
"Una volta gli eroi erano persone che dimostravano il loro valore, o la loro dignità. Oggi gli eroi sono i calciatori, non altro che mercenari, oppure gli imprenditori come Steve Jobs. Adesso che il lavoro è scarso ammiriamo i ricchi, i milionari. Siamo diventati schiavi consapevoli, rassegnati e vili". In queste parole di Clara Usón è la traccia di un romanzo di sorprendenti corrispondenze e simmetrie, in cui il destino dei personaggi diventa materia di riflessione e di passione civile. Nei nostri giorni una direttrice di banca vende ai suoi clienti azioni privilegiate ma di nessuna consistenza economica. Nel 1930 un giovane militare, fedele agli ideali repubblicani, insorge con una rivolta armata contro l'oppressione della monarchia. Durante la seconda guerra mondiale un prete rivela il suo fanatismo nel campo di con centramento di Jasenovac, in Croazia. Un legame profondo, un comune dilemma morale, accomuna queste vicende distanti solo in apparenza. Nel mettere alla prova il proprio sistema di valori, che sia l'idealismo politico, la fede religiosa o il culto della ricchezza, i tre personaggi cercano di assicurarsi un futuro, di realizzare la propria vita. Nella loro sorte si incarnano la venerazione del denaro, il prezzo della libertà, la violenza della religione che diventa dogma, e la divergenza delle loro scelte li mette di fronte alla felicità o a un baratro di disperazione, a un segno esemplare di libertà e coraggio o allo stigma della più infame colpevolezza.
In un isolato villaggio di montagna, un centro terapeutico costruito verso la metà dell'Ottocento è il teatro in cui Dürrenmatt fa muovere i personaggi della sua "commedia". Durante l'estate il centro "Casa della Povertà" è usato come luogo di riposo dai milionari stanchi della loro ricchezza e desiderosi di cambiar pelle per un breve periodo, mentre d'inverno diventa ospedale e rifugio di gangster costretti dalla loro famigerata celebrità a cambiare i connotati. Il Grande Vecchio senza barba, rovescio pagano del Dio del Vecchio Testamento, manovra gli eventi e i personaggi del mondo paradossale e insensato di Dürrenmatt, in cui positivo e negativo si equivalgono e si sovvertono di continuo, i crimini più orrendi avvengono con estrema naturalezza e tutto e tutti sono intercambiabili. E questo universo non è una "valle di lacrime", bensì nient'altro che una "Valle del Caos", dominata dal principio dell'assurdo. Con il linguaggio graffiante che gli è peculiare Dürrenmatt colpisce la società con una satira amara e grottesca, condotta sul filo di una tensione sempre incalzante, che si risolve in un finale grandioso e apocalittico.
Qual è il senso della letteratura? Come nasce un romanzo? In tre appassionate conferenze tenute nell'arco di un anno, fino al discorso di accettazione del Premio Nobel 2006, Orhan Pamuk disegna un ritratto dello scrittore nel mondo contemporaneo. La letteratura inizia dal gesto di chi si chiude in una stanza, si ripiega in se stesso e tra le proprie ombre costruisce un mondo nuovo con le parole. Proprio quell'isolamento nasconde in realtà un'apertura, la certezza che tutti gli uomini si somiglino e che il mondo sia privo di un centro. Essere scrittori, infatti, significa prendere coscienza delle proprie ferite interiori, e raccontarle ai lettori che le riconoscono per averle provate in prima persona, magari senza esserne consapevoli. E poiché ricordano ai lettori la loro fragilità, la loro vergogna e il loro orgoglio, gli scrittori suscitano ancora oggi nel mondo "molta rabbia" e "inaspettati gesti di intolleranza". Ma i romanzi sono uno strumento indispensabile che le comunità hanno per riflettere sulla propria identità. "L'arte del romanzo mi ha insegnato che condividendo le nostre segrete vergogne diamo avvio alla nostra liberazione".
Romanzo nato insieme al progetto cinematografico di "Va, vis et deviens", del regista rumeno Radu Mihaileanu e presentato al 55° Festival internazionale di Berlino, racconta la storia dei falasha - gli ebrei neri - e dell'epico viaggio verso Gerusalemme. La storia di un bambino cristiano che, fatto passare per figlio di una madre falasha, arriva nella città santa e deve cominciare a vivere, a diventar grande sapendo che non è ebreo, che non è un orfano, che non è ancora nulla. Ma che vuole diventare un uomo.
Un giovane inquieto, che conquista i cuori di chi lo incontra, ma che è incapace di sottostare alle catene dell’amore e vive costantemente in fuga dagli altri e da se stesso, percorrendo il mondo come un vagabondo senza pace e senza affetti; un maestro, logorato dalla vita e da un lavoro ingrato, che in una notte di tempesta ritrova la donna che non aveva saputo amare da giovane e non può dirle nemmeno una parola; un ufficiale postale che non sa decifrare l’affetto che nutre per lui la piccola orfanella affidatagli: sono tanti i protagonisti di queste storie che s’intrecciano lungo il corso del Gange.
Ma più ancora degli uomini, spesso soli, a volte meschini e altre sfuggenti, sono le donne le vere protagoniste di quest’India povera e forse ormai scomparsa, che nessuno come Rabindranath Tagore ha saputo così efficacemente raccontare: donne che tradiscono, ma anche che sacrificano tutto sull’altare dell’amore, donne ferite e che vorrebbero ferire, donne rifiutate e donne capaci di intuire il senso dei movimenti impercettibili del cuore. Un universo femminile misterioso e affascinante come l’India, ancora immersa in una tradizione all’apparenza immortale, e invece così fragile nei riti e nei valori, già sull’orlo di una modernità che la travolgerà e ne muterà drammaticamente i connotati.
Radindranath Tagore nasce a Jorasanko (Calcutta) il 6 maggio 1861 da una famiglia dell’alta aristocrazia del Bengala. A diciassette anni compie il suo primo viaggio in Europa: va in Inghilterra a studiare legge e letteratura e vi resta un anno e mezzo. Quando torna si fa conoscere come poeta, pubblicando due raccolte di versi: I canti della sera e I canti del mattino, di forte impronta romantica, che gli valgono l’appellativo di «Shelley del Bengala». Nel 1883 sposa la giovanissima Mrinalini Debi, con la quale un anno dopo si ritira a Ghazipur dove si dedica a nuovi drammi e saggi letterari. Nel 1890 è di nuovo in Europa: visita l’Italia, la Francia e ancora l’Inghilterra. Al suo ritorno s’impegna nell’attività politica con il movimento nazionale del Bengala, e poi soprattutto in quella educativa, fondando una scuola sperimentale a Santiniketan. Il campo dei suoi interessi è vastissimo: è musicista (scrive lui stesso la musica delle sue poesie), pensatore, drammaturgo, narratore (più avanti negli anni si avvicinerà anche alla pittura). Gli anni tra il 1907 e il 1913 sono decisivi per Tagore, anche per la sua notorietà internazionale. Lavora alle poesie che comporranno la raccolta Gitanjali (1912, Canti d’offerta) e che, tradotte in inglese – Tagore pur scrivendo in bengali traduce quasi tutta la sua produzione – gli varranno il Premio Nobel nel 1913. Nel 1915 incontra per la prima volta Gandhi col quale, nonostante le divergenze politiche, stringe un’amicizia profonda e duratura. Il suo impegno culturale e pedagogico, frattanto, s’intensifica: nel 1921 fonda l’università internazionale di Vishva Bharati e, spinto dall’esigenza di un incontro tra cultura orientale e occidentale, intraprende viaggi in tutto il mondo. Negli ultimi anni della sua vita, colpito da una grave malattia, si ritira a Santiniketan, dove si dedica totalmente all’attività letteraria. La produzione di questo periodo è vastissima, e comprende, oltre a numerose raccolte poetiche, drammi, novelle, riflessioni, aforismi e saggi di critica letteraria. Si spegne nella sua casa natale di Jorasanko il 7 agosto 1941.
Per Isabel Dalhousie, direttrice della "Rivista di etica applicata", fondatrice del Club dei filosofi dilettanti e donna di grande acume e sensibilità, è fondamentale affrontare la vita con la mente serena e lo spirito rilassato. Ma certo in questo non l'aiutano molto la nascita del piccolo Charlie, né tanto meno la relazione con Jamie, il padre del bambino, più giovane di lei di quattordici anni. La tardiva maternità del resto non è l'unico cambiamento nella vita della nostra filosofa-detective per caso. Certo, ha raggiunto una tregua con l'amatissima nipote Cat, ex fidanzata di Jamie, che non approva granché la nuova relazione della zia. E certo, ha trovato un equilibrio nel rapporto con Grace, la fedele governante, che vorrebbe esautorarla completamente dalla cura del bebé. Ma che dire della misteriosa morte di un pittore al largo dell'isola di Jura, nella quale Isabel si trova suo malgrado coinvolta? E come se tutto ciò non bastasse, ci si mette pure il machiavellico e curiosamente affabile professor Dove, che sembra avere strane mire sull'amatissima rivista della nostra eroina...
L'autrice continua con questo romanzo a scavare nella memoria personale e collettiva del Novecento. Questa volta trasmette il racconto affidatole ancora bambina da un piccolo profugo prussiano nell'estate del 1949. Attraverso le parole di Kurt rivivremo così la tragedia delle migliaia di tedeschi orientali che nell'inverno 1944-45, fuggendo davanti all'Armata Rossa che avanzava da est, cercavano di raggiungere il Baltico e da qui la Germania Occidentale. Dopo aver assistito alla morte del nonno ed essersi trovato a stringere tra le braccia il corpo del fratellino neonato che credeva di aver portato in salvo, Kurt sprofonda in un "lutto patologico", ma la simpatia che Helga si ostina a dimostrargli segnerà l'uscita dall'orrore e l'inizio della guarigione.
"Dear life", cara vita... Il titolo originale della tredicesima raccolta di storie di Alice Munro sembra la consueta formula epistolare di un pacificato congedo. Ma ha anche, nel contesto narrativo e nell'espressione idiomatica da cui proviene, il senso di un pericolo appena scampato. Scrivere alla vita, dunque, per uscirne vivi. Con l'urgenza di ogni fuga, un'impazienza nuova che si manifesta in un inedito nitore. Quello della narratrice di "Ghiaia", il cui disincanto e tormento esistenziale sembrano raccontati dalla prospettiva raggiunta di una lucidità imperturbabile. O del protagonista fuggiasco di "Treno", che attraversa le stazioni della propria esperienza e di quella altrui con lo sguardo di un semplice passeggero a bordo della vita. Quello che segue i percorsi mentali della vecchia di "In vista del lago" e del suo sconclusionato viaggio verso un passato irrecuperabile. Un nitore che connota anche la lingua di pagine nelle quali Munro concede alla sua prosa un'ulteriore, estrema libertà, asciugando le proprie frasi come pietre, spolpandole fino all'osso. Ossa di storie, voci lontane e ancora vive, sguardi, una parsimonia di parole, ellittica e più che mai essenziale. Ecco che cosa resta da dire, ecco che cosa trova il lettore in "Uscirne vivi": tracce di materiale radioattivo, lo stesso, pericoloso e potente, che ha attraversato, illuminandole, tutte le storie. Il residuo secco. Le prime e le ultime cose, rivela Munro, il bandolo di un mondo realizzato in sessant'anni.
Pubblicato per la prima volta nell'almanacco "Nedra (Mosca, 1925), il romanzo breve "Uova fatali", narra le vicende di Vladimir Ipat'evic Pérsikov, uno geniale scienziato che scopre un raggio misterioso in grado di moltiplicare l'attività della sostanza vivente, ma che rimane vittima della propria scoperta, lanciata in un mondo oppresso da una burocrazia asfissiante e disumana, nella quale non è difficile riconoscere l'apparato statale dell'ancor giovane Russia sovietica. Il romanzo, insieme al famoso "Cuore di cane", costituisce una prima messa a fuoco dell'ambiente da cui doveva scaturire, in una lunga gestazione iniziata pochi anni più tardi, il romanzo "Il maestro e Margherita".
Una delle caratteristiche del ciclo di Martin Beck, con cui gli scandinavi Maj Sjöwall e Per Wahlöö hanno iniziato il poliziesco procedurale, è che gli attori di questa commedia umana in chiave criminale invecchiano in tempo reale. Per esempio, in questo romanzo, la figlia del commissario, che abbiamo conosciuto bambina alcuni romanzi prima, adesso, è una giovane capace di dare influenti consigli al padre. È questo uno degli effetti con cui gli autori intendevano conferire più oggettività alla loro creazione, per uno scopo dichiarato: «Molte persone forse credono che i nostri libri siano dei cosiddetti gialli. Quello a cui in realtà stiamo lavorando è una seria indagine sociologica sulle relazioni dei poliziotti verso i loro compagni di società. E lo facciamo insieme perché la materia è tanto vasta e perché non possiamo produrre uno studio corretto se non lo affrontiamo da diversi punti di vista. In questo caso quello dell’uomo e della donna». Eppure a leggere oggi questi «romanzi su un crimine» (così il sottotitolo ricorrente), un senso di pessimismo domina sulla sociologia, un profondo scetticismo sulle ragioni del cosiddetto «ordine pubblico». Sjöwall e Wahlöö danno corpo narrativo a una generale riflessione sulla funzione della violenza sociale, sui cambiamenti che essa induce in chi vi è esposto, come poliziotto, come criminale o come vittima; una riflessione capace di insistere, oltre che sulle circostanze sociali, sui sottili meccanismi psicologici. Ed è questo che ha fatto del ciclo di Martin Beck un riferimento classico dell’attuale romanzo criminale, riconosciuto da tutti. L’uomo sul tetto è l’inchiesta sull’omicidio, avvenuto tramite un colpo di baionetta mentre era ricoverato in ospedale, di un alto papavero della polizia, uomo crudele e violento, le cui malefatte si vanno scoprendo più efferate ed intricate del previsto; si conclude con una vendetta di sangue, piena di caos e simbolismo, contro il corpo di polizia: una vetta di realismo, di suspense e di pietà insieme, da parte di chi sapeva bene come le città capitalistiche di cui parlavano siano dei perfetti teatri naturali per il crimine.
Maj Sjöwall (1935) e Per Wahlöö (1926-1975), compagni nella vita, hanno scritto la serie dei dieci romanzi di Martin Beck: tradotta in una trentina di lingue e soggetto di film e telefilm. Una collaborazione con un fine anche politico: la denuncia della società neocapitalistica svedese. Questa casa editrice ha già pubblicato Roseanna, L’uomo che andò in fumo e L’uomo al balcone (ora raccolti anche nel volume I primi casi di Martin Beck della collana «Galleria»), Un assassino di troppo, Il poliziotto che ride, L’autopompa fantasma e Omicidio al Savoy.
Questo capolavoro incompiuto del Novecento, da mezzo secolo al centro di un tormentato lavoro di sistemazione critica e filologica, ora in una edizione che organizza i materiali inediti in una prospettiva capace di illuminare l'architettura segreta del lavoro di Musil.