
Negli ultimi dieci anni Valerio Magrelli ha raccolto, su foglietti sparsi, appunti riguardanti il padre. Quando quest'ultimo muore, quei documenti diventano un materiale prezioso, "il bandolo canoro di un'infinita matassa di storie": i viaggi in auto d'estate in giro per l'Italia; le avventure d'amore e morte durante la guerra; i desolati pomeriggi che l'uomo ormai maturo trascorre spingendo il genitore sul girello; il giorno in cui il figlio, armato di forbici, libera l'anziano febbricitante dal bozzolo del maglione; lo stupore di riconoscere, davanti allo specchio, un'espressione del viso che gli restituisce la ferrea legge dei vincoli genetici; gli abbracci, le risse, l'amore per Borromini o i folli scatti di rabbia. Diviso in 83 capitoli (numero che corrisponde agli anni vissuti dal protagonista), il libro scava fra ricordi e storia patria, mentre la biografia sfuma nella paleontologia, se non nella geologia... L'enigmaticità di questo iroso anti-eroe, e insieme la sua lontananza, suggeriscono infatti una possibile identificazione con i resti umani di origine preistorica trovati in Ciociaria, a Pofi, suo paese d'origine. Cosi narrando, Magrelli, orfano ad honorem e padre a sua volta, procrastina il congedo definitivo grazie al racconto, e non desiste, ma si maschera, fugge, scegliendo la digressione per scendere ancora più in profondità nella vita del capostipite, e mostrarne, oltre alle virtù, anche quei difetti che lo rendevano "un vecchio esacerbato e vulnerabile".
Negli ultimi dieci anni Valerio Magrelli ha raccolto, su foglietti sparsi, appunti riguardanti il padre. Quando quest'ultimo muore, quei documenti diventano un materiale prezioso, "il bandolo canoro di un'infinita matassa di storie": i viaggi in auto d'estate in giro per l'Italia; le avventure d'amore e morte durante la guerra; i desolati pomeriggi che l'uomo ormai maturo trascorre spingendo il genitore sul girello; il giorno in cui il figlio, armato di forbici, libera l'anziano febbricitante dal bozzolo del maglione; lo stupore di riconoscere, davanti allo specchio, un'espressione del viso che gli restituisce la ferrea legge dei vincoli genetici; gli abbracci, le risse, l'amore per Borromini o i folli scatti di rabbia. Diviso in 83 capitoli (numero che corrisponde agli anni vissuti dal protagonista), il libro scava fra ricordi e storia patria, mentre la biografia sfuma nella paleontologia, se non nella geologia... L'enigmaticità di questo iroso anti-eroe, e insieme la sua lontananza, suggeriscono infatti una possibile identificazione con i resti umani di origine preistorica trovati in Ciociaria, a Pofi, suo paese d'origine. Cosi narrando, Magrelli, orfano ad honorem e padre a sua volta, procrastina il congedo definitivo grazie al racconto, e non desiste, ma si maschera, fugge, scegliendo la digressione per scendere ancora più in profondità nella vita del capostipite, e mostrarne, oltre alle virtù, anche quei difetti che lo rendevano "un vecchio esacerbato e vulnerabile".
Quanto tempo ho trascorso sui treni! E a fare cosa, poi? A spostarmi. Ma per spostarsi non serve la vita: basta la vicevita. Questa, perciò, è una vice-autobiografìa, dove il passato appare sub specie ferroviaria.
Un medico, un set, una raccolta di poesie: tre fili esoterici che intrecciano due vite. Valerio Magrelli trasforma in opera il suo inatteso rapporto con "Fellini il Tolemaico". Un libro disegnato e raccontato, biografico e autobiografico: aneddoti, corsi e ricorsi, infanzia, maturità, omeopatia e cultura misterica. Su tutto, la prosa di uno fra i nostri più apprezzati poeti. "Fellini era omeopatico, mia madre era un medico omeopata, il fondatore dell'omeopatia italiana era il medico di Fellini e il maestro di mia madre. Morale: io ho vissuto vent'anni sotto il segno dell'omeopatia, e fu proprio grazie ad essa che ebbe luogo il mio incontro col sommo regista, sul set di "Casanova..."
“Addio al calcio”, di Valerio Magrelli, si presenta come un libro ibrido, a cavallo fra generi diversi. Strutturato come una raccolta di novanta “racconti da un minuto”, e diviso in due “tempi” di quarantacinque minuti ciascuno, il volume conduce il lettore attraverso aneddoti, ricordi, microbiografie, realizzando una sorta di immersione totale nell’universo di una passione vissuta e insieme sognata. Mentre si alternano le immagini di campioni antichi e moderni, Magrelli si concentra sul particolare legame che unisce in questo gioco la figura del padre a quella del figlio. Trasmesso di generazione in generazione, il calcio appare allora come una staffetta, un pegno, un’umile divinità domestica chiamata a vegliare sul futuro delle famiglie italiane.
Mentre in molte capitali europee soffiava il vento innovatore dell'Illuminismo, la Roma papalina di Pio VI Braschi sonnecchiava torpidamente sotto la polvere dei secoli. Era la Roma di Meo Patacca e di Pasquino, di Canova e di Pinelli, tappa obbligata dei "viaggi in Italia" dell'intellighenzia cosmopolita, da De Brosses a Goethe. Fu in questa Roma che, in riva al Tevere, nacque Lucina. Sua madre - che esercitava il puttanesimo al Porto di Ripetta, nei miserabili quartieri dove Illirici, Greci, Lombardi, Borgognoni e Portoghesi vivevano arroccati intorno alle rispettive chiese - la lascia orfana che è ancora bambina. Affidata alle suore, Lucina rivela una voce meravigliosa cantando le lodi del Signore nel coro delle Orfanelle: una voce di "musico sopranista", o di "castrato", come più comunemente si diceva; una voce da far invidia alle cantanti di maggior fama internazionale. Sennonché, nello Stato Pontificio, la carriera di cantante non era permessa alle donne. Ma Lucina, pur di cantare, si travestì da maschio e, fingendosi castrato, riuscì a diventare un musico famoso, di nome Leonardo. Fino a quando, molti anni dopo, con l'avvento della Repubblica Romana, potè tornare a chiamarsi Lucina. Queste, e mille altre vicende, si svolgono nello scenario turbinoso degli anni che vanno dalla Rivoluzione Francese agli albori del Risorgimento.
Estate 1800. Tre soldati napoleonici stanchi della guerra. Alle loro spalle la campagna d'Egitto e i suoi inferni, leniti appena dalla scoperta di una nuova, dolce droga: l'hascisc. Travolti dalla baraonda di Marengo - «la battaglia che alle cinque era persa e alle sette era vinta» -, disertano e si danno alla macchia. Sulle tracce dei tre si mettono gli emissari del dottor Zomer, un medico olandese che ha orchestrato un singolare «esperimento sanitario» per indagare gli effetti della nuova sostanza. Smarriti in un paesaggio ligure che pullula di spie e uniformi ormai tutte indistintamente nemiche, Lemoine, Dumont e Urruti - un capitano erudito, un tenente sognatore e un rude soldato basco - incontrano sulla propria strada amori difficili, illusioni perdute e la gioia del sole. Scopriranno così la libertà di scrollarsi di dosso la Storia per inseguire una vita fatta di attimi e di scelte. Forte di una prosa di precisa bellezza, Marino Magliani dirige una narrazione mossa e visionaria, alternando la velocità della grande avventura all'ampio respiro della pittura di paesaggio.
A Srebrenica l'unico modo per restare innocenti era morire. Marco Magini era un ragazzino durante i terribili fatti della ex Jugoslavia, li conosceva solo dai telegiornali. Ma quando da studente si imbatte nella storia di Drazen quella vicenda diventa un'ossessione. Quella storia raccontava di un ventenne costretto a combattere una guerra voluta da un'altra generazione e messo davanti a decisioni che nella loro eccezionalità mostrano a nudo l'animo umano come in un antico dramma greco. La rievocazione del massacro e del successivo processo presso il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia è affidata a tre voci che si alternano in una partitura ben scandita. La voce del magistrato spagnolo Romeo González che rievoca lo svolgersi del processo, evidenziando le motivazioni non sempre etiche e limpide che determinano una sentenza. Nell'eterno dibattersi tra ubbidire a leggi fratricide o ribellarsi appellandosi ai diritti inviolabili dell'uomo, viene fuori solo un'immagine povera e burocratica dell'esercizio della legge. Al giudice González si affiancano le voci di Dirk, casco blu olandese di stanza a Srebrenica, rappresentante del contingente Onu colpevole di non avere impedito la strage, e quella del soldato serbo-croato Drazen Erdemovic, vero protagonista della storia, volontario nell'esercito serbo, che fu l'unico a confessare di avere partecipato al massacro, l'unico processato e condannato.
Monica Maggioni ha condotto diversi telegiornali e programmi RAI (TV7, Unomattina) e ha realizzato molti reportage dall'estero. Nel 2003 segue dagli Usa le diverse fasi di preparazione della guerra in Iraq e subito dopo parte per il conflitto al seguito delle truppe americane. Dopo la dichiarazione della fine ufficiale dei combattimenti rimane in Iraq a documentare le difficili fasi della guerra. In questo libro la giornalista guida il lettore in un viaggio verso l'Iraq dei soldati americani, soldati che vivono un universo parallelo fatto di linguaggi, abitudini, codici sconosciuti, soldati che non sono Rambo né raffinati professionisti della guerra.
Uno specialista di migrazioni animali siede su una vetta nel cuore del deserto sahariano: attende il passaggio delle rondini. In quell'attesa, in quel deserto, si lascia contaminare dalla fiera saggezza del popolo dei tagil, fa sua la sapienza della sua guida Jibril, consuma amore mercenario con la berbera Jasmina, ascolta il dimah Tighrizt, poeta itinerante. Da lì, viaggiatore della notte, l'irundologo misura la distanza dal mondo che altrove continua a collassare nel disordine della guerra e racconta a Jibril altre storie di erranze e migrazioni: dell'orsa Amapola sorpresa nelle foreste della Carnia, dell'armeno Zingirian incontrato nel suo cammino, del principe polacco Potocki, e della Perfetta, la donna che va lungo le strade del mondo.
Una coppia. Il narratore e la sua compagna. Fanno l'amore la notte dell'elezione di Barack Obama a presidente e lei resta incinta. Siamo in quello che con affettuoso termine burocratico viene chiamato "il Nostro Distretto", un'area geografica compresa fra il mare della Versilia, il profilo aguzzo delle Alpi Apuane e la severa sequenza di cime e valloni dell'Appennino tosco-emiliano. Nei nove mesi di attesa la meravigliosa pazienza della memoria fa sì che il futuro padre torni alla propria storia, e a tutte le storie che, quasi a custodia di un evento che non può consumarsi senza la benedizione del tempo, riaccendono la sostanza leggendaria della gente del Distretto. Continuità e chiave emotiva del romanzo la Duse, intrepida maestra elementare di pastori, suonatrice di tanghi nelle osterie della Garfagnana, custode del suo solo amore perduto, il giovane e bel soldato arrivato dal Brasile che è stato il padre del narratore. Intorno alla Duse, una ruota di personaggi: la Santarellina, orfana comprata a otto anni da una famiglia di contadini, friggitrice di patatine a Newcastle per vent'anni; l'Omo Nudo, tornato con i suoi due stracci dai campi di concentramento tedeschi e diventato macellatore illegale di maiali; l'Otello, iscrittore di lapidi funerarie in Argentina; don Gigliante, severo pastore d'anime e "sindacalista" radicale dei tecchiaioli; la staffetta partigiana Marta.
Maurizio Maggiani ha una predilezione per l'oralità, gli piace sentire e far sentire come il racconto nasca dalla voce, dall'ascolto, dal rapporto che si crea tra la logica dei fatti e l'eco profonda della parola che li restituisce. E questo un segno decisivo dei suoi romanzi e degli incontri con il pubblico dei lettori. Ebbene, qui Maggiani fa un passo avanti e imbocca con rabbia e ardore la via dell'invettiva, un'oralità che sale di volume e di passione oratoria, perché, senza meno, deve ottenere un risultato: andare a segno. L'attenzione si sposta dalla leggenda delle cose accadute allo scacco delle promesse non mantenute. Le promesse fatte dalla sua generazione. Non poteva ben considerarsi beata la gioventù di un dopoguerra che si apriva provvido di speranze, di ideali, di futuro, e di un'alimentazione equilibrata? E allora? Che cosa succede ai figli del privilegio? Che cosa dissipano mentre disegnano un mondo nuovo? Oltre il confine della battaglia combattuta si apre il cedere del sogno, la traduzione dei ribelli in mediocri esecutori, manager, reggicoda di molti poteri. Maggiani amministra colpi con generosità, li chiama maledizioni. E tali sono, maledizioni. Perché i destinatari dell'invettiva e quelli che, pur fuori dal tiro generazionale, si riconoscono, sappiano almeno fare i conti con la vergogna del fallimento.