
Sergio viene abbandonato dopo tanti anni di matrimonio dalla moglie Gianna, stanca dell'aura di indifferenza calata sul loro rapporto. Sergio è distrutto. Si lascia tentare da amori mercenari ma non si consola, perché, apparentemente, non ci può essere consolazione. Eppure, a poco a poco, qualcosa di profondo, che era come assopito, si ridesta. Sergio comincia a entrare in sintonia col mondo circostante, ed ecco allora fiorire delle "rose", un giardino di nuove consapevolezze dove le donne appaiono a Sergio in tutta la loro forza, fragilità, il loro coraggio. E neppure il tarlo della gelosia nei confronti di sua moglie, che pure sembra dettargli atti estremi, riuscirà a uccidere quella struggente fioritura. Perché Sergio ha imparato sulla sua pelle che le donne sono dei fiori, delicati ma pungenti come e più delle rose.
Descrizione
"Ogni angelo è tremendo" è la storia di una bambina che diventa adulta. Che nasce di notte, a Trieste, mentre soffia una bora nera che spazza via ogni cosa e rende ogni equilibrio impossibile. Di una bambina che cresce in una famiglia in cui sembra sia soffiato quello stesso vento impetuoso dell'est. Di una bambina che impara presto a riconoscere i vuoti che la morte lascia, quei vuoti che somigliano tanto agli abbandoni che la stessa bambina deve subire, da parte di un padre e di una madre desiderati e imprendibili. Di una bambina che non dorme mai, e fa (e si fa) molte domande, a cui nessuno sembra voler o poter dare risposte. Ma è anche la storia della scoperta del mondo e della sua bellezza, della natura e delle sue forme. Di una bambina che si fa ragazza e si apre ai primi palpiti di amore e amicizia, ai sussulti dei poeti e degli scrittori. È la storia di una ragazza che scende a rotta di collo le scale di casa, la notte in cui il terremoto irrompe. È la storia della scoperta della grande città, Roma, e del terrorismo e, finalmente, del potere della scrittura e dei libri. Quella bambina, quella ragazza, quella donna è Susanna Tamaro, che ci consegna il suo libro più intimo e coraggioso. Una autobiografia che è anche romanzo di formazione e inno alla vita nonostante, dentro (e forse grazie a) ogni sua oscurità.
È un giorno d'ottobre del 1956 quando Giovanni e la sua famiglia lasciano il piccolo paese di Buonalbergo e partono per il Nord. Lungo il viaggio in treno, Giovanni sogna quella città sconosciuta e magica, che può dargli da mangiare come ai ricchi: un paese pieno di luci, palazzi fantastici, giostre sul mare e donne bellissime che accolgono sua madre dicendole "benvenuta". A Genova, però, alla stazione Principe, non c'è nessuno a aspettarli. Una macchina li conduce a destinazione, a vico Vele, una strada stretta in mezzo a altre così anguste che il sole si ferma sui tetti e non scende mai. La casa è una stanza in affitto, un tavolo, un letto grande per tutti, un lavandino e un bidet smaltato, pareti scrostate. La notte, dal corridoio, risate, rumore di tacchi a spillo e voci grosse di marinai. Giovanni dorme con Totò, il fratello minore, con la testa ai piedi del letto, lasciando il posto migliore in alto alla mamma e alla sorellina Olimpia. La sera suo padre li bacia tutti e poi esce per andare a fare il guardiano notturno. Un giorno prende il clarino, l'unico tesoro portato da Buonalbergo. Quando rientra, al posto dello strumento, sotto il braccio c'è un fagotto contenente un chilo di carne. Giovanni non chiude occhio quella notte. Il clarino venduto per un pezzo di carne? In una Genova stupenda e dura, Giovanni cresce e scopre presto di essere una strana cosa lì al Nord: un "terrone", un essere invisibile che si può compiangere e offendere senza tanti scrupoli.
È l'estate del 1969. Sara ha diciassette anni, è nata nella Libia postbellica, in una multietnica Tripoli dove italiani, inglesi, francesi, americani, ebrei, cristiani, musulmani vivono fianco a fianco. Ha superato indenne gli esami di maturità al liceo scientifico italiano e sta finalmente iniziando ad affrancarsi da una famiglia dominata da tre donne, più esattamente tre "primedonne": una nonna dal passato burrascoso e ancora piena di energia, una madre implacabile e ben poco affettuosa, una zia di pochi anni più grande ma, al contrario della nipote, svenevole e in crisi isterica permanente. A differenza della sua famiglia, imprigionata tra apparenza e non detto, della sonnacchiosa comunità di cui fa parte, e di una città sospesa tra il vuoto e l'oblio, Sara freme dal desiderio di crescere, di sapere, di capire, di amare. Sempre più attratta dal mondo che la circonda al di fuori della comunità italiana, tra storie impregnate di colore, folklore, profumi, emozioni, Sara scopre di vivere in una società incapace di fare i conti con il proprio passato e impreparata ad affrontare il futuro, in uno straordinario e pericolante miscuglio di lingue, religioni, nazionalità e culture. Costretta a passare le vacanze in interminabili giornate sulle sabbie roventi del detestato Beach Club, poco incline a socializzare con le ricche e annoiate connazionali che frequentano il lussuoso ambiente, l'unico passatempo per la ragazza è farsi beffe del mondo che la circonda e rifugiarsi nella lettura.
Due poeti si scambiano versi di notte sul Tevere: sono Pier Paolo Pasolini e Sandro Penna. Una donna bellissima e coraggiosa, fra molti amori e lotte per il potere, si batte per imporre l'arte astratta: è Palma Bucarelli. Uno scrittore giovane e già carismatico fa la spola fra Torino e la capitale per amore: è Italo Calvino. Un artista prestigioso e chiacchierato conquista la città con una mostra sensazionale: è Picasso. Una scrittrice cerca casa nel centro di Roma bisticciando con il marito: è Natalia Ginzburg. Un giovane americano scribacchia pettegolezzi sui giornali per pagarsi la casa in via Margutta: è Truman Capote. Pittori leggendari si arrabbiano in continuazione con le generazioni più giovani: sono Giorgio De Chirico e Renato Guttuso. Un marito e una moglie romanzieri litigano furiosamente in pubblico, ma forse si adorano: sono Elsa Morante e Alberto Moravia. Una grande poetessa austriaca e un importante autore svizzero si amano e si dicono addio in un Caffè di via del Babuino: sono Ingeborg Bachmann e Max Frisch. Un'icona della musica pop e un artista maledetto hanno un affair travolgente, ma lei lo lascia per tornare dal suo infedele innamorato: sono Marianne Faithfull, Mario Schifano e Mick Jagger. Un regista di fama internazionale e il suo più celebre sceneggiatore, che è anche uno scrittore meraviglioso, intrecciano, rompono, ricompongono una turbinosa collaborazione: sono Federico Fellini e Ennio Flaiano.
Tra fatti della vita e clamorose dispute letterarie e artistiche, nascita e morte di vivaci testate giornalistiche, l'irripetibile stagione che vide i protagonisti della scena culturale romana al centro di un interesse mondiale, dalla povertà estrema dei primi anni '50, al furore della Neovanguardia, ai ribaltamenti del Sessantotto fino alla decadenza dei primi '70, rivive in un colorato affresco per celebrare un recente eppure lontanissimo passato. Dalla ritrosia di Burri alle nevrosi di Carlo Emilio Gadda, dai sadici scherzi di Goffredo Parise alle scazzottate di Consagra, dalle perfidie di Anna Magnani al nuovo gusto camp di Alberto Arbasino, la città della Dolce Vita incontra la sua leggenda in un racconto fastoso e pervaso di ironia. A condurre per mano il lettore, fra via Veneto e piazza del Popolo, da una galleria d'arte a un set cinematografico a una libreria è una ragazza trasteverina, che si chiama Ninetta - come il Ninetto Davoli che ha svolazzato leggero in tanti film e versi di Pasolini - e che traghetterà il suo desiderio di diventare scrittrice da quell'epoca di grandi alla "nuova preistoria" contemporanea.
Fu senza il sostegno di governi, società geografiche o altre istituzioni, senza un vero progetto e dovendo contare esclusivamente sulle proprie forze, il proprio coraggio e la propria capacità di arrangiarsi, che gli esploratori italiani dell'Ottocento affrontarono le insidie di terre e mari misteriosi. Questo libro è il ritratto di sei di questi spiriti liberi e ribelli, molto diversi tra di loro ma uniti dalla caparbietà di raggiungere comunque i propri obiettivi a dispetto di ogni regola e disciplina. Ecco Giacomo Bove che, dopo la spedizione artica del "Passaggio a Nord-Est", cerca nei viaggi in Sudamerica e in Africa un impossibile rimedio alle pene della propria anima inquieta. Ecco Giovanni Battista Cerruti che grazie alla propria affabilità nel trattare con una tribù di avvelenatori, ne diviene re. Augusto Franzoj, che affronta l'altopiano etiopico da solo per andare a recuperare le ossa dell'esploratore Chiarini ucciso dalla regina di Ghera. Il frate Guglielmo Massaja che diventa mago guaritore e consigliere personale di Menelik. E c'è anche Giovanni Miani, figlio di una serva e del conte veneziano Bragadin, che dopo aver dilapidato la sua cospicua eredità parte per l'Africa alla scoperta delle sorgenti del Nilo. Ecco infine Pietro Savorgnan di Brazzà, nobile friulano che è costretto a farsi francese per poter coronare il sogno di diventare esploratore e, con le sostanze della famiglia, fonda la colonia del Congo-Brazzaville.
È notte e la ragazza corre nella campagna buia più veloce che può, senza voltarsi indietro. È finalmente riuscita a scappare dalla gabbia in cui la vecchia la teneva prigioniera. Il vento gelido le taglia la faccia e la terra brulla i piedi, ma quasi non se ne accorge, perché il dolore delle doglie la rende insensibile a tutto il resto. La ragazza si accascia, urla e partorisce, ma a quell'urlo di dolore ancestrale non segue alcun pianto che annunci la vita. Lascia il bambino morto sotto un albero e prosegue fino a un fienile dove spera di potersi nascondere e riposare. La ragazza non lo sa ma la terra su cui sta cercando rifugio è conosciuta da tutti come "la terra del Sacerdote". Agapito è un uomo burbero e solitario, arido e secco come la sua terra. Tanti anni prima aveva provato a fuggire la povertà della sua terra, il Molise, emigrando in Germania; lì era divenuto sacerdote ma ormai di quel saio e della promessa fatta prendendo i voti è rimasto solo un soprannome. Dalla Germania è tornato con un segreto troppo grande e ha barattato il suo silenzio con la terra su cui vive. Quando Agapito scopre la ragazza nascosta nel fienile si trova di colpo al centro di un affare molto più grande di lui; la ragazza è un'immigrata clandestina, portata con l'inganno dall'Est dell' Europa e costretta a ripagare il passaggio in Italia in modo disumano: rinchiusa come un animale in gabbia e utilizzata per partorire figli da destinare all'adozione o al traffico d'organi.
I festeggiamenti per la vittoria dell'Italia ai mondiali di calcio impazzano ancora nel torrido pomeriggio del 1982 in cui Aldo Fantini riceve la visita della polizia. Sessant'anni appena toccati, Fantini si stava preparando il suo caffè pomeridiano con la meticolosa cura di chi è da due mesi in pensione, quando si ritrova al cospetto di un poliziotto alto e magro che, con una voce che suona lontana come in un incubo, gli annuncia che Bruna Fantini, sua figlia, è deceduta in compagnia di un amico in un incidente d'auto lungo un grande viale di Milano. Con lo stesso tono, il poliziotto aggiunge poi che nell'appartamento di Bruna Fantini è stata ritrovata sola, e naturalmente ignara dell'accaduto, la figlia della giovane donna, una bambina di nome Marta. Sono dieci anni che Aldo Fantini non ha più notizie di Bruna, precisamente dal momento in cui la scomparsa della moglie ha significato anche l'allontanamento di casa della figlia. Ignorava così tutto della vita di Bruna, in primo luogo che avesse a sua volta una figlia e che lui fosse diventato nonno. Dolore e compassione cancellano tuttavia le colpe e i torti degli anni, e così l'uomo non esita a prendersi totalmente cura della nipote. Ne chiede l'affidamento e, dopo essersi recato a casa della figlia, recupera vestiti, bambole, scatole di perline, cassette di lacca rossa per cercare di alleviare sofferenza e solitudine della bambina. Ma è un nonno che Marta non ha mai conosciuto, un estraneo per la ragazzina...
Dalla collina di Capodimonte, la «Posillipo povera», Rosa guarda Napoli e parla al corpo di Vincenzina, la madre morta. Le parla per riparare al guasto che le ha unite oltre il legame di sangue e ha marchiato irrimediabilmente la vita di entrambe. Immergendosi «nelle viscere di un purgatorio pubblico e privato», Rosa rivive la storia di sua madre: l'infanzia povera in un'arida campagna alle porte della città; l'incontro, tra le macerie del dopoguerra, con Rafele, il suo futuro padre, erede di un casato recluso nella cupa vastità di un grande appartamento in via Duomo; il prestito a usura praticato nel formicolante intrico dei vicoli, dove il rumore dei mercati e della violenza sembra appartenere a un furore cosmico. E una narrazione di soprusi subiti e inferti, di fragilità e di ferocia. Ed è la messinscena corale di molte altre storie, di «anime finte» che popolano i vicoli e, come attori di un medesimo dramma, entrano sulla ribalta della memoria: Annarella, amica e demone dell'infanzia e dell'adolescenza, Emilia, la ragazzina che «ride a scroscio» e torna un giorno dal bosco con le gambe insanguinate, il maestro Nunziata, utopico e incandescente, Marioma-ria, «la creatura che ha dentro di sé una preghiera rovesciata», Iolanda, la sorella «bella e stupetiata»... «Anime finte» che, nelle profondità ipogee di una città millenaria, attendono, come Vincenzina e come la stessa Rosa, una riparazione. Arriverà, sorprendente e inaspettata, nelle pagine finali del libro ad accomunare madre e figlia in un medesimo destino.
«Sono una donna bambina. Una donna segnata da un’infanzia e un’adolescenza trascorse in istituti per orfani. Io che orfana non sono. Nel chiuso di quelle stanze, mi è stata rubata la bellezza dei primi anni, la meraviglia della crescita, lo stupore per il mondo. E ho avuto in cambio dolore, umiliazione, ignoranza. Della famiglia, degli uomini, dei sentimenti, della vita.
Per questo, quando la porta di quelle stanze si è spalancata, ho dovuto imparare ogni cosa, mentre gli altri sapevano già. E ho scontato la mia inferiorità con enormi sofferenze. Marchiando la mia carne con le dure lezioni che il destino voleva impartirmi.
Un mattino di maggio, il giorno successivo ai miei diciotto anni, vengo espulsa dall’istituto. Buttata in mezzo a una strada, letteralmente. È una legge atroce che nessuno mi aveva mai comunicato. La suora apre la porta senza dire una parola, e senza dire una parola la richiude.
Mi ritrovo sola su una panchina, senza un soldo, senza una destinazione possibile. Tutti i miei averi sono un diario, un libro di scuola e gli abiti che porto addosso. Con quelli inizierò a percorrere la mia strada, senza sapere quale sia, senza sapere nemmeno se c’è per me, da qualche parte, una strada. Non so nulla, neppure il significato delle cose più naturali della vita. Le imparerò tutte sulla mia pelle».
Francesco Sacredo, giovane nobiluomo veneziano, torna nella sua città dall'esilio a Corfù, cui è stato costretto dall'Inquisizione. La laguna, trasformata dal gelo in una trappola di ghiaccio, lo accoglie lugubre come la sorte che lo attende. Durante la sua assenza il vecchio padre ha infatti perso al gioco tutti i suoi averi, vinti dalla contessa tedesca Matilde von Wallenstein. La nobildonna, vedova e smodatamente ricca grazie a una sfacciata e diabolica fortuna al gioco, concede al giovane una possibilità: recuperare d'un colpo, in un'ultima partita, tutti i beni persi dal padre. La posta in gioco è però altissima, perché ciò su cui il giovane Sacredo deve puntare è la sua vita stessa. Se perde, infatti, diverrà anch'egli uno dei beni acquisiti dalla contessa, che ne "prenderà possesso". Sconfitto, Sacredo fugge per sottrarsi al destino che tragicamente incombe, cercando nell'avventura il contrappunto alla solitudine. Una fuga che si trasforma anch'essa in una partita senza fine contro il destino.
Forse è stato il caso, o forse l’amore, a condurre Giacomo Musso, maestro di trentacinque anni, al Braccio 6, nel reparto di massima sicurezza del carcere di Novara. Sulle labbra, la dichiarazione di innocenza; tra le mani, il giornale che ritrae in prima pagina il corpo inerte e dilaniato di sua moglie. Per sfuggire alla disperazione, Giacomo decide di raccontare la propria storia, l’inevitabile serie di eventi che lo ha portato in quella stanza, con una minuscola finestra come unico contatto con il mondo, come se fosse un pericolo per gli altri, lui che non ha mai fatto male a nessuno. Si erano conosciuti in un locale di Parigi, lei si chiamava Shirin ed era di origine iraniana. Il loro non era stato un amore focoso fin dal primo istante, ma era nato con la lentezza inesorabile delle cose fatte per durare. Si erano sposati alla fine di marzo e poi avevano preso la decisione che avrebbe cambiato le loro vite per sempre: si erano trasferiti a Molini, sulle montagne piemontesi, il paese dove lui era nato. Giacomo aveva deciso per nostalgia, Shirin perché aveva bisogno di radici: quelle che non aveva mai avuto, quelle che i suoi genitori avevano reciso fuggendo da un paese, l’Iran, profondamente cambiato nel giro di pochi anni. Tra le mura di quelle case, in quel luogo che sembrava essere rimasto indenne al trascorrere del tempo, Shirin credeva di aver trovato ciò che cercava. Ma si sbagliava. Anche lì non era che una straniera, guardata prima con curiosità invadente e poi con diffidenza. Così aveva cominciato a cercare dove non avrebbe dovuto: lei, laica e atea, aveva trovato una casa proprio nella religiosità ostentata dei suoi connazionali. Ora, di lei e del suo grande amore non è rimasto nulla, esistono solo i ricordi che Giacomo affida alle pagine del suo diario, sperando forse di poter scrivere un altro finale.

