
Althénopis, ovvero "Occhio di vecchia", così era chiamata Napoli dai tedeschi in tempo di guerra. Intorno a questo nome e questa città si svolge il romanzo della Ramondino, affollato di ragazzi e di donne, di vicissitudini familiari, incentrato soprattutto sulla storia del rapporto tra madre e figlia. Una città sfasciata, l'incubo della guerra e molti destini appesi a eventi incontrollabili: ognuno cerca di salvarsi e nello stesso tempo di salvare anche gli altri, come se solo tante piccole esistenze potessero cambiare un mondo condannato alla crudeltà e alla violenza.
"Se leggere è un vizio, non che scrivere sia una gran virtù. Un romanzo o un volumetto di versi sono merci non richieste. Allora, perché tanto scrivere invano? Si diceva in tempo di grandi ottimismi che scrivere è un'impellenza, che chi scrive è obbligato a scrivere da un prepotente moto interiore. Può darsi; quantunque sulla ambigua prepotenza dei moti interiori ci sarebbe molto da discutere". In ogni caso Vittorio Sermonti da più di sessant'anni è anagraficamente uno scrittore: cioè "uno degli happy few che debbono la propria miseria all'ostinato esercizio della scrittura". Qui raccoglie, ordina, disordina il frutto multiforme del suo vizio, che non si limita a riflettere sui meccanismi segreti della poesia, ma si avventura a intervistare Marco Aurelio e Giulio Cesare, a redigere un paio di libretti d'opera, a tradurre in versi due classici di teatro, a scrivere racconti, epigrammi, aforismi e una tragica cronistoria del terremoto dell'Irpinia. La voce è sempre la sua, l'acume è inconfondibile, l'intelligenza è quella colta e libera di chi sta al mondo da ottantasei anni. Un percorso sorprendente a ogni pagina, condotto "con la perseveranza, con l'abnegazione, con l'inconfessabile voluttà" con cui si coltivano i vizi più radicali.
All'alba del 1925 il più giovane presidente del Consiglio d'Italia e del mondo, l'uomo che si è addossato la colpa dell'omicidio di Matteotti come se fosse un merito, giace riverso nel suo pulcioso appartamento-alcova. Benito Mussolini, il "figlio del secolo" che nel 1919, rovinosamente sconfitto alle elezioni, sedeva nell'ufficio del Popolo d'Italia pronto a fronteggiare i suoi nemici, adesso, vincitore su tutti i fronti, sembra in punto di morte a causa di un'ulcera che lo azzanna da dentro. Così si apre il secondo tempo della sciagurata epopea del fascismo narrato da Scurati con la costruzione e lo stile del romanzo. M. non è più raccontato da dentro perché diventa un'entità distante, "una crisalide del potere che si trasforma nella farfalla di una solitudine assoluta". Attorno a lui gli antichi camerati si sbranano tra loro come una muta di cani. Il Duce invece diventa ipermetrope, vuole misurarsi solo con le cose lontane, con la grande Storia. A dirimere le beghe tra i gerarchi mette Augusto Turati, tragico nel suo tentativo di rettitudine; dimentica ogni riconoscenza verso Margherita Sarfatti; cerca di placare gli ardori della figlia Edda dandola in sposa a Galeazzo Ciano; affida a Badoglio e Graziani l'impresa africana, celebrata dalla retorica dell'immensità delle dune ma combattuta nella realtà come la più sporca delle guerre, fino all'orrore dei gas e dei campi di concentramento. Il cammino di M. Il figlio del secolo - caso letterario di assoluta originalità ma anche occasione di una inedita riaccensione dell'autocoscienza nazionale - prosegue qui in modo sorprendente, sollevando il velo dell'oblio su persone e fatti di capitale importanza e sperimentando un intreccio ancor più ardito tra narrazione e fonti dell'epoca. Fino al 1932, decennale della rivoluzione: quando M. fa innalzare l'impressionante, spettrale sacrario dei martiri fascisti, e più che onorare lutti passati sembra presagire ecatombi future.
Pietro Gerber non è uno psicologo come gli altri. La sua specializzazione è l'ipnosi e i suoi pazienti hanno una cosa in comune: sono bambini. Spesso traumatizzati, segnati da eventi drammatici o in possesso di informazioni importanti sepolte nella loro fragile memoria, di cui polizia e magistrati si servono per le indagini. Pietro è il migliore di tutta Firenze, dove è conosciuto come l'addormentatore di bambini. Ma quando riceve una telefonata dall'altro capo del mondo da parte di una collega australiana che gli raccomanda una paziente, Pietro reagisce con perplessità e diffidenza. Perché Hanna Hall è un'adulta. Hanna è tormentata da un ricordo vivido, ma che potrebbe non essere reale: un omicidio. E per capire se quel frammento di memoria corrisponde alla verità o è un'illusione, ha disperato bisogno di Pietro Gerber. Hanna è un'adulta oggi, ma quel ricordo risale alla sua infanzia. E Pietro dovrà aiutarla a far riemergere la bambina che è ancora dentro di lei. Una bambina dai molti nomi, tenuta sempre lontana dagli estranei e che, con la sua famiglia, viveva felice in un luogo incantato: la «casa delle voci». Quella bambina, a dieci anni, ha assistito a un omicidio. O forse non ha semplicemente visto. Forse l'assassina è proprio lei.
Nella grande casa spenta in cima alla collina, vive sempre sola una bambina... Si chiama Eva, ha dieci anni, e con lei ci sono soltanto una governante e una ragazza finlandese au pair, Maja Salo. Dei genitori nessuna traccia. È proprio Maja a cercare disperatamente l'aiuto di Pietro Gerber, il miglior ipnotista di Firenze, l'addormentatore di bambini. Da qualche tempo Eva non è più davvero sola. Con lei c'è un amichetto immaginario, senza nome e senza volto. E a causa di questa presenza, forse Eva è in pericolo. Ma la reputazione di Pietro Gerber è in rovina e, per certi versi, lo è lui stesso. Confuso e incerto sul proprio destino, Pietro accetta, pur con mille riserve, di confrontarsi con Eva. O meglio, con il suo amico immaginario. È in quel momento che si spalanca una porta invisibile davanti a lui. La voce del bambino perduto che parla attraverso Eva, quando lei è sotto ipnosi, non gli è sconosciuta. E, soprattutto, quella voce conosce Pietro. Conosce il suo passato, e sembra possedere una verità rimasta celata troppo a lungo su qualcosa che è avvenuto in una calda estate di quando lui era un bambino. Perché a undici anni Pietro Gerber è morto. E il misterioso fatto accaduto dopo la sua morte ancora lo tormenta.
Nella primavera del 2021 Zerocalcare si reca in Iraq, per far visita alla comunità ezida di Shengal, minacciata dalle tensioni internazionali e protetta dalle milizie curde, e documentarne le condizioni di vita e la lotta. Il viaggio si rivela difficile perché più volte la delegazione italiana viene respinta ai vari check point controllati dalle diverse forze politiche e militari che si spartiscono il controllo del suolo iracheno. Questo libro a fumetti è la fotografia di un momento geopolitico preciso, in cui un manipolo di persone si oppone allo strapotere di chi chiama "terrorismo" ogni tentativo di resistenza, mentre gli assetti di potere cambiano lentamente, e il sogno del confederalismo democratico in un pezzetto troppo spesso dimenticato di Mesopotamia rischia di svanire per sempre, nell'indifferenza assordante dell'occidente.
Un giovane incontra a Parigi una ragazzina enfant prodige della matematica e i due s'innamorano, si fidanzano, si sposano. Lei, poco più che ventenne, va in America. Ma il mondo s'inceppa e in un batter d'occhio tutto finisce: niente più petrolio, niente più energia elettrica, commercio né moneta, niente più regole sociali. Ovunque solo guerre e carneficine. Il mondo si imbarbarisce e la sua caduta coglie i due innamorati ai due lati dell'oceano, senza possibilità di comunicare. Per vent'anni i due vivranno lontani, lei ha una vita durissima, lui comincia a scrivere per non dimenticarla, finché, dopo tanti anni, i due si ritroveranno, accesi dal fuoco della passione e dal bisogno di verità. "Le cose semplici" è il tentativo di raccontare il cammino dei nostri desideri più comuni ed elementari - e di tutto quello che ci tocca il cuore, fino a straziarci con la sua bellezza o con il ricordo pungente di essa - attraverso la labirintica distruttività del mondo. Il nostro bisogno di vivere una vita che si possa dire umana, di gioia ma anche di un dolore dotato di senso, è destinato a infrangersi contro il muro del potere, della superficialità, del pensiero indotto e dei luoghi comuni? O può trovare soddisfazione?
Nel caso di Sciascia, che rivendicava il diritto di essere "saggista nel racconto e narratore nel saggio", le etichette, si sa, funzionano male, mostrano tutti i loro limiti: saggistica e fiction, anzitutto. Ma anche all'interno di una categoria in apparenza inscalfibile come quella qui utilizzata per il sottotitolo, i conti alla fine non tornano, e il cartellino, pur necessario, appare riduttivo. Perché la sorprendente vastità delle letture di Sciascia (sono qui radunati interventi sul Furioso di Ariosto e l'Ulisse di Joyce, su E.M. Forster e Lawrence Durrell, su Ivo Andric e Calvino, su Montale e Bufalino, per non citarne che alcuni), ma soprattutto la mobilità del suo pensiero e l'incrollabile certezza che la letteratura può decifrare la realtà fanno sì che ogni saggio sia un luogo della libertà, un porto franco dell'intelligenza, una scena sulla quale si materializzano figure, temi, tempi del tutto imprevedibili e che ci portano molto lontano da dove eravamo partiti.
Diffidare dei cartelli segnaletici: è la prima regola da osservare. Perché ogni ritratto di Arbasino si moltiplica in altri ritratti, in altre imprevedibili storie. O, come nel caso di Nicolson, il figlio di Vita Sackville-West, in un frenetico dramma che sconvolge quattro coniugi, otto suoceri e "parecchie zie cattive" – e che solo "un delirio dei Fratelli Marx sull’Orient Express" potrebbe eguagliare. Si aggiungano le scintillanti ‘trascritture’ teatrali e musicali, le conversazioni à batons rompus, gli ‘affondi’ critici che valgono un libro e le irresistibili scorribande fra i ‘santini’ nostrani: incluso De Amicis, còlto a Costantinopoli in un bagno turco: "Cioè, praticamente, ecco Al Pacino in Cruising".
Il libro raccoglie il ricco epistolario fra Petrarca e l'imperatore Carlo IV di Boemia, l'imperatrice Anna, i maggiori dignitari di corte, sia laici che ecclesiastici, tra i quali il cancelliere imperiale e l'arcivescovo di Praga. Questo carteggio dà un'idea della progressiva affermazione in Europa di Petrarca, sia come intellettuale che come umanista, che viene via via raccogliendo attorno a sé - e non solo in Italia - uomini e personalità che accolgono entusiasticamente la nuova cultura da lui inaugurata. Inoltre, queste lettere, in particolare quelle da e per l'imperatore, pongono in termini assai vivaci il senso stesso dell'Impero Romano nella nuova Europa moderna, avviata alla costituzione dello stato assoluto. Dunque, problemi sia culturali che politici si intersecano in queste lettere, che vedono la nuova lingua latina, il "latino umanistico", affermarsi definitivamente come la lingua internazionale dei dotti.
Il più importante romanzo di Papini, scritto nel 1912, prima della conversione al cristianesimo. Si tratta di un romanzo autobiografico, riguardante soprattutto i successivi entusiasmi e delusioni che il giovane intellettuale fiorentino provava per le mode filosofiche del suo tempo. L'edizione presente aggiunge al testo originale alcune pagine inedite, scritte da Papini in quegli stessi anni e sui medesimi argomenti. Una ricca documentazione filologica e una introduzione critica dell'italianista della Sorbona, François Livi, arricchiscono l'edizione.

