
Salvo, undici anni, barese, detesta molte cose. Quando ti fai male e i grandi ti dicono "tranquillo, non ti sei fatto niente", ma ti fanno fare la puntura per l'antitetanica. Quando scrivi un bel tema e non fai neanche in tempo a esserne contento perché la maestra lo legge davanti a tutta la classe e ti vergogni. E soprattutto quando ti parlano come se fossi un bambino, scandendo le parole, come se tu non le conoscessi già tutte, anche quelle volgari. Come fa suo padre, Vincenzo. Salvo non lo vede da sette anni, da quando cioè due uomini lo hanno portato via, in una scuola speciale dove però alla fine delle lezioni non lo lasciavano mai tornare a casa. Ora Vincenzo è uscito di prigione, ha raggiunto Salvo dagli zii a Udine e vuole che il figlio l'accompagni fino a Bari, dove ha una missione da compiere. Quattro giorni: un tempo enorme per Salvo, che non vuole partire con quell'uomo pieno di strani tatuaggi che fa cose di nascosto, come se avesse un segreto. Ma anche un'occasione per padre e figlio di tornare a conoscersi e a parlarsi. Un viaggio on the road verso il Sud Italia, scandito da incontri in autogrill, lezioni di vita e ricordi di un'infanzia ancora candida e piena di domande, prima che arrivi il misterioso "ladro di giorni".
Antonio M. Fonte è uno scrittore di enorme successo, ma per lui fama e ricchezza non hanno alcun significato. Stralunato e sociopatico, vive in una vecchia casa dei Quartieri Spagnoli di Napoli con la gatta Calliope, e se non ci fosse il suo agente letterario a ricordargli scadenze e doveri sarebbe incapace di distinguere ciò che è reale da ciò che forse non lo è. Ma un giorno, in mezzo alle migliaia di lettere dei suoi ammiratori, Antonio ne riceve una che non può ignorare. Datata quindici anni prima, è indirizzata a una donna che Antonio non crede di avere mai conosciuto. Solo il nome del mittente gli è familiare, perché è il suo. Quella lettera l'ha scritta lui, senza alcun dubbio. Quelle parole accennano a un ricordo smarrito e a un uomo che è stato ucciso, forse da lui stesso. Ma Antonio di tutto questo non ricorda nulla. Il giorno del suo cinquantesimo compleanno, si perde nei vicoli di Napoli e in un palazzo mai visto prima incontra uno strano personaggio che ha la mania di raccogliere tutto ciò che gli uomini perdono: nel suo Ufficio Oggetti Smarriti non si trovano solo mazzi di chiavi, libri o calzini spaiati, ma anche ricordi di giochi infantili, amori giovanili, speranze e sogni dimenticati. Antonio intuisce che è da lì che deve partire per ritrovare il filo del suo passato e risolvere l'enigma della lettera. Ma quell'enigma nasconde arcani ancora più insondabili: il segreto di una città che cambia forma e aspetto, l'avventura di un viaggio imprevedibile...
L'autrice, ragazza lei stessa, riesce a dare volto e cuore ai suoi coetanei schizzandone, velocemente, tratti e fisionomie in un racconto che si muove a metà strada tra fantasia e realtà. Il ladro di ombre è una spy story calata in un'atmosfera decisamente surreale, nella quale l'incrocio tra immaginazione e realtà è oggetto di continue sorprese. L'idea di fondo - il furto delle "ombre" da parte di Roby Pérez, il campione sportivo che deve in qualche modo mantenere la famiglia - rivela il "mondo" di Veronica: la scuola, gli amici, il modo di comunicare dei ragazzi d'oggi, la passione per il calcio, vitale in Argentina. Età di lettura: da 11 anni.
«La volta che Itria Panedda Nilis riprese a sognare era un pomeriggio rovente di fine estate, con un sole che abbruschiava la pelle e spaccava le pietre». Da Melagravida i sogni se n'erano andati dopo un terremoto, quando la terra si era spaccata «come una melagrana matura». Ma quel giorno Itria Nilis – «conosciuta a Melagravida e nel circondario col nomignolo di Panedda per via delle sue carni morbide e bianche come il latte appena cagliato» – fu come sopraffatta da «una sonnolenza strana», e sognò, e quando tornò in sé si sentì (lei, vedova da quattro anni) come accesa da un fuoco, e corse verso l'ovile del capraio Martine. Lui, quel fuoco che Itria aveva addosso, glielo spense volentieri – ma la pagò cara. E questo accadeva sulle rive del lago di Locorio, dove da allora hanno cominciato a verificarsi fatti assai strani. Il parroco aveva un bel sostenere che non c'era nessun mistero, che era solo opera del Maligno: tutti lo sapevano, anche se pochi avevano visto Itria Panedda Nilis «che si spogliava e ballava, e cantava e volava sopra le acque del lago». Così comincia questo romanzo di Salvatore Niffoi, che ancora una volta, sin dalle prime pagine, immerge il lettore in un'atmosfera magica e insieme concretissima, in cui la vita quotidiana di un paesino della Barbagia (fatta di fatica e di dolore, di miseria e di ferocia) si illumina di visioni in cui compaiono il diavolo e i morti ammazzati, ma anche madonne con le «tette grosse e dure, labbra alabastrine e capelli di seta» – e, sull'altare maggiore di un santuario abbandonato, finanche un dipinto raffigurante una specie di «grosso ragno meccanico»: lo stesso rappresentato sul frontespizio di un libro stampato da Aldo Manuzio nel 1499...
Le nostre vite sono segnate da oggetti che restano impressi nella memoria, come a scandirla con visioni e suoni che sembrano rimasti lì, a fissarci per sempre. Vittorio Zucconi affronta questo viaggio nel ricordo e ricuce i momenti di una vita popolata da personaggi straordinari. Così anche gli oggetti si animano e animano la scrittura: ci sono il ticchettio della Lettera 22 paterna a cadenzare le insonnie infantili e il videoregistratore Betamax, frutto dimenticato di anonimi ingegneri della Sony, per sfuggire alla noia asfissiante dei plumbei inverni sovietici. Ci sono i dibattiti metafisici sulla piadina perfetta di Milano Marittima e l'aereo scalcagnato della campagna presidenziale di Bush, che sembrava a ogni momento sul punto di schiantarsi ma offriva in cambio un posto in prima fila nello spettacolo della democrazia. E poi c'è l'ossessione ricorrente, la ricerca "illusoria e passeggera" per eccellenza, quella del lato fresco del cuscino. E può essere un ricordo di bambino - le vacanze in Romagna, l'afa dell'Adriatico e i letti intrisi di sudore - o l'alba della liberazione di Kuwait City, mentre in un albergo rovente di Dammam si cercava solo di dormire per non pensare alla "madre di tutte le guerre". Un viaggio nella memoria, una ricerca archeologica che diventa il romanzo di una vita, con quel poco di nostalgia che tutti ci possiamo concedere, ma qui ammaestrata dall'ironia del giornalista di razza.
Clara studia "storia della psicanalisi". La sera, seduta in cucina, rimane sveglia fino a tardi ad analizzare i casi delle "grandi isteriche" e le cronache del rapporto con i medici che le ebbero in cura: Freud, Jung, Charcot... In quei momenti sospesi, il piccolo appartamento in cui vive con il padre, il fratello e la nonna sembra spalancarsi in un abisso notturno, capace di riportarla indietro nel tempo e trascinarla nelle profondità di queste grandi narrazioni. Perché questo sono, prima di tutto: storie di vita, di corpi e di amori; ossessioni e incomprensioni, guarigioni e scacchi. Storie di donne. Ma poi, per curiosità più che per bisogno, Clara comincia a lavorare nel bar del fratello. E sarà allora che, tutt'a un tratto, la vita vera spazzerà via, con la sua forza e i suoi spigoli, gli anni di isolamento e di studio solitario. Abituata a confrontarsi con la teoria di un inconscio remoto, già catalogato e raffreddato, Clara si troverà alle prese con una vicenda misteriosa e ambigua, un omicidio che affonda le radici in un vortice di sentimenti incandescenti, di violenza e di colpa. Nel territorio violato delle periferie di oggi l'attende l'incontro con Wanda, una di quelle donne sopraffatte che per lei sono sempre state soltanto personaggi da studiare sui libri: scoprirà per la prima volta l'emozione e la paura di ascoltare, lei per prima, un cuore che si schiude, e che esige da lei una risposta.
Clara studia "storia della psicanalisi". La sera, seduta in cucina, rimane sveglia fino a tardi ad analizzare i casi delle "grandi isteriche" e le cronache del rapporto con i medici che le ebbero in cura: Freud, Jung, Charcot... In quei momenti sospesi, il piccolo appartamento in cui vive con il padre, il fratello e la nonna sembra spalancarsi in un abisso notturno, capace di riportarla indietro nel tempo e trascinarla nelle profondità di queste grandi narrazioni. Perché questo sono, prima di tutto: storie di vita, di corpi e di amori; ossessioni e incomprensioni, guarigioni e scacchi. Storie di donne. Ma poi, per curiosità più che per bisogno, Clara comincia a lavorare nel bar del fratello. E sarà allora che, tutt'a un tratto, la vita vera spazzerà via, con la sua forza e i suoi spigoli, gli anni di isolamento e di studio solitario. Abituata a confrontarsi con la teoria di un inconscio remoto, già catalogato e raffreddato, Clara si troverà alle prese con una vicenda misteriosa e ambigua, un omicidio che affonda le radici in un vortice di sentimenti incandescenti, di violenza e di colpa. Nel territorio violato delle periferie di oggi l'attende l'incontro con Wanda, una di quelle donne sopraffatte che per lei sono sempre state soltanto personaggi da studiare sui libri: scoprirà per la prima volta l'emozione e la paura di ascoltare, lei per prima, un cuore che si schiude, e che esige da lei una risposta.
Tra il pamphlet e il saggio di costume, "Il lavoro culturale" ripercorre le tappe di formazione di un intellettuale della provincia grossetana tra l'immediato dopoguerra e gli anni cinquanta, quando mezza Italia, fondava cineclub e circoli di cultura, analizzava problemi e progettava saggi sulla struttura culturale italiana.
In campo San Giacomo, a Venezia, c'è la Moby Dick, una libreria di quelle "che ti sorprende che esistano ancora, anche se ci sono in ogni città, tenaci come guerrigliere, eleganti come principesse". Il suo libraio si chiama Vittorio, ha passato i quarant'anni, vive per i suoi libri, combatte per continuare a venderli. Un giorno incontra Sofia, gli occhi chiari e le risposte svelte, che prende l'abitudine di andare a trovarlo. Il 12 novembre 2019, però, 187 centimetri di acqua alta eccezionale inondano le case, i negozi, sommergono gli scaffali di Vittorio. Le pagine annegano, e "campo San Giacomo è pieno di libri perduti, e pare che tutto sia perduto". Giovanni Montanaro, che ha vissuto in prima persona i giorni tragici dell'inondazione, li racconta in un modo lontano dalle cronache che hanno commosso il mondo. Racconta l'angoscia dell'acqua che sale, che distrugge, ma mostra anche un'altra Venezia, i giovani, i cittadini che reagiscono, l'allegria nata in mezzo allo sfacelo, fatta della capacità di aiutarsi, di rinascere. Personaggi, emozioni, colpi di scena il cui cuore è Venezia, sono i librai, è l'amore per i libri e l'amore che nasce grazie ai libri, è la tenacia di salvare le cose più care, a ogni costo. Un racconto che non rappresenta più soltanto Venezia ma diventa il simbolo di ogni improvvisa, tragica emergenza e di ogni faticosa rinascita. Per la prima volta Vittorio pensa che quei libri non sono morti, anche se sono ammaccati, anche se non sono più perfetti - come capita agli uomini, di ammaccarsi, ma poi di restare vivi.
Il connubio tra immagini e parole, oggi così pervasivo, ha in realtà una storia ben più antica di quel che si tende a credere, e nobili progenitori tanto celebrati in passato quanto ignorati o trascurati dal presente. Tra questi è da annoverare Andrea Alciato, erudito, umanista, "austero e insofferente" giurista ricordato tra i numi tutelari della gloriosa università di Pavia. Il suo "Emblematum liber" (1531), galleria di situazioni umane trasfigurate in metafore, doveva trasmettere - similmente agli ""Adagia" di Erasmo da Rotterdam, suo corrispondente - un patrimonio di saggezza e moralità facendo ricorso anche all'efficacia del mezzo iconografico. Divenne invece l'archetipo di un genere di letteratura che non solo conobbe successo in Europa fin dalla sua nascita, quasi cinquecento anni fa, ma esercitò un influsso sbalorditivo, tanto da costituire la chiave che dà accesso a molta parte dell'arte e della letteratura successive.
Pubblicato a ridosso del sacco di Roma, nel 1528, pochi mesi prima della morte del suo autore, e accompagnato subito da un immenso successo, "Il libro del Cortegiano" è un testo dalla complessa e affascinante architettura retorica, nella quale si riflettono i grandi modelli classici. Considerato per molto tempo la grammatica della società di corte, è soprattutto una prova letteraria che affonda le proprie radici nei problemi di un'epoca percorsa da cruciali dilemmi e lacerazioni. Un trattato che affronta i temi caldi di un momento di grandi cambiamenti: la crisi italiana nel contesto europeo, la dubbia moralità degli uomini di governo, l'assenza di un principe italiano, la centralità della Roma pontificia, l'emergere di nuove istituzioni monarchiche. L'introduzione e il commento di Walter Barberis lo riportano alla sua filigrana politica ed esistenziale, fornendo al lettore le chiavi per comprenderlo e apprezzarlo nella dimensione piú peculiare e innovativa.
"L'amore per crescere ha bisogno di muri, proprio come l'edera." Nonna Comasia ha insegnato questo a Francesco, detto Veleno, e lui lo ricorda ogni giorno. Timido e solitario, fino ai quattordici anni è vissuto immaginando vite eroiche e ammirando i coetanei più intraprendenti. Il suo universo quotidiano, nel paese pugliese dove vive, è quello della scuola, con regole e muri che sembrano fatti per essere invalicabili, non certo per nascondere gioie proibite. Fino all'incontro con Donatella Telesca, professoressa di Educazione tecnica. Lei ha il doppio degli anni di Veleno, eppure veste in modo più simile a lui e ai suoi amici Mimmo e Nappi che alle altre insegnanti. Ha la pelle candida, ma nasconde un'ombra che agisce come una calamita sui suoi giovani allievi: somiglia forse a quella che abita ogni adolescenza, presto dimenticata negli anni in cui si cresce e si impara a adeguarsi alle leggi del mondo. La Telesca siede tra i banchi, ascolta i ragazzi, li guarda come nessuno ha mai fatto prima. Nasce un'attrazione irresistibile, destinata a essere scoperta nel clamore dello scandalo. Un'attrazione imperdonabile, interrotta con la massima violenza. Per ristabilire l'ordine ognuno deve essere rimesso nella casella che gli spetta: Nappi, Mimmo e Veleno, ragazzi plagiati da raddrizzare e "reinserire"; Donatella, la plagiatrice da punire.