
"Ora: non c'è passato e neppure futuro che non appaia nel presente e da qui si irradi avanti e indietro, illuminando il senso dell'esperienza e la direzione del cammino. Mattia Signorini, uno dei più originali e felici narratori italiani dell'ultima generazione, a poco più di trent'anni azzarda un bilancio esistenziale, misurandosi con il turbamento della memoria, la violenza dei ricordi, e con lo svaporare di un progetto sostenuto soprattutto dalla rabbia e dal desiderio di rivolta, per giungere a conclusioni che per la loro solidità morale, per la maturità che le sostiene, non possono non sorprendere il lettore, lasciandolo interdetto a interrogarsi sul destino di questa nostra società smarrita tra resistenza e innovazione, appunto. L'occasione gli è offerta dal ritorno al paese d'origine di Ettore, il protagonista, per svendere la casa dei genitori scomparsi un anno prima in un incidente stradale, che lo obbliga a confrontarsi con le ragioni del suo distacco, con la ricchezza delle presenze umane che animano il paesaggio campestre lungo gli argini del fiume, con gli affetti e i sentimenti che vibrano ancora tutt'intorno. In città ha lasciato una sorella più giovane, incinta, che lo aspetta ricordandogli altri doveri e responsabilità, ma anche il valore di una famiglia dispersa e distrutta non senza la loro correità: Ettore assiste alla disgregazione delle sue più radicate certezze, al confondersi di giudizi e pregiudizi, al riproporsi vitale dei valori rifiutati." (Cesare De Michelis)
In un giorno di ottobre due bambine si trovano a condividere l'unico banco rimasto libero proprio accanto alla cattedra; ci rimarranno per nove mesi, tanto durerà la loro nascente e progressiva amicizia, segnata da provenienze sociali molto diverse. Il conflitto tra loro sempre in agguato nasconde la tenacia di un sentimento purissimo, talmente forte da resistere per un tempo molto superiore alla durata di quell'anno scolastico. Nei dialoghi delle due amiche si condensano i temi eterni del bene e del male, dell'odio e della gelosia, dell'invidia, della conoscenza, e il rovello tagliente della verità. Vale più la verità o l'amicizia? Su questo e altri nodi si avvolge e si svolge l'intera storia, in compagnia di una natura che occhieggia dalle finestre e spinge, per entrare e infrangere le barriere del sapere. Sullo sfondo si muovono i compagni di scuola, descritti nelle forme caricaturali così congeniali alla perfidia delle menti infantili; una maestra regna sovrana, arbitro indiscusso di una corte in eterno subbuglio. L'anno della grande eclissi offre alla classe un'occasione, una sfida, e tutti in fila, su per la montagna, chi con un binocolo, chi con un vetrino affumicato, si inerpicano sul viottolo incerto della conoscenza. Non lontano dall'edificio scolastico, tuttavia, saettano gli slittini di legno raspando la neve, sfidando la sorte e quindi la vita, nel punto di incontro del piacere sfrenato e del botto mortale.
Un sacrificio a Satana con un piano studiato fin nei minimi dettagli e in nome di un'inspiegabile devozione al maligno. Cosa hanno in comune Elena, Vanessa e Samantha? Un legame morboso - quasi un patto di sangue -, l'eterna noia di giornate tutte uguali, la tentazione di tingere di nero le proprie vite, fino al desiderio di uccidere. Quando Vanessa torna in paese, dopo otto anni, i dolorosi ricordi legati a quella tragica sera riemergono con violenza, scatenando l'inferno nella sua mente. Strapparsi di dosso quell'orrenda colpa sembra impossibile. Silvia è più piccola delle tre ragazze, ma frequenta lo stesso istituto, lo stesso bar, a volte anche la stessa compagnia. È un comune amico a coinvolgerla un giorno in una seduta spiritica, in cui sarà evocata l'anima della suora uccisa. La vita di Silvia, la sua adolescenza, i suoi rapporti familiari si intrecciano pericolosamente con la vicenda di Elena, Vanessa e Samantha. Domande ossessive e inquietanti riempiono le pagine del suo diario: cosa può averle spinte a compiere un gesto tanto efferato? Avrebbe potuto commettere anche lei quel delitto? In una sorta di identificazione con le carnefici, Silvia rivive un episodio macabro e ai limiti dell'umana comprensione, la deformazione di tre menti convinte di essere votate al diavolo...
Storia di una capinera narra la vicenda di una giovane donna, poco più di una ragazzina, investita da un vortice di obblighi e passioni. Gli obblighi sono quelli di una vita monacale impostale fin dalla più tenera età e della scelta di una clausura spesso subita con arrendevolezza. Le passioni sono quelle tipiche degli innamoramenti giovanili, le scintille che, se mortificate, possono diventare fuochi e incendi vigorosi. Verga sceglie come voce narrante proprio la protagonista che, in questo romanzo epistolare, rivela in un linguaggio leggero la situazione di tormento e scandalo, il vero e proprio dramma interiore che la stringe come in una morsa mortale.
L'autore
Giovanni Verga nacque a Catania da una famiglia agiata nel 1840. Lasciati gli studi per intraprendere la carriera di scrittore, pubblicò il primo romanzo, Una peccatrice, nel 1866. Ben presto
si allontanò dalla Sicilia trasferendosi prima a Firenze e poi a Milano, e fu nella città toscana che vide la luce Storia di una capinera (1870). Assiduo frequentatore dei salotti letterari più in voga, dagli anni ottanta si dedicò alla poetica verista, ispirata dal naturalismo francese e, soprattutto, dall’opera di Zola: nel 1880 pubblicò la raccolta
Vita nei campi, seguita da I Malavoglia (1881) e Mastro-don Gesualdo (1889). Verga si dedicò anche al teatro e, negli ultimi anni della sua vita, al cinema, mentre la sua produzione letteraria si fece, in vecchiaia, sempre più rada
Il santo è il romanzo degli spostamenti e dei cambiamenti. Jeanne viaggerà dal Belgio all’Italia per ritrovare il suo innamorato; Pietro passerà dalla via del peccato al convento, e da
lì si muoverà seguendo un disegno imperscrutabile. Entrambi muteranno il loro reciproco amore, dapprima denso di passione, in qualcosa di diverso e – tuttavia – di immutata grandezza. Questi spostamenti sono parte di un cambiamento più radicale che Fogazzaro suggerisce sempre più chiaramente nel dipanarsi della vicenda. È alla Chiesa, alla comunità dei fedeli, che si richiede la più profonda e radicale trasformazione e il ritrovamento delle sue stesse radici. Una nuova conversione, insomma, che è il senso ultimo dell’esistenza del “santo”.
L'autore
Antonio Fogazzaro nacque a Vicenza nel 1842 da famiglia benestante. Laureatosi in legge, lasciò ben presto la strada dell’avvocatura per dedicarsi completamente alla letteratura. Scrittore tardivo, il suo primo romanzo, Malombra, che ebbe un discreto successo, è del 1881. Fogazzaro fu anche poeta e critico, ma è soprattutto alla tetralogia romanzesca che si apre con Piccolo mondo antico (1895) – e che comprende Piccolo mondo moderno (1901), Il santo (1905) e Leila (1910) – che deve la sua fama. Cattolico e convinto sostenitore dell’impegno dei credenti in politica, provò un forte disagio spirituale nei confronti del papato di Pio X e lo espresse in alcuni suoi romanzi: Il santo subì la condanna del Santo Uffizio nell’anno che seguì la sua pubblicazione.
Quanto le guerre e gli odi nazionalistici possono creare una profonda tana d’odio nel cuore delle persone? Quanto possono cambiare, anche a distanza
di anni, i progetti e le esistenze di chi ne è stato vittima? Giuseppe Vergnani, che un tempo si chiamava Jusuf Samirovic, è un giovane medico adottato da una coppia italiana, dopo essere sopravvissuto alle atrocità delle guerre che portarono alla divisione nella ex Iugoslavia. La sua crescita e la consapevolezza umana, di persona profondamente ferita, passano attraverso la riscoperta delle proprie radici, divenuta, a un certo punto della sua vita, necessaria. Per ritrovare pienamente se stesso, Peppe torna
sui luoghi in cui ha visto, bambino, i genitori massacrati da un odio assurdo quanto violento. La riscoperta di sé e il bisogno di fare verità sugli assassini, lo trascinerà dentro un vortice di passioni in cui amore, odio, tenerezza e vendetta si daranno appuntamento in un unico e fatale luogo. Un romanzo forte, etico, dalle cupe tinte shakespeariane e con un finale che è un inno alla speranza e alla memoria.
L'autore
Giovanni D’Alessandro nasce a Ravenna da famiglia abruzzese nel 1955. Laureato in Legge, vive e lavora a Pescara. Conoscitore profondo della letteratura anglosassone e appassionato d’arte, esordisce nel 1996 con il romanzo Se un Dio pietoso (Donzelli Editore) caso letterario, finalista ai premi Viareggio e Palazzo al Bosco, vincitore dei premi Penne-Mosca e Convegni Maria Cristina, tradotto in diverse lingue straniere. Nel 2004 pubblica I fuochi dei Kelt (Mondadori) con cui vince il premio Scanno, e nel 2006 La puttana del tedesco (Rizzoli) insignito del premio Fenice Europa 2007. Con le Edizioni San Paolo è apparso il suo primo libro di racconti, Il guardiano dei giardini del cielo (2008), premio Maiella, e Sulle rovine di noi (2009).
Quale oscuro legame unisce Luca Trevisan, cuoco famoso, esperto di spezie, e Andreas Dürren-Fischer, celebre restauratore di quadri fiamminghi? Luca e Andreas appartengono a due mondi diversi, l'arte e la cucina, e hanno due caratteri opposti: tanto timido e impacciato il primo, quanto sicuro di sé e mondano il secondo. Tuttavia, quando Luca conosce Andreas pensa sia arrivato finalmente il momento per dare una svolta alla propria carriera. L'invito del restauratore a seguirlo in un giro di incontri professionali in Germania gli offrirebbe l'occasione di trovare nuovi clienti e abbandonare il ristorante di provincia che gli garantisce una vita tranquilla, ma che lo costringe anche a sacrificare le sue più alte ambizioni professionali. Luca accetta la proposta, ma non sospetta che dietro l'affabilità del restauratore si nascondano segreti inconfessabili e un passato impossibile da dimenticare. In viaggio con Andreas fra i boschi della Germania e le montagne dell'Austria, Luca verrà trascinato in un gorgo che minaccia di distruggere ogni sua certezza obbligandolo a compiere scelte atroci. Unico appiglio per mantenere la lucidità, il diario dove da anni annota osservazioni sulle spezie e sulla preparazione delle ricette. Ma c'è un uomo che segue Luca e Andreas da lontano: un ispettore "a caccia di fantasmi", in lotta da anni con un complicato caso internazionale e che, per uno strano gioco d'incastri, sarà forse l'unica persona in grado di salvare Luca...
Marta ha dieci anni e tre amiche. Insieme hanno inventato un gioco crudele e segreto: a turno una di loro diventa la nemica del gruppo, quella su cui riversare tutto l'odio di cui sono capaci. Ogni settimana scolastica prevede cinque giorni di solitudine, di corse fino a casa per non farsi fare male; cinque giorni di complicità negata, di sguardi affilati, minacce; cinque giorni d'insulti, di paure, senza lasciare che nessuno, al di fuori del loro piccolo gruppo, se ne accorga. D'altro canto il mondo dei grandi non sembra avere molto da offrire: tra i genitori di Marta le cose non funzionano da tempo, e la città in cui vivono è attraversata da tensioni costanti e quotidiane. Perché Marta abita in Alto Adige, una terra divisa tra K, i tedeschi, e V, gli italiani arrivati dopo la Prima guerra mondiale. Una terra ricca eppure lacerata in ogni gesto quotidiano dalle regole della "proporzionale etnica" e, ancor più, dalla lama della lingua che nomina ogni oggetto con parole diverse e rivali. Crescere qui significa farsi carico di un'eredità di divisioni, prepotenze, speranze, e iniziare presto a interrogarsi su ciò che ci unisce e ci oppone gli uni agli altri. Per fortuna, Marta ha una passione in grado di aprirle in ogni momento una porta sull'incanto: la musica. Solo che per riuscire a sentirla forte e nitida dovrà liberarsi dagli stridori e dai rumori di fondo, respirare profondamente e prestare orecchio alla melodia che, inascoltata, suona dentro di lei.
In occasione dei centocinquant'anni dalla nascita di d'Annunzio, si completa con il teatro l'edizione delle sue opere nei Meridiani. I due tomi, a cura di Annamaria Andreoli con la collaborazione di Giorgio Zanetti, raccolgono, per la prima volta, corredate di ricchissimi apparati, tutte le opere drammatiche dannunziane, da "Francesca da Rimini" alla "Figlia di Iorio", dalla "Fiaccola sotto il moggio" a "Fedra" e al "Martyre de saint Sebastien", solo per citare le più celebri. Versatile e aperto a ogni sperimentazione, d'Annunzio lascia nel suo tempo il segno sull'intero mondo dello spettacolo: tragedia, commedia, melodramma, sacra rappresentazione, pantomima, balletto, cinema (film e documentario). Ogni testo è accompagnato da un'introduzione che ne ripercorre le fasi ideative e compositive, soffermandosi poi sull'allestimento scenico, sulla regia, sugli interpreti e sulle reazioni del pubblico, e da note esplicative, indispensabili quando si tratta di drammi storici di ambientazione remota o esotica. Anche il saggio cronologico è mirato alle opere teatrali: sottolinea la centralità del teatro nella vita di d'Annunzio e getta nuova luce sulla sua travagliata relazione amorosa con Eleonora Duse, grazie a documenti solo di recente recuperati. Non meno nuovo risulta il suo rapporto con il cinema, di cui è pioniere entusiasta, sia in veste di soggettista che di teorico.
Questa è la storia di un padre che vorrebbe semplicemente poter fare il padre. Giocare con suo figlio, accompagnarlo all'asilo, insegnargli a vivere. Ma non può farlo. Perché Leonardo adesso è diventato un padre a metà, come ormai ce ne sono tanti, troppi. Dopo il fallimento del suo matrimonio, è costretto a contare le ore e ad aggrapparsi al ricordo di un sorriso per sopravvivere nell'attesa di poter vedere il figlio. La storia di Leonardo è un percorso fra mille difficoltà e sentimenti contrastanti. Un viaggio fatto di amarezze, solitudine e rimorsi, di pregiudizi e beghe legali, ma anche di piccole conquiste quotidiane e rari momenti di gioia. Finché un incontro insperato gli offrirà una semplice ma importantissima opportunità... In questo romanzo, Tiberio Timperi tratteggia la storia intima, e drammaticamente attuale, di un padre alla ricerca di un equilibrio fragile e prezioso, da raggiungere e difendere giorno dopo giorno.
Questa raccolta riunisce i racconti più "neri" di Marco Vichi. Vi si ritrovano le sue atmosfere e i suoi personaggi, e quella sua capacità di farsi ascoltare mentre narra vicende quotidiane e terribili dove all'improvviso qualcosa si incrina, un meccanismo si inceppa, e a poco a poco tutto diventa follia, assurdità, mistero, fino al piccolo, spesso del tutto inaspettato colpo di scena finale. Come in "Amen", in cui un giovane ricco e nullafacente, che si gode l'eredità di famiglia senza un pensiero e senza un impegno, viene aggredito da un ometto bizzarro, che lo accusa di avergli ucciso l'amico più caro, il suo unico affetto. Eppure il ragazzo è certo di non aver mai fatto del male a nessuno... O in "Mio figlio no", dove l'ossessione di un padre che teme l'omosessualità del figlio adolescente spinge l'uomo a una decisione crudele. O ancora in "Puttana", una vicenda di sesso e vendetta ambientata nel famigerato villino romano frequentato dai gerarchi fascisti e dal Duce stesso, dove va a lavorare la giovane Simonetta, in arte Sissi, che ha un sogno segreto...
"Antonello, mio babbo, era nato galeotto, come diceva sempre quando parlava del suo luogo di nascita. In carcere, senza aver commesso alcun reato. Era infatti nato all'Asinara..." Così la voce femminile di questo romanzo d'esordio inizia il racconto, di una limpidezza sorprendente, di vicissitudini famigliari che hanno tratti antichi. In una Sardegna selvatica e piena di luce, si consuma l'iniziazione alla vita del padre, figlio di una guardia penitenziaria, attraverso i giochi proibiti con un detenuto-pastore che ha in sé qualcosa di tremendo e di epico. E si succedono, in una trascinante, a volte fosca, a volte persino spassosa catena di storie, avventure e sventure di sognatori e disgraziati innocenti, passioni amorose e vendette insensate, mescolate al rumore incessante del mare, al sapore della polvere, e a momenti di libertà "panica" in quella terra dove il sole brucia. La scrittura accompagna le vicende come una narrazione orale riversata in prosa: una lingua di oggi e, verrebbe da dire, di sempre, sostenuta da un occhio che guarda, trasparente, sia i minuti, duri fatti quotidiani, sia le immagini di una storia maggiore che corre dal Fascismo alla guerra fino agli ultimi decenni del secolo.