
Il protagonista di questo libro è una figura evanescente: un contabile-medium che accoglie il lettore sulla soglia e poi scompare. È lui che ha raccolto e trascritto, per l’interposta persona dell’autore, le voci di tre famosissimi personaggi. Morti che parlano dall’aldilà dei loro destini, delle loro vite, della modalità, enigmatica, della loro fine. Non vengono mai nominati direttamente nel testo: i loro nomi sono talmente citati che non si possono più pronunciare. L’accostamento è singolare. Due sono sovente accoppiati. Invece il terzo (la terza sarebbe più corretto dire) è stato di rado avvicinato agli altri. Nel mazzo dei tarocchi mediatici appaiono però intercambiabili o equivalenti. Il Presidente, la Principessa e il Poeta, come vengono chiamati qui, rappresentano tutt’e tre il Morto Misterioso, o l’Ammazzato Celebre (o aggiunga il lettore la formula che preferisce).
L’autore, per farsi loro ventriloquo, ha dovuto attraversare molte pagine, passare al setaccio una bibliografia immensa. Alla fine, però, il suono della voce appare solo suo, benché in questa riecheggino le voci dei tre, e mille altre. Dalle vicende narrate emerge a tratti una visione sacrificale dell’esistenza. Ma, nonostante per i tre si sia più volte usata l’espressione tragedia, prevale l’idea che la loro sorte si apparenti più alla farsa, per quanto sanguinosa. Forse la tragedia è davvero impossibile oggi, sembra suggerirci l’autore. Non viviamo nell’Atene del V secolo avanti Cristo, né nell’Inghilterra elisabettiana. Ma questa è un’altra storia.
In una scuola di una piccola città del Tragedistan, i professori sono riuniti in una sfibrante assemblea: perché nel mondo burocratizzato dell'istruzione, tra crediti scolastici, scrutinii e circolari incomprensibili, urge un imperativo che non può più essere ignorato: essere moderni. La grande idea, questa volta, consiste nel modernizzare i classici, facendoli riscrivere dagli stessi studenti. E dunque, tra raggelanti e parodistici rifacimenti dei "Promessi sposi" di Manzoni o della "Vita nova" di Dante, mentre si agita sottobanco un sorprendente mercato nero di classici in veste originale, Banda gioca al capovolgimento dei ruoli e regala al lettore un divertente ma impietoso ritratto della scuola, raccontando una storia che è una parodia velenosa su uno dei mondi più controversi dell'Italia di oggi.
Di recente si è riacceso il dibattito sul ruolo della Chiesa nella società civile e, con esso, il tentativo di fare un bilancio dell'azione ecclesiastica in età moderna, complice anche il cinquecentenario dell'apertura del Concilio Vaticano II. Al di là del significato politico e delle inevitabili conseguenze elettorali della discussione in atto, non si può evitare di interrogarsi sull'importanza della dimensione storica, addirittura identitaria, della "vexata quaestio" nella cultura italiana. Una proficua meditazione sul tema è quanto i curatori si propongono di realizzare con questo volume, senza limitazioni di carattere cronologico sulla scelta di autori (e di testi letterari), da Dante a Manzoni, da Gioberti a Rebora.
Milano o la città. Così, attraverso frammenti di esistenze eccentriche, questi racconti vogliono rappresentare che cosa vuol dire vivere insieme in una città oggi. E che cosa vuol dire vivere una città nell'epoca in cui sembra smarrita la possibilità di riconoscerne un'identità. Giorgio Fontana raffigura "la capacità di Milano di essere più reale di ogni sogno o perversione" attraverso l'estate "atlantica" di un giovane sbandato, l'estate degli sgomberi dei centri sociali. Per Helena Janeczek la metropoli emerge come un ologramma colorato dagli sprazzi di conversazione di un ragazzino che parla dentro un gioco elettronico con un partner che sta lontano, a Caltanissetta, e, a poco a poco, diventa presente e amico più dei compagni vicini. L'ingegnere slavo di Di Stefano confessa al commissario la sua assurda ribellione perché "Milano non era più il paradiso grigio che avevo conosciuto all'arrivo". L'esperienza urbana del supplente di Marco Balzano culmina nell'incontro con un alunno ricoverato in una casa alloggio per pazienti psichiatrici. Neige De Benedetti trova la città in un tram perché "l'unica cosa di cui si parla a Milano è partire". E "dove voi siete io sono già stato, dove vado io è dove voi non arriverete" conclude il suo racconto il fuggitivo di Francesco M. Cataluccio: una specie di eterno viandante, profugo siriano mezzo ebreo che nelle architetture pretenziose della stazione rivive luoghi percorsi da generazioni passate.
Una storia civile e attualissima, che cattura fin dalla prima pagina. Il nuovo grande romanzo del vincitore del Premio Campiello 2015. Marco Balzano ha la sapienza dei grandi narratori: accorda la scrittura al respiro dei suoi personaggi.
«Se non capisci tua madre, è perché ti ha permesso di diventare una donna diversa da lei». Questa è la storia di chi parte e di chi resta. Di una madre che va a prendersi cura degli altri, dei suoi figli che rimangono a casa ad aspettarla covando ambizioni, rabbie, attese. E un'incontenibile voglia di andarsene lontano. Dopo "Resto qui", Marco Balzano torna con un racconto profondo e tesissimo di destini che ci riguardano da vicino, ma che spesso preferiamo non vedere. Un romanzo che va dritto al cuore, mostrando senza mai giudicare la forza dei legami e le conseguenze delle nostre scelte. Daniela ha un marito sfaccendato, due figli adolescenti e un lavoro sempre più precario. Una notte fugge di casa come una ladra, alla ricerca di qualcosa che possa raddrizzare l'esistenza delle persone che ama - e magari anche la sua. L'unica maniera è lasciare la Romania per raggiungere l'Italia, un posto pieno di promesse dove i sogni sembrano più vicini. Si trasferisce così a Milano a fare di volta in volta la badante, la baby-sitter, l'infermiera. Dovrebbe restare via poco tempo, solo per racimolare un po' di soldi, invece pian piano la sua vita si sdoppia e i ritorni si fanno sempre più rari. Quando le accade di rimettere piede nella sua vecchia casa di campagna, si rende conto che i figli sono ostili, il marito ancora più distante. E le occhiate ricevute ogni volta che riparte diventano ben presto cicatrici. Un giorno la raggiunge a Milano una telefonata, quella che nessuno vorrebbe mai ricevere: suo figlio Manuel ha avuto un incidente. Tornata in Romania, Daniela siederà accanto al ragazzo addormentato trascorrendo ostinatamente i suoi giorni a raccontargli di quando erano lontani, nella speranza che lui si svegli. Con una domanda sempre in testa: una madre che è stata tanto tempo lontana può ancora dirsi madre? A narrare questa storia sono Manuel, Daniela e Angelica, la figlia più grande. Tre voci per un'unica vicenda: quella di una famiglia esplosa, in cui ciascuno si rende conto che ricomporre il mosaico degli affetti, una volta che le tessere si sono sparpagliate, è la cosa più difficile.
Nicola ha ventisei anni e fa l'insegnante precario a Milano. È figlio di Riccardo, un emigrante invecchiato troppo presto, e nipote di Leonardo, un contadino analfabeta e senza terra, che un giorno sorprende tutta la famiglia con una decisione importante: bisogna vendere la casa al mare, diventata l'oggetto ingombrante che divide fratelli, genitori e cugini. Cosí, una mattina di prima estate, partono a bordo di una Punto amaranto, nonno padre e nipote, per raggiungere la Puglia, a cui sono legati in maniera diversa. Il viaggio tra i luoghi e le memorie che hanno costruito la famiglia Russo diventa un viaggio iniziatico in cui i rapporti di confronto-scontro tra padri e figli si sciolgono in rapporti fra tre uomini, ognuno con i propri imbarazzi, affetti, difficoltà.
Negli anni Cinquanta a spostarsi dal Meridione al Nord in cerca di lavoro non erano solo uomini e donne pronti all'esperienza e alla vita, ma anche bambini a volte più piccoli di dieci anni che mai si erano allontanati da casa. Il fenomeno dell'emigrazione infantile coinvolge migliaia di ragazzini che dicevano addio ai genitori, ai fratelli, e si trasferivano spesso per sempre nelle lontane metropoli. Questo romanzo è la storia di uno di loro, di un piccolo emigrante, Ninetto detto pelleossa, che abbandona la Sicilia e si reca a Milano. Come racconta lui stesso, "non è che un picciriddu piglia e parte in quattro e quattr'otto. Prima mi hanno fatto venire a schifo tutte cose, ho collezionato litigate, digiuni, giornate di nervi impizzati, e solo dopo me ne sono andato via. Era la fine del '59, avevo nove anni e uno a quell'età preferirebbe sempre il suo paese, anche se è un cesso di paese e niente affatto quello dei balocchi". Ninetto parte e fugge, lascia dietro di sé una madre ridotta al silenzio e un padre che preferisce saperlo lontano ma con almeno un cenno di futuro. Quando arriva a destinazione, davanti agli occhi di un bambino che non capisce più se è "picciriddu" o adulto si spalanca il nuovo mondo, la scoperta della vita e di sé. Ad aiutarlo c'è poco o nulla, forse solo la memoria di lezioni scolastiche di qualche anno di Elementari. Ninetto si getta in quella città sconosciuta con foga, cammina senza fermarsi, cerca, chiede, ottiene un lavoro. E tutto gli accade come per la prima volta...
Sofia, Carla, Norma e Vera: donne in prima linea sulla frontiera della vita che corre veloce. I figli frequentano le stesse scuole milanesi, così la mattina prima del lavoro le quattro amiche condividono un caffè al bar Golden Palomino - una vera istituzione -, parlano di sé, di quello che succede intorno. Sofia è un po' fissata con il cibo, con i pasti che ogni giorno diventano il campo su cui misurare la propria ansia di perfezione e le proprie nevrosi; Carla è angosciata dalla precarietà di un lavoro che non si è mai concretizzato, dal rapporto difficile con il marito (la cui carriera va a gonfie vele) e dal fatto di ritrovarsi intrappolata negli spazi e nei riti domestici; Norma, invece, è reduce da una separazione dolorosa, e si trova a fronteggiare i molti paradossi dell'essere di nuovo single a quarant'anni e con i figli al seguito; infine Vera, una donna che porta il mondo sulle spalle e non si ferma mai, la breadwinner di una famiglia in cui il marito ha perso il lavoro: sarà proprio lui, rovinato dalle slot, a sparigliare le carte in modo drammatico e inaspettato. Questo momento di crisi unisce le amiche e le costringe a confrontarsi. Ciascuna di loro darà del dramma di Vera la sua interpretazione, in quel coro femminile di riflessioni autonome e concentriche che, piano piano, conferisce senso alla realtà, anche quella più dura, rendendola pensabile e visibile, come in un caleidoscopio.
Sofia, Carla, Norma e Vera: donne in prima linea sulla frontiera della vita che corre veloce. I figli frequentano le stesse scuole milanesi, così la mattina prima del lavoro le quattro amiche condividono un caffè al bar Golden Palomino - una vera istituzione -, parlano di sé, di quello che succede intorno. Sofia è un po' fissata con il cibo, con i pasti che ogni giorno diventano il campo su cui misurare la propria ansia di perfezione e le proprie nevrosi; Carla è angosciata dalla precarietà di un lavoro che non si è mai concretizzato, dal rapporto difficile con il marito (la cui carriera va a gonfie vele) e dal fatto di ritrovarsi intrappolata negli spazi e nei riti domestici; Norma, invece, è reduce da una separazione dolorosa, e si trova a fronteggiare i molti paradossi dell'essere di nuovo single a quarant'anni e con i figli al seguito; infine Vera, una donna che porta il mondo sulle spalle e non si ferma mai, la breadwinner di una famiglia in cui il marito ha perso il lavoro: sarà proprio lui, rovinato dalle slot, a sparigliare le carte in modo drammatico e inaspettato. Questo momento di crisi unisce le amiche e le costringe a confrontarsi. Ciascuna di loro darà del dramma di Vera la sua interpretazione, in quel coro femminile di riflessioni autonome e concentriche che, piano piano, conferisce senso alla realtà, anche quella più dura, rendendola pensabile e visibile, come in un caleidoscopio.
È il racconto di una vicenda d'amore nell'epoca oscura delle dittature e delle persecuzioni razziali in Europa, ma anche la storia di una donna, Dora Levi, che a sedici anni è costretta ad abbandonare la religione ebraica per professare quella cristiana. Divenendo in un certo modo una persona nuova, una credente nuova, che pur restando per molto tempo una "cristiana della domenica", deciderà infine d'impegnarsi nell'insegnamento della religione cattolica ai fanciulli. Eppure Dora continuerà a pregare il padre ebreo e fervente nazionalista, scomparso nel 1944, volgendosi spiritualmente a Israele, secondo la religione ebraica in cui era stata immersa fino all'adolescenza. Che sia sintomo di incoerenza?