
Il leggendario eroe elvetico e la fondazione della nazione svizzera nell'ironico racconto di un gigante della letteratura mondiale. Il 1º agosto del 1291 è una giornata afosa a Uri, nella Svizzera Primitiva. Corrado von Tillerndorf, Balivo del Sacro Romano Impero in missione diplomatica per conto degli eredi di re Rodolfo, deve partire e lasciare finalmente quella valle tetra, niente affatto congeniale alla sua cagionevole salute. Quel giorno Guglielmo Tell, un forestale con la balestra a tracolla e per mano suo figlio, rifiuta di omaggiare il cappello imperiale conficcato su un'asta nella piazza della città. Ancora poche ore e il cappello sarebbe stato rimosso, pensa l'annoiato Corrado, chiamato a dirimere la faccenda. Non poteva immaginare che avrebbe assistito a quello che diventerà il mito di fondazione della Svizzera libera. In questo breve, ironico racconto Max Frisch ripercorre le tappe della vicenda corredandole con note che interrogano la storicità degli avvenimenti e insieme suggeriscono nuove, gustosissime trame narrative.
Le pagine del diario che Urbain Martien, ormai novantenne, consegna al nipote poco prima di morire contengono il secolo forse più duro della storia dell'umanità. Parlano di un ragazzino di Gand che sognava di fare il pittore e che lo scoppio della Prima guerra mondiale ha trascinato su uno dei fronti più crudeli del conflitto. Raccontano di un altro tempo, di cui perfino gli odori sono scomparsi; un tempo che cominciò ad agonizzare dopo che a Sarajevo "un colpo nemmeno tanto ben mirato mandò in frantumi la pura illusione della vecchia Europa", portando alla rovina il mondo che Urbain Martien aveva conosciuto, e creando una cesura al di là della quale niente più sarebbe rimasto al proprio posto. Anche circondato da morte e fango, sotto un cielo infinito, carico di quelle nuvole che tanto sollecitano la sua fantasia, Urbain non abbandonerà mai il disegno. Quando il tempo sembra fermarsi, nella luce surreale della piana dell'Yser, l'arte lo aiuta a placare il pianto del mondo che va in pezzi intorno a lui. Le storie della guerra insieme al viso di una donna, grande amore perduto per sempre, ritorneranno silenziosi sulle tele cui dedicherà tutta la sua esistenza. Riscrivendo la vita di Urbain Martien, Hertmans costruisce un romanzo che si nutre della testimonianza di chi ha vissuto l'orrore delle trincee delle Fiandre occidentali, per poi ritrovarsi a vivere nelle trincee dei propri ricordi.
In questo saggio del 1906 - ritrovato per questa edizione italiana - Tolstoj delinea il suo programma d'azione politico e denuncia la tirannia degli stati e la cecità morale della società. Egli si fa profeta di una nuova era e con grande lucidità invita alla insubordinazione verso ogni forma di governo. Lo spunto è offerto dalla convulsa dinamica della Rivoluzione russa del 1905, emersa sulla scorta della sconfitta della Russia nel conflitto con il Giappone. È tra l'ottobre e il novembre del 1905 difatti che Tolstoj scrive quest'opera, che non riuscì poi a vedere la luce in patria per la feroce censura zarista. Tolstoj indica qui la strada verso una "vera concezione della vita". Per liberarsi da tutti i mali di cui soffrono gli uomini c'è un unico mezzo: il lavoro interiore che ognuno deve fare per essere l'architetto del proprio miglioramento morale. Nel delegare il loro potere gli individui realizzano invece una sorta di schiavitù volontaria. Il testo, sofferta orazione che riflette sugli assetti politici del primo Novecento, fu poi pubblicato non senza difficoltà a Parigi nel 1906. Il volume diventerà presto introvabile anche in Francia, fino a questa edizione italiana.
Guerra e pace, certamente il capolavoro di Tolstoj, è, come ha scritto Ettore Lo Gatto, «la più grande opera della letteratura narrativa russa e una delle più grandi della letteratura europea del secolo XIX». Il romanzo racconta la storia di due famiglie aristocratiche, i Bolkonski e i Rostòv, in una Russia sconvolta dalla guerra e dall’invasione napoleonica. Raramente è dato di leggere un’opera in cui i destini individuali dei personaggi principali – fra cui spiccano Nataša Rostòva, il principe Andréi Bolkonski e il conte Pierre Bezuchov – si intrecciano in modo così perfetto con gli avvenimenti storici e militari: una dimensione che il cinema non ha mancato di sottolineare in tanti film di successo. L’epopea del popolo russo, il rapporto fra personalità individuale e collettività, i grandi temi filosofici dell’Ottocento e l’interrogazione sul senso della Storia si fondono in questa grandiosa narrazione tolstojana.
Meditata a partire dal 1863, più volte rivista e riscritta fino alla versione del 1886, "Guerra e pace" è l'opera più nota di Tolstòj e una delle più lette e amate della letteratura universale. In queste pagine di altissima scrittura, in cui spiccano le celeberrime figure della contessina Natàsha Rostòva e del principe Andréj Bolkònskij, si narrano le vicende di due famiglie dell'aristocrazia russa, i Bolkònskij e i Rostòv appunto, sullo sfondo della Russia patriarcale e contadina devastata dalle guerre e dall'invasione di Napoleone, ma ancor più sconvolta dall'influsso, borghese e civilissimo, dell'Europa occidentale. Della Grande Russia di inizio Ottocento "Guerra e pace" è infatti insieme il magnifico epos e la struggente elegia. Un capolavoro che esce dagli angusti confini del romanzo, per ampliarsi e trasformarsi al di là di ogni definizione di genere, e diventare di volta in volta romanzo storico, cronaca familiare, trattato storiografico, pamphlet, testo filosofico. Postfazione di Heinrich Böll.
Sullo sfondo di grandi avvenimenti storici, l'invasione della Russia da parte della Grande Armée di Napoleone con la battaglia di Borodino e l'incendio di Mosca, Tolstoj narra le vicende di due nobili famiglie russe, i Bolkonskij e i Rostov, e descrive l'intera società russa, dai ceti più alti ai più umili.
Alla fine dell'Ottocento, nel Nordest del Brasile, appare una strana figura di santo e di profeta - "le ossa sporgenti e gli occhi ardevano di un fuoco perpetuo" - che attira intorno a sé migliaia di persone sbandate e vinte dalle ingiustizie della vita. Così comincia la storia memorabile della piccola e remota Canudos, solitario avamposto contro l'immenso Brasile e incontaminato luogo di pace, che sarà raso al suolo e cancellato dal nuovo governo repubblicano.Raccontando "cose attuali, concrete, quotidiane, inevitabili come la fine del mondo e il giudizio universale", Vargas Llosa ricrea uno dei più tragici episodi della storia dell'America Latina, facendone un romanzo e una saga di forte intensità, specchio realistico e insieme fantastico delle crudeltà, speranze e illusioni dell'uomo.
Il romanzo d'esordio solista di Wu Ming 2 narra le avventure tragicomiche di un aspirante troglodita che lascia la civiltà condannata al declino per fondarne una nuova. Un collezionista di lavori precari tenta di riscattare se stesso indossando i panni del supereroe troglodita: andrà a vivere in una caverna, armato di manuali di sopravvivenza. Da lì muovera i primi passi verso la fondazione di una nuova civiltà unica alternativa al collasso personale e planetario. Ma quasi niente va come dovrebbe, forse perché c'è qualcosa di sbagliato nell'idea stessa di civiltà. O forse è solo il posto ad essere sbagliato. Un posto dove imperversa una banda di ecoterroristi, insieme ai cinghiali divenuti stranamente incontrollabili...
Il destino fa incontrare ai piedi di un faro abbandonato il saggio Ammiraglio, che un tempo ne era Guardiano, il surfista Martin, la bella Paola. Persone diverse per età, sesso, tradizioni, ma unite dagli stessi sogni e dall'immenso affetto per quella sentinella, l'antica torre, che ha visto amori, amicizie, ardori, paure e dubbi di anime alla deriva nell'infinito oceano della vita. Solo superando i muri di cristallo che si trovano nella loro mente e nel loro cuore, i tre personaggi potranno assaporare il piacere regalato da un incontro d'amore, da uno sguardo che si perde sull'orizzonte.
Il romanzo che diede a Bulgakov celebrità in vita, prima della fama universale postuma raggiunta con “Il maestro e Margherita”. Tutto ruota attorno alle vicende dei tre fratelli Turbin (Aleksej, Nikolka ed Elena) nella tempestosa Kiev del convulso inverno 1919-1920. La città è nelle mani dell'avventuriero Simon Petljura ma si trova anche nella morsa di un duplice accerchiamento, quello dell'atamano (cosacco) Shoropadskij e dei bolscevichi. Le avventure dei fratelli Turbin si susseguono fra malattie,guarigioni miracolose, preghiere, eroismi, fughe, divorzi, amori e amicizie. Sullo sfondo, tratteggiata con rapidità futurista ma allo stesso tempo con potente affiato epico, la Storia di una nazione e di un popolo fotografati in un momento decisivo.
Non esiste riparo dal vento della Storia. Così, nei primi anni del Novecento, neppure l'Isola delle Formiche, piccolo lembo di terra bagnato dal Mediterraneo, è immune dagli sconvolgimenti che il tramonto dell'Impero ottomano porta con sé. Abbandonata in seguito all'esodo coatto della popolazione greca, l'Isola offre agli occhi del giovane ufficiale turco Poyraz Musa un paesaggio immobile e meraviglioso. Ma tra gli orti rigogliosi e le spiagge deserte si aggira un fantasma silenzioso. È poco più di un'ombra, eppure la sua presenza pervade ogni angolo dell'Isola. Perché per Vassilis, ultimo greco rimasto, è una questione di vita o di morte: ha giurato di uccidere chiunque oserà calpestare la terra dei propri avi, e ora che il suo nemico ha finalmente un volto, è pronto a ingaggiare con l'invasore una ossessiva, implacabile caccia all'uomo. Ma il tragico passato dei due trasformerà il conflitto in un commovente incontro tra sopravvissuti. In "Guarda l'Eufrate rosso di sangue" Yashar Kemal rivisita un capitolo dimenticato della storia turca celebrandone passioni e contraddizioni.