
1945. La Seconda guerra mondiale sta per terminare. Martin Davies, storico dell'arte e spia, che già abbiamo conosciuto in "Rex", è sulle tracce del Lupo, un nazista misterioso che diffonde il terrore dalle due parti del fronte. Ma da cacciatore diventa presto preda. Nelle strade di Lubecca, fra le vie e i canali di Copenhagen e nei boschi incontaminati della Germania, Martin ha l'impressione di muoversi fuori dal tempo. Contro di lui, oltre al Lupo, il capo dello spionaggio nazista Walter Schellenberg, le SS e soprattutto una realtà che sembra mutare di continuo. Nulla è ciò che sembra, nemmeno a Copenhagen, dove Elinor, una coraggiosa ragazza della Resistenza danese, beffa ripetutamente gli occupanti nazisti. Con il passare del tempo e l'avvicinarsi della sconfitta tedesca tutto si complica, e anche le poche certezze acquisite si tramutano in nuovi pericoli. Sullo sfondo la storia vera degli Autobus Bianchi svedesi e danesi del conte Bernadotte, i cui equipaggi sono in corsa per salvare quante più persone possibile dai lager nazisti. Le storie di Martin e dei suoi compagni incrociano le vicende del transatlantico tedesco Cap Arcona, affondato al largo della costa tedesca, della coraggiosa Wanda Heger, della splendida e imprevedibile Grete che da Roma conduce un gioco difficile e pericoloso.
Sicilia, 1949. Il giovane commerciante di bovini Peppino Maiorana affronta una meravigliosa impresa: fornire diecimila muli alla Grecia come risarcimento dei danni di guerra. Dovrà trovare le bestie in tutta l'isola, farle arrivare a Messina, sottoporle all'esame di una commissione e imbarcarle per il Pireo, centocinquanta alla volta, anticipando le spese con denaro che non possiede. Prodigiosamente l'avventura impossibile prende il via. Davanti al mare si anima una città provvisoria di contadini, mercanti, sensali, spie e prostitute, una folla di personaggi disperati, comici, soli, che cercano con molta immaginazione e senza troppi scrupoli di reinventarsi un'esistenza sulle macerie della guerra finita da poco. Maiorana si ritrova a fronteggiare due ostacoli enormi, la sua famiglia e la mafia, ma prosegue ostinato, zigzagando tra dubbi e minacce, convinto che il tempo delle antiche soggezioni sia finito per sempre e che quella sia l'occasione della sua vita. Troverà un singolare alleato in Giulio Saitta, commissario di polizia segnato da un lutto che alimenta il suo desiderio di vendetta. Le indagini solitarie di Saitta si allargano alla strisciante sovversione neofascista e s'intrecciano con le vicende degli omicidi impuniti di cinquanta sindacalisti capi contadini, della guerriglia di Salvatore Giuliano, delle stragi - prima fra tutte quella di Portella della Ginestra - che rischiano di trasformare la Sicilia in un lago di sangue.
Un centinaio di documenti tra lettere e messaggi datate dal 1946 alla fine degli anni Settanta, che testimoniano il legame lungo e profondo tra Alberto Moravia ed Elsa Morante. Passione e passioni comuni, la cura dell'altro, l'impegno di una presenza costante. A cura di Alessandra Grandelis.
Costanza non è vecchia però presto lo sarà. Convinta che il terzo tempo sia da vivere pienamente, senza mai smettere di cercare la felicità, ne scrive con spirito battagliero in una rubrica. "Insegno malinconia positiva. Soffrire da vecchi è la regola. Soltanto i vecchi speciali ce la fanno. E i vecchi speciali sono quelli che stanno bene." Quando eredita dal padre un austero ex convento a Civita di Bagnoregio si lascia prendere da un progetto vagamente sconsiderato: radunare in quella casa bella e nuda, incastonata in un luogo simbolico che si sfalda lentamente, i compagni con cui giovanissima ha condiviso a Milano la vita e l'impegno politico, per ricreare una comune, una famiglia larga in cui spartire gli affanni e discutere del futuro perché un futuro c'è sempre, fino alla fine dei giochi. È un tentativo di tornare all'età delle illusioni, "la leggenda d'aver ragione che ha nutrito la nostra seconda infanzia"? Energica, accentratrice, un po' egoista, Costanza è il magnete da cui tutti finiscono per essere catturati: gli amici di un tempo, con i loro dolori, le rivalse, i fallimenti; il compagno di una vita, Dom, che lei ha scelto di allontanare ma che la sorveglia con la tenacia di un'affettuosa sentinella; il figlio Matteo, che cova da grande distanza un suo carico di pena. Mentre tutti convergono su di lei, Costanza si sente soffocata dall'enormità del suo disegno. Riuscirà a portarlo a compimento? È proprio sicura di volerlo? E che cosa succederà?
Graziella De Palo è una giovane giornalista innamorata della giustizia quando il 2 settembre 1980 scompare a Beirut assieme al collega Italo Toni. Dovevano visitare dei campi profughi al confine con la Palestina, ma seguivano in realtà una pista sul traffico d'armi intrecciata con le vicende del terrorismo, delle stragi e con parecchi misteri della politica italiana e internazionale dell'epoca. Di loro non si è saputo più nulla. Han van Meegeren è un pittore olandese di scarsa fortuna, noto e dileggiato per le sue rose grigie, quando accetta da un uomo in nero un incarico bizzarro: dipingere un Giudizio Universale in una cappella battuta dal vento sulla cima di un colle italiano. Purché sia un Giudizio di Vermeer. Suo, ma di Vermeer. Chi è l'uomo in nero che si fa chiamare semplicemente Acca? E perché gli chiede di diventare un falsario, come di fatto accadrà? Dora, la voce narrante di questo romanzo, è cresciuta insieme a Graziella. "Eravamo di quelle amiche che sono sempre insieme, che non riescono a stare lontane neanche per un pomeriggio. E invece ci siamo allontanate, e quando ci siamo allontanate lei è morta. E la sua storia, il modo in cui è morta, è talmente assurda che se la raccontassi non ci crederebbe nessuno. Così ho cominciato a scriverne un'altra, che è davvero assurda, ma se un romanzo è assurdo tutti ci credono. La realtà invece non interessa a nessuno". Due romanzi in uno, una doppia vicenda nata da un dolore mai sopito che mescola fatti reali e invenzione, memoria di un'amicizia e mito, ed elaborata con l'abilità di chi da sempre cerca e trova nella narrazione propria e altrui una profonda ragione di vita. Perché "noi volevamo essere ingannate, tutte e due: Graziella dalla ricerca della verità, io dalla ricerca della finzione, che è parente stretta del falso anche se si chiama letteratura".
"Aprendo questo volume" scrive Margherita Pieracci Harwell "si ritroverà la Campo che conosciamo ... ma anche una affascinante figura nuova, di cui brilla a tratti la giocosità - che a detta di tutti ne iridava la conversazione, ma fin qui non avevamo visto trapassare nella scrittura - o d'improvviso scoppietta la maliziosa civetteria ... Sono la voce, queste lettere, di una limpida, calda, forte amicizia, prezioso residuo salvato all'estinguersi della gran fiamma di un amore che aveva formato e tormentato chi le scrive nell'arduo passaggio dall'adolescenza all'età illuminata dal sole al suo zenit". Cristina Campo e Leone Traverso (insigne grecista e germanista) avevano formato per anni "una coppia perfetta" - lui dotato di fascino, non solo intellettuale, lei di bellezza e di grazia - al centro di quella cerchia di scrittori fiorentini di cui nel dopoguerra facevano parte, fra gli altri, Tommaso Landolfi e Mario Luzi. Poi il rapporto si era incrinato, per chiudersi definitivamente nel 1956: troppo diversi, e lontani, il "rigore di spada" che contraddistingueva Cristina e la "mollezza veneta" che le sembrava di scorgere in lui. Tuttavia, a legare Cristina e Leone (a cui lei stessa aveva dato il soprannome di Bul) fu ancora per lungo tempo - e ne testimonia questa corrispondenza - una duratura comunione di gusti e di disgusti, la passione per la perfezione dello stile, e soprattutto la fedeltà profonda a una certa idea, alta ed esigente, della letteratura.
Alla fine degli anni Cinquanta, un giovane italiano di buone letture e nessun pregiudizio passa una stagione a Harvard e un’altra a Broadway. Dunque, corsi e lezioni e incontri importanti nella prestigiosa università: H. Kissinger, A. Schlesinger, J.K. Galbraith, D. Riesman, J. Burnham... Poco dopo, nella capitale dello spettacolo, sensazionali musicals e commedie con leggendari mostri sacri tuttora in scena: Ethel Merman, Mary Martin, Charles Boyer, Claudette Colbert, Lotte Lenya, Paul Newman, Geraldine Page, Lauren Bacall, Elizabeth Taylor, fra Tennessee Williams, Jerome Robbins, Gene Kelly, Woody Allen, Gypsy, Redhead, West Side Story... Intanto, letture e conversazioni coi protagonisti della letteratura: da Edmund Wilson e Saul Bellow e Mary McCarthy a Saul Steinberg e Truman Capote e Jack Kerouac... Incubi e tormentoni metropolitani. Nuovi perbenismi nei suburbia. Gli scapestrati «sabati del Village». Negli anni Sessanta, su e giù per la California, lungo la mitica Highway 101. Soggiorni e scoperte fra San Francisco e Los Angeles, Stanford e Berkeley e Hollywood. Da Alfred Kazin a George Cukor. Panorami e vedute. I primi movimenti dei «figli dei fiori» e le «contestazioni» poi passate più violente in Europa. Quindi, «off-off». Affermazioni vigorose ed effimere delle tendenze e strutture alternative, soprattutto nel cinema e nel teatro controcorrente. Mentre lo spettacolo più convenzionale si abbassa a livelli sempre più infantili e turistici. Visite cool a vari luoghi leggendari, frattanto: New Orleans, New Mexico, Taos, Key West, Cape Cod, Fire Island, Arizona, Disneyland, Honolulu.
Alberto Arbasino è nato a Voghera nel 1930, e ha pubblicato il suo primo racconto nel 1955, su «Paragone». Era Distesa estate, che sarebbe entrato a far parte della raccolta Le piccole vacanze, del 1957. Membro del Gruppo '63, collaboratore di alcune importanti riviste come «L'illustrazione italiana», «Officina», «Il Mondo», «Tempo presente», «Il Verri», e in seguito del quotidiano «la Repubblica», Arbasino ha scritto numerosi saggi, pamphlet e opere di narrativa, che vengono ripubblicati in questi anni da Adelphi (L'Anonimo lombardo, 1959 e 1996; Parigi o cara, 1960 e 1995; Fratelli d'Italia, 1963, 1976 e 1993; Super-Eliogabalo, 1969 e 2001; Specchio delle mie brame, 1974 e 1995; Lettere da Londra, 1997) insieme a nuovi testi (Mekong, 1994; Passeggiando tra i draghi addormentati, 1997; Paesaggi italiani con zombi, 1998; Le Muse a Los Angeles, 2000; Marescialle e libertini, 2004; Dall'Ellade a Bisanzio, 2006). Matinée (1983) è invece, come recita il sottotitolo, Un concerto di poesia.
In quella partitura frammentaria per pianola meccanica che si può considerare l'opera di Guido Ceronetti, la parola amore era stata fin qui accostata a ogni condizione della mente e del corpo, tranne forse alla più improbabile di tutte: la felicità. E finalmente cominciamo a intuire perché. Se infatti le filosofie, le religioni e ogni altra forma di sapienza si affannano a smentire anche solo la possibilità statistica di una congiunzione del genere, nell'universo del romanzo qualcosa come un amore felice, sembra dire Ceronetti, può invece esistere. Anche se ha come quinta il contesto meno propizio, una città notturna e sinistra. Anche se i suoi due protagonisti – un vecchio fotografo di guerra piegato dagli anni e dai dolori, Aris, e una donna molto più giovane ma altrettanto segnata, Ada – non sembrano adatti per la parte. E anche se contro il loro pericolante idillio, per ragioni che sarebbe inopportuno svelare, cospira addirittura una razza di insetti alieni, che minaccia i cieli di tutte le città del mondo.
Allestito fra il 1959 e il 1961 a partire da due libri usciti in esigua tiratura fra gli anni Trenta e Quaranta - "Le meraviglie d'Italia" e "Gli anni" -, "Verso la Certosa" costituisce un'autoantologia, di sorprendente bellezza, del miglior Gadda 'saggista', da porre accanto a I viaggi, la morte: e il titolo, evocando la solitaria residenza milanese del Petrarca nei pressi della Certosa di Garegnano e, insieme, la dimora ultima del Cimitero Maggiore di Milano, le conferisce per di più il carattere di opera conclusiva, di traguardo raggiunto. Splendide e nobili immagini della campagna lombarda, custodita dal "popolo stupefatto dei pioppi", e la commossa celebrazione del genio dell'arte e della tecnica si alternano al racconto - vicino alle atmosfere della Cognizione - del "diniego oltraggioso" opposto dal mondo, alle cronache di una Milano che nella fiera di Senigallia, "mercato dell'impensabile", si rivela "scansia d'ogni possibilità, d'ogni idea che possa diventare industria, o commercio", alla veridica ricetta del "sacro" risotto alla milanese, nonché a una irresistibile 'bizza' sugli incresciosi inconvenienti della rivoluzione edilizia, regalataci dallo "sconsiderato padreternismo dei tira linee quattordicenni: sì: età mentale quattordici".
Mosca, 14 aprile 1930. Intorno alle undici del mattino i telefoni si mettono a suonare tutti insieme, come indemoniati, diffondendo "l'oceanica notizia" del suicidio di Vladimir Majakovskij: uno sparo al cuore, che immediatamente trasporta il poeta nella costellazione delle giovani leggende. Per alcuni quella fine appare come un segno: è morta l'utopia rivoluzionaria. Ma c'è anche il coro dei filistei: si è ucciso perché aveva la sifilide; perché era oppresso dalle tasse; perché in questo modo i suoi libri andranno a ruba. E ci sono l'imbarazzo e l'irritazione della nomenklatura di fronte a quella "stupida, pusillanime morte", inconciliabile con la gioia di Stato. Ma che cosa succede davvero quella mattina nella minuscola stanza di una 'kommunalka' dove Majakovskij è da poco arrivato in compagnia di una giovane e bellissima attrice, sua amante? Studiando con acribia e passione le testimonianze dei contemporanei, i giornali dell'epoca, i documenti riemersi dagli archivi dopo il 1991 (dai verbali degli interrogatori ai "pettegolezzi" raccolti da informatori della polizia politica), sfatando le varie, pittoresche congetture formulate nel tempo, Serena Vitale ha ricostruito quello che ancora oggi è considerato, in Russia, uno dei grandi misteri - fu davvero suicidio? dell'epoca sovietica. E regala al lettore un romanzo-indagine che è anche un fervido omaggio a Majakovskij, realizzazione del suo estremo desiderio: parlare ai posteri - e "ai secoli, alla storia, al creato" -in versi.
Gli irresistibili rituali dei promotori di Startup, riuniti in congresso a Londra. Il matrimonio fra due miliardari indiani – per tacer dell'elefante – nel cuore del Salento. Le emozioni – e quello che si intende, oggi, con la parola – della prima volta con i Google Glass. L’incontro, a New York, con un sopravvissuto alla sua stessa leggenda: Frank Serpico. Il paradiso – o l’inferno – artificiale nella sua versione più aggiornata, il poker on line. Non importa da quale ingresso Daniele Rielli decida di entrare in quel diorama ibrido e surreale che chiamiamo contemporaneità. Importa come ne racconta, ogni volta, un angolo diverso, e quanto, ogni volta, riesca a farci ridere.
Luogo deputato a radunare «le deiezioni dell'anima», il diario è il più degradato, il più «gloriosamente abietto» dei generi: ma in Landolfi, ha scritto Manganelli, subisce una radicale metamorfosi. Anziché catalogo di eventi ed emozioni quotidiane, diventa un'invenzione retorica dove passato e futuro si fondono in un «perituro istante» e il tempo risulta annullato; anziché documento privato, diventa, nella sua instabile tessitura di temi, rifiuto di sé. Mutevolmente, in Des mois – terzo pannello dopo LA BIERE DU PECHEUR e Rien va – Landolfi trascorre infatti dalla particolare coloritura delle immagini di sogno, irriproducibili dalla parola, alla segreta fraternità con una gatta (i gatti sono per lui i soli animali che conoscano la noia umana, quella legata al vuoto, al «tempo senza fondo»); dal conflitto tra la «lusinga dei miei vizi» (cioè il richiamo della vita) e la mediocrità borghese (cioè l'abiezione) allo stile, che nei grandi scrittori è distanza, capacità di considerare frasi e parole meri strumenti e non già «sacri arredi»; dal naturale stato di sottomissione agli eventi che ci impedisce di adattarci alla desiderata e aborrita libertà al rapporto con i figli, che, usciti dal «malevolo nulla», lo sfidano con la loro presenza miracolosa e accusatrice, lasciandolo lacerato tra «una tragica sollecitudine e la coscienza della metafisica inanità di qualsiasi affettuoso intervento». Centro di questo simulato e veritiero diario è del resto – sono ancora parole di Manganelli – «il sacrilegio, la violazione, la violenza per diniego, la clandestina e blasfema celebrazione di una irreparabile impurità, una fessura che ferisce il mondo da parte a parte, e ne annuncia la vocazione catastrofica».

