
Le valli dell'Alto Verbano, primavera 1986. Un paese come tanti, piccolo, grazioso, raccolto, pronto ad accogliere i turisti come ogni estate. Ma questa non si annuncia un'estate come le altre. Non capita tutti gli anni, infatti, di fare un macabro rinvenimento come quello che degnamente conclude la conferenza del professor Maldifassi sulle streghe di Druogno. Così il commissario Norberto Melis, ospite occasionale al seguito della compagna Fiorenza, viene incaricato dai superiori di dare una mano ai locali rappresentanti della legge. Per scoprire quasi subito, fra cene squisite e gite fra i boschi, quanto quel paesino da fiaba e i suoi decorosi e compiti abitanti celino segreti, invidie, rancori, antipatie, ostilità. E che, come sempre accade, il presente affonda le proprie radici nel passato, un passato ormai lontano. Ma scavare nel passato, si sa, può diventare molto pericoloso. Soprattutto quando quei giorni remoti vennero macchiati dal sangue. La nuova, inedita indagine del commissario Melis conferma tutti gli ingredienti che hanno fatto amare ai lettori le precedenti: un linguaggio che, tra il dolente e l'ironico, mischia continuamente alto e basso, l'attenzione all'arte culinaria, una vicenda gialla alquanto intricata che si dipana per piccole intuizioni, con un insoluto crimine commesso durante l'ultima guerra che getta la propria ombra sul delitto contemporaneo, e un complicato puzzle di identità da comporre con le tessere di vittime e colpevoli.
Fu Vittorini a seguire passo passo la nascita e la crescita di questo romanzo. E fu Romano Bilenchi a volere per primo che il romanzo venisse pubblicato. L’enorme tempo apparve nel 1976. Ferdinando Virdia scrisse: «Il vero protagonista non è tanto il giovane medico narrante se stesso, ma il paese, con le sue case e con la sua luce, con le tracce delle innumerevoli generazioni che vi si sono succedute, con la gente viva e con i morti, con gli ammalati, con i vecchi, con i bambini, con gli animali che vivono insieme tra le medesime mura, con i ricordi delle generazioni che ognuno si porta dentro. Il giovane medico ritrova ogni giorno l’antica favola nella presente realtà, ma nel tempo stesso vi si immerge, la interroga, ne riscopre i segni profondi, i segreti di una umile vita di ogni giorno, la lunga assuefazione al tempo che scorre, l’enorme tempo che attutisce e diluisce drammi ed esistenze, dolori e passioni, fantasie e memorie, nel cuore di un microcosmo-Minèo, che può essere anche lo specchio di un macrocosmo, di quel continente-Sicilia che in altri suoi libri, La contrada degli ulivi, Il fiume di pietra, La divina foresta, L’isola amorosa, Bonaviri evoca in chiavi di mito e di fantasia, ma sempre con un vigile e immediato sentimento della realtà, nelle chiavi, vorrei aggiungere, di una “scienza nuova” che gli può suggerire la sua “favola” di medico. Ed anche di una sua “gaia scienza”, e non scrivo a caso, ma quasi per analogia, questo titolo nietzeschiano».
Qui, per la prima volta, vengono riproposti in appendice gli Appunti per un diario d’un medico siciliano: il memoriale sul quale Bonaviri lavorò per la costruzione del romanzo.
Giuseppe Bonaviri, nato nel 1924 a Mineo, in provincia di Catania, è scomparso nel 2009. Primo di cinque figli di un sarto, Bonaviri ha vissuto per anni a Frosinone dove ha esercitato la professione di medico. Fra le sue opere più note, tutte ora pubblicate da questa casa editrice: L’incominciamento (1983), Il dottor Bilob (1994), Il vicolo blu (2003), L’incredibile storia di un cranio (2006), Il sarto della stradalunga (2006), La divina foresta (2008) e Notti sull’altura (2009).
"La burla di un giorno! Fare che diventasse per sempre, non più una burla, no; ma una realtà, la realtà di una vera pazzia... " (Luigi Pirandello).
Vagabondando per il mondo, per un improbabile Ente nazionale della cinematografia popolare, il nostro eroe cerca di trarre buona materia di documentari nel profondo Sud americano, fra i mercati di Marrakech, sulla Transiberiana e in Carelia. Gli rispondono buffi e tragici personaggi, tutti molto compresi nell'esercizio universale dell'arte di arrangiarsi e del campare. Paolo Nori, nato nel 1963, vive a Bologna. Ha pubblicato "Le cose non sono le cose" (Fernandel 1999), "Bassotuba non c'è" (DeriveApprodi 1999, poi Einaudi 2000), "Spinoza" (2000), "Diavoli" (2001), "Grandi ustionati" (2001) e "Si chiama Francesca, questo romanzo" (2002), tutti negli Einaudi Stile libero.
A un tempo Anna Crespi ha coltivato quel senso della solitudine che permette la visione delle cose e dei propri simili. Nelle sue epifanie scorre davanti al lettore la «Commedia umana», una visione capace di durezza; la tragedia resta tragedia, lo scandalo resta scandalo, e al contempo una visione che coglie la vita, la bellezza, l’incomparabile. Il tutto non senza ironia. Pensieri, fotogrammi, haiku, su cose, scene, figure, che divengono Epifanie da condividere con chi si accosta a tanta pregnanza intima, che non dimentica mai il quotidiano e il contesto, anche mondiale. E poi tanta musica.
Nel 1961 Fenoglio scrisse una serie di epigrammi sui modello di Marziale. Composti come se fossero tradotti dal latino, e utilizzando nomi propri latini, passano in rassegna uomini e donne di Alba nel dopoguerra, satireggiandone i vizi pubblici e privati. In particolare l'ipocrisia e il cinismo che, sotto il fuoco dell'ironia fenogliana, sono sì fenomeni senza tempo, ma diventano tanto peggiori in quanto colti in un'epoca che, dopo la Resistenza, avrebbe dovuto segnare una svolta etica in tutta la nazione. Pubblicati postumi nell'edizione critica delle Opere di Fenoglio diretta da Maria Corti, gli Epigrammi sono ora presentati per la prima volta in un volume a sé, con due inediti e un ampio saggio introduttivo di Gabriele Pedullà.
Quest'antologia ripercorre le tappe principali del genere epigrammatico in Italia, dagli umanisti del Quattrocento al Novecento. Genere considerato minore, l'epigramma è stato tuttavia coltivato da molti scrittori e poeti: Machiavelli e Ariosto; Alfieri, Foscolo e Leopardi; Saba, Montale, Bassani, Fortini e Pasolini. Racchiuso in poche righe condite di grande ironia, e talvolta di qualche veleno, l'epigramma ride non solo dell'uomo ma anche della cosiddetta grande poesia, spesso troppo pomposa e complicata.
Parigi, inizio del XII secolo: a Pietro Abelardo, brillante magister della scuola cattedrale, viene affidata l'educazione della giovane nipote di un canonico, Eloisa. Tra i due sboccia presto l'amore; vengono scoperti, Eloisa dà alla luce un figlio e si giunge a un matrimonio riparatore, che non placa però la sete di vendetta della famiglia di lei. Una notte sicari prezzolati sorprendono Abelardo nel sonno e lo evirano. Travolto dalla disperazione egli si fa monaco; anche Eloisa prende il velo. I rapporti fra i due continuano con alterne vicende fino alla morte di Abelardo. La loro storia sentimentale e spirituale è raccontata in otto lettere di grande raffinatezza letteraria, che la tradizione attribuisce ai due protagonisti.
Singapore, una bolla luminosa a misura di gente privilegiata, dove Lea ha scelto di vivere, lasciando Roma. Ha sposato un avvocato di successo che nel tempio finanziario del consumo ha trovato le sue soddisfazioni. Anche se a tratti è punta da una nota di malinconia, la ragione le dice che non avrebbe potuto fare scelta migliore: Vittorio è affidabile, ambizioso, accudente. È un uomo che prende le cose di petto e aggiusta quello che non va; come quando ha raccolto lei, sotto la pioggia, un pomeriggio londinese di tanti anni prima. Al cuore di Lea invece basta pochissimo per confondersi: l'immagine di un ragazzino introverso, curvo su una scrivania a darle ripetizioni di matematica. Si chiama Giacomo e Lea non ha mai smesso di pensare a lui. L'alunno più brillante, il professore più corteggiato, l'amante passionale, l'uomo codardo. Lea sa bene che deve stargli lontano, perché Giacomo può farle male: c'è un'ombra in lui, qualcosa che le sfugge, ma che lentamente lo divora. Quando una piccola casa editrice accoglie il romanzo che ha scritto, Lea è costretta a tornare a Roma, e ogni proposito crolla. Il passato con tutta la sua prepotenza li travolge ancora una volta, con maggior violenza e pericolo. Secondo i principi della fisica che Giacomo le ha insegnato, nulla può separare due particelle quantiche una volta che sono entrate in contatto. Saranno legate per sempre, anche se procedono su strade diverse, lontanee imprevedibili.