
Che cos'è la verità propone in traduzione italiana quattro saggi tratti dal secondo volume dei suoi "Gesammelte Werke" e dalla raccolta "Gadamer Lesebuch", dai quali emergono in maniera particolarmente chiara il senso fondamentale e la perdurante attualità del messaggio filosofico dell'ermeneutica, condensabile nella rivendicazione di significato e valore autonomi per una serie di esperienze che stanno "al di fuori della scienza" e nelle quali, per Gadamer, "ci si dà a conoscere una verità che non sarebbe altrimenti raggiungibile", cioè si annuncia "una verità che non può esser verificata con i mezzi metodici della scienza". Una rivendicazione di significato e autonomia, in altre parole, per "una forma di intelligenza" quella del comprendere (Verstehen), il fenomeno ermeneutico fondamentale che, "nel nostro tempo sopraffatto dalla rapidità dei mutamenti", secondo Gadamer "rischia di oscurarsi e di perdersi", e che è invece nostro compito salvaguardare, coltivare e continuare a sviluppare, pena uno smarrimento del senso più profondo di ciò che è autenticamente "umano".
Viviamo immersi nell'ambiente creato dalle nuove tecnologie. Internet, telefoni cellulari, dispositivi autoregolati sono ciò di cui facciamo costantemente uso. Ma a volte nasce il dubbio di non essere tanto noi a utilizzare questi apparati, quanto piuttosto di esserne utilizzati. Questo libro vuole riflettere sul nostro rapporto con le nuove tecnologie e su come tale rapporto può essere realizzato eticamente, in un confronto con i criteri e le procedure che contraddistinguono l'agire tecnologico. Dopo aver distinto tecnica e tecnologia e aver analizzato nel dettaglio alcune tecnologie emergenti, si discutono i modi in cui - attraverso il diritto, l'approccio deontologico e i Comitati etici - vengono affrontate molte questioni di grande attualità; lo scopo è di mostrare come solo un preventivo approfondimento in chiave etica dei problemi qui emersi possa rendere davvero efficaci i tentativi di soluzione proposti.
Il volume si sofferma sulle diverse componenti del pensiero di Armando Carlini, avendo cura di evidenziarne l’attenzione per la dimensione interiore dell’uomo e per quella religiosa. L’esame accurato del multiforme impegno intellettuale di Carlini è seguito da un’analisi minuziosa delle sue opere e da un’articolata esposizione dei temi fondamentali della sua filosofia. Egli si è confrontato con l’idealismo dei suoi maestri (Croce e Gentile), con la metafisica degli scolastici del suo tempo (Olgiati e Bontadini) e con le posizioni più affini degli altri spiritualisti cristiani (Guzzo e Sciacca). Emerge, così, uno spaccato oltremodo interessante del pensiero filosofico italiano nella prima metà del Novecento
Leonardo Messinese
è ordinario di Storia della filosofia moderna alla Pontificia Università Lateranense. È direttore della rivista internazionale di filosofia «Aquinas» e dell’Area di ricerca “Ritorno della metafisica e pensiero post-metafisico” della P.U.L. Tra le sue ultime pubblicazioni segnaliamo: Il cielo della metafisica. Filosofia e storia della filosofia in Gustavo Bontadini, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; L’apparire del mondo. Dialogo con Emanuele Severino sulla “struttura originaria” del sapere, Mimesis, Milano 2008; Il paradiso della verità. Incontro con il pensiero di Emanuele Severino, ETS, Pisa 2010; Heidegger e la filosofia dell’epoca moderna. L’“inizio” della soggettività: Descartes, Lateran University Press, Roma 2010 (ristampa della seconda edizione); Metafisica, ETS, Pisa 2012.
La genialità di Pavel Florenskij, "Leonardo da Vinci russo", grande filosofo e scienziato nei primi decenni del secolo scorso, si colloca pienamente all'interno della grande tradizione di un popolo. Il filosofo russo pone, infatti, al centro della sua ricerca la questione della istina, cioè della verità vivente. La verità vivente pulsa dal di dentro della struttura dell'io e lo interroga riguardo alla questione del rapporto con la sua origine. La vita non consiste in una neutrale opacità, ma in una domanda rivolta al soggetto e perennemente rinnovata. La vita cioè costringe il soggetto a rivedere la concezione e gli schemi del suo discorso. Florenskij raccoglie la sfida, affrontando l'avventura del sapere con uno sguardo differente. Questa sfida non fu solo scientifica, ma fu una opposizione radicale al regime stalinista sovietico, che in un primo tempo lo tollerò per sfruttare le sue capacità e innovazioni scientifiche e poi lo giustiziò come dissidente. La ragione che egli prospetta è costituita da un'alterità generativa, che istituisce l'io nella forma della testimonianza. Tale ragione allargata dall'accoglienza profonda del mistero è in grado di giungere fino alla testimonianza. Il martirio del filosofo, in tal senso, è il vivo compimento di un pensiero. Le antinomie della vita e della storia non costituiscono per Florenskij una paralisi della ragione, ma sono occasioni sempre nuove e drammatiche per pensare la grandezza e la libertà di un destino donato.
Si dice: la verità trionfa sempre; ma sappiamo bene che non è vero. È vero però che la verità ha un solo modo di essere tale, mentre, al contrario, la menzogna è suscettibile di un'infinità di combinazioni. Essa non è mai uguale a se stessa, straripa, trabocca, si moltiplica in centinaia di figure diverse, s'insinua, come appare sempre più evidente, in tutti i meccanismi della società. Disponibile nelle sue molteplici forme, anche le più insolite, la menzogna trova conferme continue della sua vastissima diffusione. Immaginando che nel mondo domini la menzogna, le insidie che assediano quotidianamente la verità - nel discorso pubblico, nella politica, nella capacità stessa di ragionare in modo onesto - emanano da essa con una forza che tende a scardinare le basi della convivenza civile. Franca D'Agostini orchestra un'analisi dei suoi meccanismi con lo strumento affilato e affidabile della logica, spiegando come si origina, in quali forme si presenta e come può essere riconosciuta.
Il testo originale del "Peri phyton" è perduto, e il trattato che leggiamo in greco, edito per la prima volta nei "Geoponica" (1539), e incluso in tutte le edizioni del "Corpus Aristotelicum", a partire dalla seconda edizione di Basilea (1539), è la retroversione greca (anonima) condotta sulla traduzione latina, condotta a sua volta su una traduzione araba di una traduzione siriaca. Il Medioevo latino attribuisce quasi unanimemente il trattato ad Aristotele. Il trattato ha un carattere peculiare nell'ambito della botanica antica, in quanto affronta temi discussi principalmente in ambito biologico e filosofico: se la pianta sia un essere vivente, quale tipo di "anima" abbia, se sia capace di percepire, se i sessi siano in essa distinti, e in genere quali caratteristiche tipiche della fisiologia animale sia possibile riconoscere anche nella pianta. Esso ha costituito nel Medioevo e nel Rinascimento una delle fonti antiche più lette, come dimostrano, tra gli altri, il "De vegetabilibus" di Alberto Magno, e il commento della retroversione greca da parte di Giulio Cesare Scaligero. Il testo greco stampato a fronte della traduzione è (tranne in alcuni punti, segnalati e discussi nelle note) quello dell'edizione del 1989, curata da H. J. Drossaart Lulofs (editore delle versioni orientali) e E. L. J. Poortman (editore della versione latina e greca).
All’Università di Vienna Karl Popper ebbe per maestro Karl Bühler. Nel 1928 Popper si laurea con Bühler con una tesi dal titolo Sul problema del metodo nella psicologia del pensiero, qui pubblicata per la prima volta in edizione italiana. L’intento di fondo e dichiarato del lavoro di Popper è quello “di cercare di applicare alla psicologia del pensiero i risultati metodologici più importanti ottenuti da Bühler”. Una descrizione dei fatti psichici è possibile, secondo Popper, solo a patto che si tenga conto del “pluralismo degli aspetti” degli stessi fatti psichici, vale a dire dell’aspetto dell’esperienza vissuta, dell’aspetto del comportamento e dell’aspetto delle creazioni oggettive dello spirito – aspetti che corrispondono alle tre funzioni del linguaggio evidenziate da Bühler. Simile presa di posizione conduce Popper a una serrata critica del fisicalismo, ma anche del comportamentismo, nella persuasione che noi pensiamo per problemi e tentativi di soluzione di questi problemi. Questo lavoro segna, da parte di Popper, l’abbandono della psicologia del pensiero e l’approdo alla Logica della ricerca.
Ludwig von Mises, l’autore di questo libro, è stato uno dei grandi liberali del Novecento. Figlio della Grande Vienna, è stato maestro di Friedrich A. von Hayek e di tanti altri giovani che, dopo la Grande Guerra, si sono trovati a cercare un orientamento culturale e politico. In fuga dal nazismo, Mises si è dapprima rifugiato a Ginevra e poi a New York. In nome dello Stato fa parte degli scritti del periodo ginevrino, che precede e segue di poco lo scoppio della Seconda guerra mondiale. È uno straordinario documento, tramite cui è possibile “rileggere” uno dei momenti più tragici della storia d’Europa. È un testo agile, in cui una prosa nitida e diretta getta luce sull’incubazione del nazismo, sui suoi legami con la cultura interventistica dei prevalenti circoli accademici tedeschi. Dopo la conquista del potere da parte di Lenin, Mises aveva mostrato come l’impossibilità del calcolo economico, in regime di pianificazione, avrebbe portato al crollo del comunismo. Ed è toccato a lui fornirci una delle più immediate e penetranti analisi del nazismo, che non è stato una “terza soluzione” fra capitalismo e comunismo. La cooperazione sociale si può svolgere in maniera volontaria: la via intrapresa dalle società libere. E si può svolgere in maniera coercitiva: con la pianificazione comunista o con un generalizzato sistema di interventi autoritativi. Nel caso dell’interventismo, la proprietà privata non viene formalmente soppressa, ma viene svuotata di contenuto: mediante una fitta trama di provvedimenti amministrativi, la libertà di scelta individuale e l’allocazione competitiva delle risorse vengono soppresse. È esattamente quanto ha fatto il nazismo, che ha perciò avuto una base economica congruente con la sua ideologia totalitaria. La vicenda hitleriana non è una figlia, sia pure illegittima, del liberalismo. È un prodotto di quell’avversione nei confronti della libertà individuale e del mercato, che è il tratto comune di tutti i membri della famiglia del totalitarismo. Il libro di Mises ha una grande utilità. Non serve solo a spiegarci il perché delle gravissime tragedie del Novecento. Esso ci aiuta pure a porre in chiaro le conseguenze economiche, sociali e politiche di ogni tipo di interferenza del potere pubblico. E rende in tal modo trasparente quel che si cela dietro molte delle “pratiche” politiche del nostro tempo. L’interventismo è la malattia professionale di governanti, militari e burocrati. I governi sono liberali solo quando sono costretti dai cittadini.
La vita è per sua stessa natura indefinibile, perché la nostra prospettiva è falsata dalla soggettività alla quale non possiamo sfuggire. L’unica via resta quella di descriverne i caratteri, qualche denominatore comune che renda possibile un’immagine della vita. Che è vuoi opera divina vuoi conseguenza di uno scarto chimico che ha procurato al mondo un principio diverso da quello che comanda il cosmo inanimato. Nascita, riproduzione, morte: questo il ciclo che determina la vita. Entità fragile e tenace al tempo stesso e carica di contraddizioni. La vita è vulnerabile, eppure la sua prima legge è l’autoconservazione. La vita è casuale, e va scelta in ogni momento, per non precipitare nella fine. La vita è, nella sua indefinibilità, plurale, anche se l’italiano la esprime con un singolare femminile. Sulla scorta di queste riflessioni, si traccia qui un percorso nelle contraddizioni della vita, centrato intorno ad alcuni passi biblici e a suggestioni che arrivano dal cinema, dalla poesia e dalla letteratura, da Leopardi a Calvino a Orhan Pamuk.
L'autore
Elena Loewenthal insegna Cultura ebraica presso la facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Studiosa e narratrice, lavora da anni sui testi della tradizione ebraica. Tra le sue numerose pubblicazioni, Lettera agli amici non ebrei (Milano 2003) e Scrivere di sé (Torino 2007).
Quali possono essere i frutti dell'immaginazione filosofica nel mondo globalizzato, meticcio e inquieto? Per scoprirlo questo volume saggia in dodici capitoli molteplici percorsi di ricerca, problematiche ed esperienze. Nel ripercorrere idealmente gli snodi fondamentali della propria ricerca, Salvatore Veca fa emergere dalla varietà delle questioni affrontate, come filo conduttore, il passaggio dalla meditazione sull'incertezza alla base delle domande di teoria all'idea dell'incompletezza delle risposte cui le congetture filosofiche possono giungere. La riflessione spazia così in temi e ambiti di natura variegata, passando dalle ragioni della scarsità di scrittura aforismatica in filosofia al pensiero di uno dei massimi filosofi della seconda metà del Novecento, quale è Bernard Williams, a una rilettura dell'eredità del pensiero marxiano e delle certezze dell'ideologia marxista, sino al gioco dei perché fatto con i bambini che costituisce un'introduzione al piacere dell'indagine. Veca si sofferma poi sul ruolo della cultura, concepita in una prospettiva illuministica e democratica, e indica alcuni potenziali modelli di libertà intellettuale e di rigore scientifico. A tenere assieme le varie tessere del discorso è la concezione che Veca ha della ricerca filosofica, dell'azione politica, della giustizia e del ruolo che l'intellettuale può svolgere nella continua metamorfosi della società contemporanea, travolta da radicali mutamenti nel panorama sociale e politico.
La Scienza nuova, di cui in questo volume si pubblicano le tre edizioni, del 1725, del 1730 e del 1744, è un Classico del pensiero occidentale, essenziale per la comprensione del nostro mondo storico non meno della Repubblica di Platone e dell’Etica di Spinoza, della Metafisica di Aristotele e della Critica della ragion pura di Kant, del De Civitate Dei di Agostino e della Fenomenologia dello spirito di Hegel. Due le idee-guida che si intrecciano, e anche confliggono, in quest’opera geniale e inquietante: 1) l’estensione al mondo umano della mathesis universalis, che ha segnato la nascita della scienza moderna, ma che in Galilei e Cartesio era limitata alla natura; 2) la genealogia della coscienza e della logica a partire dal “senso” e dalla “fantasia”, da cui discende l’interesse prevalente di Vico per il formarsi della prima umanità. Interesse mai disgiunto dalla consapevolezza dei limiti della ragione, che può a stento “intendere”, ma non “immaginare” quell’età ancora incerta tra storia e pre-storia. Da questa consapevolezza “critica” nacque quella fusione di logos e mythos, concetto e immagine, che caratterizza il linguaggio barocco della Scienza nuova (in particolare nelle due ultime edizioni, qui presentate nella loro scrittura originaria), nel quale Vico espose due e diverse concezioni del tempo umano-divino della storia. In particolare il quinto e ultimo Libro di quest’Opera in continuo compimento, se per un verso ripropone l’idea pre-cristiana della ciclicità del corso storico, per l’altro, “sospende” l’intero orizzonte del tempo all’attimo presente: il kairologico “adesso” di Paolo, in cui “il tempo s’è contratto” (I Co, 7.29). Ma proprio questa doppiezza della Scienza Nuova permette di instaurare significative connessioni tra la posizione di Vico e gli esiti più alti della riflessione contemporanea sulla storia, da Heidegger a Benjamin. Certo nel pieno rispetto della specificità dei loro differenti “tempi”, e quindi fuor d’ogni pretesa di stabilire “precorrimenti” e “inveramenti”; ma non meno certamente contro le vane “monumentalizzazioni” di una storiografia volta esclusivamente al passato.
Qual è la relazione che tiene insieme stress e libertà? Siamo sempre più oppressi da frustrazioni, insoddisfazioni e disagi di ogni genere. Viviamo presi nella morsa di una routine insieme noiosa e affannosa, vittime di desideri irrealizzabili, di ansie e paure per il futuro, schiacciati da un consumismo egoistico. Eppure stiamo ancora insieme. È vero stress? È un’invenzione dei media? E soprattutto, da una condizione come questa possono nascere forme di libertà nuove? Ancora una volta il lettore sarà stupito dalle risposte offerte in questo breve e fulminante libro da Peter Sloterdijk, che prosegue qui l’analisi dello spirito del nostro tempo che caratterizza la sua filosofia.
L'autore
Peter Sloterdijk insegna alla Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe e alla Kunstakademie di Vienna. Tra gli ultimi volumi pubblicati nelle nostre edizioni, Devi cambiare la tua vita (2010), Stato di morte apparente (2011), La mano che prende e la mano che dà (2012).

