
Lo sguardo acuto del creatore del grande investigatore privato Pepe Carvalho questa volta punta la sua lente d'ingrandimento su Mosca. Vàzquez Montalbàn percorre ogni angolo di quella che fu la capitale non solo di uno stato, ma anche di un'ideologia, partendo dagli edifici e dalle vie, per tracciare, in una prospettiva insolita in quanto "guidistica", il grande affresco di settantanni di storia, dalla presa del Cremlino alla perestrojka. Vediamo stratificarsi una sull'altra diverse città: la vecchia Mosca zarista travolta dalla rivoluzione, i sogni e le utopie architettoniche e urbanistiche delle avanguardie nei primi anni del nuovo regime, la monumentalizzazione del periodo staliniano, il grigiore degli ultimi anni.
Chi ha detto che a Holloman, piccola città del Connecticut, non succede mai niente? È il 3 aprile 1967: mentre la Guerra Fredda sembra traghettare il mondo verso un futuro catastrofico, nella sonnacchiosa cittadina americana, così piccola che la sua Polizia non ha nemmeno una squadra omicidi, in un solo giorno si consumano dodici delitti. Dodici morti, tutte diverse, inf litte con mano spietata, esperta e perf ino fantasiosa: dallo studente Evan Pugh, stritolato da una tagliola per orsi, a Desmond Skeps, il boss del colosso degli armamenti Cornucopia, torturato e avvelenato. Tocca al capitano di polizia Delmonico indagare su questa serie di crimini senza precedenti: l’istinto gli dice che gli omicidi portano tutti la stessa f irma, quella di un individuo meticolosissimo e capace di agghiacciante crudeltà. E così tra una telefonata alla moglie – che spera sempre che lui ritorni a casa per cena – e un pranzo con i fidati colleghi nel suo ristorantino preferito, Delmonico comincia una spericolata discesa negli inferi della “tranquilla” Holloman, addentrandosi in una rete sempre più f itta di segreti e bugie. Finché, con il suo irresistibile misto di astuzia e imperturbabilità, arriverà per primo a vedere al di là delle apparenze. Peccato che qualcuno sia deciso a spacciare quelle apparenze per l’unica verità. Specie quando arriva in città l’FBI, richiamata dal clamore del caso Skeps… Con La morte in più Colleen McCullough ci regala un giallo dal sapore classico e dall’esecuzione impeccabile, mettendo di nuovo in scena uno dei suoi personaggi più riusciti, il poliziotto italoamericano Carmine Delmonico, con tutte le sue manie e un sesto senso che non sbaglia (quasi) mai; e insieme, la grande scrittrice tesse una trama piena di chiaroscuri, degna di una vera maestra del genere.
Colleen McCullough è nata e vive in Australia. Dopo il bestseller planetario Uccelli di rovo ha scritto molti altri romanzi di successo, pubblicati in Italia da Rizzoli e quasi tutti disponibili nel catalogo Bur. Tra i più recenti, Cleopatra, Come la madre, in cui compare per la prima volta il personaggio del poliziotto Carmine Delmonico, e L’ indipendenza della signorina Bennet.
"Non è un libro su Caravaggio o Quevedo, ma è un libro con Caravaggio e Quevedo. Loro due, ma anche Cortés e Cuauhtémoc, Galileo e Pio IV. Straordinarie personalità che si affrontano. Tutti intenti a fare sesso, ubriacarsi, scommettere sul nulla. I romanzi distruggono monumenti perché tutti, persino i più casti, sono un po' pornografici. Non è nemmeno un libro sulla nascita del tennis come sport popolare, per quanto si basi su un'indagine approfondita che ho svolto sull'argomento grazie a una borsa di studio della Public Library di New York, dopo aver pensato e ripensato al ritrovamento di un'informazione affascinante: il primo pittore autenticamente moderno della storia fu anche un abile tennista e un assassino. Nostro fratello."
In un paese senza nome retto da leggi crudeli - uomini costretti a dimostrare il proprio coraggio nuotando nel fiume che scorre sotto il paese, persone seppellite negli alberi - un adolescente si ritrova all'improvviso orfano. Solo, dovrà imparare a destreggiarsi e a proteggersi dalla diffidenza dei suoi concittadini in un mondo claustrofobico che non comprende e non accetta. Finché un giorno anche in lui, come nelle montagne incontaminate che circondano il paese, non si risveglierà la "primavera", ovvero l'amore. Interpretato spesso come un'allegoria della vita in un regime totalitario, "La morte e la primavera" è un romanzo sul potere, l'esilio e la speranza che in una società conformista germoglia anche dal più piccolo gesto d'indipendenza.
Una notte di dicembre del 1936, pochi mesi dopo l'inizio della guerra civile spagnola, José Robles Pazos venne rapito dai servizi segreti sovietici nella sua casa di Valencia, e sparì per sempre. Fervente repubblicano, "Pepe" Robles aveva tradotto in spagnolo "Manhattan Transfer", uno dei maggiori successi di John Dos Passos. Pepe e Dos si erano conosciuti nel 1916, a Madrid, e tra i due era nata una profonda amicizia. Dos Passos rimase costernato e incredulo dinnanzi alle voci che volevano Robles assassinato dai suoi stessi compagni e iniziò un'indagine serrata per scoprire la verità. Attraverso il racconto della vicenda di uno "sconfitto tra gli sconfitti", "Morte di un traduttore" illumina uno dei capitoli più oscuri della recente storia europea.
Opera di grande profondità spirituale: la prima edizione in italiano di questo romanzo, nella traduzione di Gianluca Coci, ci avvince con l'artificio letterario di un manoscritto ritrovato e con un protagonista, il monaco Honkakubo, che ricorda il suo grande maestro scomparso Sen no Rikyu e la sua oscura morte, sullo sfondo delle lotte di potere nel Giappone cinquecentesco. Sen no Rikyu (1522-1591), "sistematizzatore" della cerimonia del Tè - la cui essenza è condensata nei principi di armonia, rispetto, purezza e serenità si legò al leader militare Hideyoshi, che tuttavia lo esiliò ordinandogli di compiere il suicidio rituale. Honkakubo dedica dunque la sua esistenza al tentativo di capire i motivi di questo sopruso e della mancata richiesta di grazia da parte del suo maestro, intrecciando la bellezza rievocativa del racconto del Tè con la meditazione e gli interrogativi sul destino, la vita e la morte.
Nella "Morte di Matusalemme", scrive Singer, "ho raccontato al lettore, e forse a me stesso, la storia dell'arte cosmica e umana. Un'arte che non deve essere esclusivamente ribellione e spregio: essa può anche comportare la possibilità di edificare e correggere. E persino, pur con tutte le sue limitazioni, tentare di porre rimedio agli errori del costruttore eterno, a immagine del quale è stato creato l'uomo." Attingendo allo sterminato patrimonio di tradizioni orali, favole e aneddoti del mondo ebraico dell'Europa orientale, Singer ha dato innumerevoli prove della sua capacità di raccontare storie di ogni genere.
Se dovessi morire anch’io, lo saprei, una voce interna me lo direbbe, ma non ho mai sentito in me niente di simile: sia io che i miei amici abbiamo sempre saputo che per noi era diverso.
– Lev N. Tolstoj (1828 - 1910)
Nessuno torna indietro dalla morte per raccontarla. Solo l’invenzione letteraria, quindi, può condurci lungo la strada che si percorre una volta sola, e in una sola direzione: quella verso il momento supremo — ultimo e chiarificatore — di ogni esistenza. E lungo questa strada, la fede e la ragione, la formalità e la sostanza, l’amore e l’egoismo, il passato e il presente... tutti i conflitti esigono una composizione: ma quanto può essere definitiva?
Alvaro è un ammiratore ossessivo di Carlos Gardel e vive immerso in un mondo di suoni inaccessibile agli altri. Sua moglie Claudia lo ha da tempo abbandonato, il figlio Nuño va a pernottare ogni tanto da lui quando la madre vuole stare da sola con il nuovo compagno. Il ragazzo non prova un vero affetto per il padre ed è divorato dalla gelosia nei confronti della madre. La sua infelicità lo porta infine all'eroina ed è attorno al suo letto in ospedale che si riunisce la famiglia. Ma la morte di Nuño non cambia niente e per Alvaro, sempre più solo nel suo rifiuto del mondo, Carlos Gardel diventa l'unica presenza viva.
Dove potè mai fuggire la donna di nome Wang, rea di adulterio, prima di venire assassinata dal marito? Sicuramente lungo strade infestate da briganti, battute da nercanti di tè, monaci Taoisti, cantastorie itineranti. E sopratttutto lontano dalla legislazione labirintica e spietata che, nella Cina del Seicento, stringeva la donna in una morsa. Ripercorrendo vicende rimaste impigliate in opache complilazioni di storia locale o convenzionali trattati destinati alla formazione dei burocrati, e servendosi del contrappunto di uno dei maggiori scrittori del tempo, P'u Sung-ling, Spence resuscita una società devastata da cataclismi e carestie, in cui un sistema feudale fondato su un complesso apparato vessatorio deve far fronte a razzie e ribellioni.
Il protagonista de La morte d'oro incarna, nella sua ricerca di perfezione, un ideale di bellezza insolito nell'estetica dell'autore, così inusitato da indurre poi lo scrittore a rinnegarlo. Ma è proprio a quest'opera che Mishima Yukio dedica un saggio pochi mesi prima del suicidio nel 1970. Un testo che diviene riflessione teorica sull'estetica del narcisismo, cioè sulla tentazione dell'artista di fare di se stesso l'oggetto dell'arte. Quando ciò si realizza, al protagonista de La morte d'oro, come a Mishima, non resta altra soluzione che la morte sublime. L'atto finale non può che essere il suicidio, la "bella morte".