"Dolore e ragione" apparve a New York nel 1995, poche settimane prima della scomparsa dell'autore, offrendosi così, inevitabilmente, come opera testamentaria. Di fatto, leggendo i tre grandi saggi su Frost, Hardy e Rilke, che fanno da perno al libro, risulta difficile immaginare un grado ulteriore di tensione. Se si uniscono i saggi qui presentati a quelli su W. H. Auden e Marina Cvetaeva pubblicati in precedenza, si intravede un paesaggio della poesia moderna nuovo, ben più convincente di quelli offerti in varie scuole accademiche. Ma parlare di poesia per Brodskij ha sempre significato parlare di tutto e del tutto, poiché per lui la poesia era "l'unica assicurazione disponibile contro la volgarità del cuore umano".