
Esiste un fiume sotterraneo che ci scorre accanto, ma che non vediamo. È questa corrente, ora limpida, ora limacciosa, che dai bar di corso Buenos Aires a Milano può portare una diciassettenne come Ruby Rubacuori, la ragazza che non aveva niente, nella villa di Silvio Berlusconi, l'uomo che aveva tutto. E poi un'orda barbarica di ragazze disponibili, che ballano nude per lui nel rito del bunga bunga. Tra ristoranti e grandi alberghi, discoteche e ville, si sviluppa una storia che fa spesso esclamare: "Impossibile!". Eppure, Ilda Boccassini, il magistrato che ha messo paura a Cosa nostra e alla 'ndrangheta calabrese, ha indagato insieme con i colleghi su una vicenda che ha dell'incredibile. Ed è emerso davanti ai suoi occhi un universo inedito: tra bonifici bancari e gioielli costosi in regalo, tra case gratis e spogliarelli, i meccanismi del mondo della prostituzione e dello show business vengono documentati, registrati, filmati. Nell'avvincente narrazione di un grande cronista, scorrono le voci e le testimonianze, le analisi tecniche della polizia e le "soffiate" e, come in ogni giallo che si rispetti, "la caccia" dei detective ci pone di fronte a qualche domanda più importante: con i soldi si riesce davvero a comprare tutto, compresa una vita sessuale che la natura ti ha tolto? Oppure, qualche volta, il Destino decide che è arrivato il momento di dire basta? Berlusconi e Ruby, visti come mai prima d'ora, ci raccontano il lato oscuro del potere all'italiana.
Jenny, giovane attrice alla sua prima esperienza come protagonista, sta girando un film sulla vita della pittrice Artemisia Gentileschi che, all'inizio del Seicento, in una Roma ricca di straordinari fermenti culturali e allo stesso tempo soggetta alle dure regole dell'inquisizione, fu violentata da un amico del padre, suo insegnante di pittura. Durante le riprese, la sera dell'otto marzo, anche Jenny, tornando a casa, viene aggredita e violentata da tre giovani della Roma "bene", che vengono poi arrestati. Ancora sotto shock, la ragazza si ritrova nella paradossale situazione di dover affrontare due processi: la mattina in tribunale quello per direttissima per lo stupro vissuto sulla sua pelle e il pomeriggio quello di Artemisia riprodotto sul set. Così, poco alla volta il personaggio della pittrice diventa per Jenny una sorta di ossessione, e le due donne, superando qualsiasi vincolo temporale, instaurano un rapporto ricco di emozioni e complicità ma anche di forti incomprensioni, che finisce per minacciare la stabilità psicologica della già fragile Jenny. Il nuovo romanzo di Maurizio Cohen è un racconto sulla violenza e la fragilità umana, in cui le vicende degli abusi subiti da due donne si sovrappongono e si riflettono l'una nell'altra per dimostrare che nel corso della Storia e dell'umanità nulla cambia e tutto si ripete: Jenny e Artemisia non possono che restare vittime dei costumi e delle distorsioni dei propri tempi.
Palestina, metà degli anni cinquanta. Mentre il conflitto arabo-israeliano infiamma, Ichmad, dodici anni, un talento non comune per la matematica e un'ammirazione sconfinata per Albert Einstein, scopre per la prima volta cosa siano la violenza e la paura. La sua famiglia viene costretta dall'esercito israeliano a trasferirsi in un misero fazzoletto di terra rallegrato soltanto da una pianta di mandorlo, unica fonte di sostentamento e ristoro. Ma i problemi non sono finiti: quando il padre di Ichmad viene imprigionato con l'accusa di aver nascosto delle armi, spetta al primogenito prendersi cura della madre e dei fratelli. Ichmad deve trovare un lavoro, e in fretta. Suo unico conforto, il mandorlo in fondo al giardino. Anno dopo anno, ingiustizia dopo ingiustizia, i suoi fratelli soccombono all'odio verso Israele, invece Ichmad lotta per dare un senso a ciò che lo circonda e, grazie alla sua intelligenza matematica, vince una borsa di studio per l'università. Intanto il mandorlo resta lì, in fondo al giardino d'infanzia. Mentre la Storia fa il suo corso. Mentre Ichmad, ormai adulto, riesce a emigrare negli Stati Uniti nonostante l'opposizione della famiglia. Mentre capisce cosa siano l'amore e il lutto, la rabbia e il perdono. E, riappropriandosi delle proprie radici, finalmente ricomincia a sognare.
Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po' scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l'orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia. Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo "chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l'accesso" ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E li, ad aspettarlo, c'è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche. Iniziano così estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, "la cosa più simile a un'educazione che abbia ricevuto da lui". Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito più vero: "Eccola li, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino". Un'eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.
Che cos'è l'andare in montagna senza la conquista della cima? Un atto di non violenza, un desiderio di comprensione, un girare intorno al senso del proprio camminare. Questo libro è un taccuino di viaggio, ma anche il racconto illustrato, caldo, dettagliato, di come vacillano le certezze col mal di montagna, di come si dialoga con un cane tibetano, di come il paesaggio diventa trama del corpo e dello spirito. Perché l'Himalaya non è una terra in cui addentrarsi alla leggera: è una montagna viva, abitata, usata, a volte subita, molto lontana dalla nostra. Per affrontarla serve una vera spedizione, con guide, portatori, muli, un campo da montare ogni sera e smontare ogni mattina, e soprattutto buoni compagni di viaggio. Se è vero che in montagna si cammina da soli anche quando si cammina con qualcuno, il senso di lontananza e di esplorazione rinsalda le amicizie. Le notti infinite in tenda con Nicola, l'assoluta magnificenza della montagna contemplata con Remigio, il saliscendi del cammino in alta quota, l'alterità dei luoghi e delle persone incontrate. Questo è il viaggio che Paolo Cognetti intraprende sul finire del suo quarantesimo anno, poco prima di superare il crinale della giovinezza.
Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po' scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l'orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia. Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo "chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l'accesso" ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E li, ad aspettarlo, c'è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche. Iniziano così estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, "la cosa più simile a un'educazione che abbia ricevuto da lui". Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito più vero: "Eccola li, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino". Un'eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.
Che cos'è l'andare in montagna senza la conquista della cima? Un atto di non violenza, un desiderio di comprensione, un girare intorno al senso del proprio camminare. Opera di narrativa che prende spunto da un viaggio realmente accaduto, taccuino di viaggio, ma anche il racconto illustrato, caldo, dettagliato, di come vacillano le certezze col mal di montagna, di come si dialoga con un cane tibetano, di come il paesaggio diventa trama del corpo e dello spirito. Perché l'Himalaya non è una terra in cui addentrarsi alla leggera: è una montagna viva, abitata, usata, a volte subita, molto lontana dalla nostra. Per affrontarla serve una vera spedizione, con guide, portatori, muli, un campo da montare ogni sera e smontare ogni mattina, e soprattutto buoni compagni di viaggio. Se è vero che in montagna si cammina da soli anche quando si cammina con qualcuno, il senso di lontananza e di esplorazione rinsalda le amicizie. Le notti infinite in tenda con Nicola, l'assoluta magnificenza della montagna contemplata con Remigio, il saliscendi del cammino in alta quota, l'alterità dei luoghi e delle persone incontrate. Questo è il viaggio che Paolo Cognetti intraprende sul finire del suo quarantesimo anno, poco prima di superare il crinale della giovinezza.
"La prima guglia sparata in cielo, il primo marciapiede gremito, il colore della pelle del primo incontro. Il primo odore inatteso, che per qualcuno è l'oceano, o di carne arrostita, o di zucchero a velo, o di ruggine e foglie marce, anche se quello che sta marcendo è legno, cemento, ferro, mattoni, perché l'intera città sembra attaccata dalla ruggine e dalla multa. Sono inaspettati anche i colori. Non il bagliore freddo del vetro e dell'acciaio, ma le tonalità pastello del rosso, dell'arancio, del marrone. La sorpresa di sbarcare nel Nuovo Mondo e scoprire una città vecchia: non come sono vecchie quelle europee, che sono vecchie come monumenti, ma vecchia come una fabbrica abbandonata, o una casa di famiglia, o gli edifici ferroviari che si vedono appena fuori dalle stazioni, o i luna park in disuso." Questo libro è frutto di diversi viaggi a New York. Il risultato è una mappa ottenuta per accumulazione di appunti - piena di buchi, libri che non ho letto, posti che non ho visitato. Del resto, se scrivere una guida sulla città più raccontata al mondo ha un senso, l'unico senso possibile e che sia incompleta, particolare e mia." (P. Cognetti)
Sette racconti, sette ritratti di donna. Ragazze in lotta per l'amore, la maternità, il lavoro; donne che fanno carriera o ereditano fortune; donne che perdono il lavoro, vengono tradite e lasciate, provano a fare i conti con la sconfitta; che ricominciano, si ribellano, navigano a vista tra le tempeste del quotidiano. Accanto a loro uomini disorientati, capaci solo di lasciarsi vivere, privi del coraggio, dell'ironia ma certe volte anche della solitudine che circonda le loro compagne. Con uno stile asciutto Paolo Cognetti descrive, tra educazioni sentimentali e racconti di formazione, i capitoli di un immaginario "manuale per ragazze di successo": sette modi di trovare o perdere la felicità, sette storie che parlano con la voce di una nuova femminilità.
Isole, ponti, palazzi, infinite pagine di carta, otto milioni di abitanti più tutti gli eroi delle sue storie: la materia di New York è il granito e l’immaginazione.
«La prima guglia sparata in cielo, il primo marciapiede gremito, il colore della pelle del primo incontro. Il primo odore inatteso, che per qualcuno è di oceano, o di carne arrostita, o di zucchero a velo, o di ruggine e foglie marce, anche se quello che sta marcendo è legno, cemento, ferro, mattoni, perché l’intera città sembra attaccata dalla ruggine e dalla muffa. Sono inaspettati anche i colori. Non il bagliore freddo del vetro e dell’acciaio, ma le tonalità pastello del rosso, dell’arancio, del marrone. La sorpresa di sbarcare nel Nuovo Mondo e scoprire una città vecchia: non come sono vecchie quelle europee, che sono vecchie come monumenti, ma vecchia come una fabbrica abbandonata, o una casa di famiglia, o gli edifici ferroviari che si vedono appena fuori dalle stazioni, o i luna park in disuso.» Questo libro è frutto di diversi viaggi a New York. Il risultato è una mappa ottenuta per accumulazione di appunti – piena di buchi, libri che non ho letto, posti che non ho visitato. Del resto, se scrivere una guida sulla città più raccontata al mondo ha un senso, l’unico senso possibile è che sia incompleta, particolare e mia.
Con il DVD del documentario Il lato sbagliato del ponte (2005)
Indice
Prologo. Ritorno a Gotham - 1. Chiamatemi Ismaele (Brooklyn Heights + Dumbo) - 2. Kaddish per un sogno (Lower East Side) - 3. Dove vanno le anatre di Central Park d’inverno? (Midtown Manhattan) - 4. In cerca di un jukebox all’idrogeno (Greenwich Village + East Village) - 5. Il lato sbagliato del ponte (Park Slope) - 6. Musica nella città di Dio (Williamsburg) - 7. Brooklyn senza madre (Red Hook + Carroll Gardens) - 8. Molto forte, incredibilmente vicino (Coney Island) - Bibliografia
Nella fantascienza arcaica succedeva spesso che uno scienziato mosso dalle peggiori intenzioni escogitasse un raggio, o qualche altra diavoleria, in grado di ridurre uomini e cose a fattezze minuscole. Forse alcune di quelle formule sono finite in mano a Roberto Abbiati, e forse Abbiati - scenografo, e regista di se stesso - ha deciso di sperimentarle su uno degli esseri più smisurati che abbiano mai posseduto l'immaginazione occidentale: Moby Dick. Di fatto, ha costruito una bizzarra macchina teatrale - una scatola di quattro metri per due, che contiene quindici spettatori - usando la quale il suo Ismaele racconta di Ahab, della Balena, e di quasi tutto il resto. Ma lo fa in quindici minuti. A colpire, qui, non è solo il tentativo di raccontare una vicenda enorme nel minore spazio e nel più breve tempo possibili - anche perché questa sembra essere una fantasia ricorrente, che ha sedotto autori come Stephen King e John Huston, Orson Welles e Joseph Cornell. A stupire è piuttosto il sortilegio di cui, percorrendo questo curioso libro, finiamo per cadere vittime. Dopo essere entrati nello spettacolo descritto dal racconto di Codignola e dai disegni di Abbiati, infatti, ci ritroviamo a esplorare un mondo in miniatura, ma completo in ogni sua parte: e scopriamo con una certa meraviglia di desiderare tutto, tranne l'antidoto capace di riportarci alle dimensioni usuali.
Una rocambolesca e forsennata corsa a bordo di una mitica Fulvia coupé per liberare i fratelli dalle grinfie di malvagi rapitori che ne chiedono il riscatto. Riuscirà Thani, una teenager in giro per il mondo, a salvarli? Uno strampalato professore di letteratura inglese le darà una mano nel suo disperato tentativo contro il tempo. Insieme affronteranno rischi d'ogni sorta, attraversando praterie innevate, periferie metropolitane e orridi precipizi. Sullo sfondo, arroccato tra inaccessibili guglie di roccia, il misterioso Castello della Pietra e William Shakespeare con la sua arte immortale. Un racconto per tutti, un "mystery thriller" che terrà i lettori col fiato sospeso fino all'ultima pagina, in compagnia di Giulietta e Romeo, Amleto, Falstaff e tanti altri famosi personaggi creati dalla straordinario talento poetico di William Shakespeare. Età di lettura: da 9 anni.