
"Le lettere di Berlicche" hanno reso il nome di Lewis noto a milioni di lettori in tutto il mondo. Per un'ispirazione improvvisa, all'uscita di una chiesa, una domenica mattina d'estate, si configurò nella mente dell'autore qualcosa che, per dirla con le sue stesse parole, "potrebbe essere sia utile sia divertente... e consisterebbe in una serie di lettere che un vecchio diavolo in pensione invia ad un giovane diavolo che ha appena cominciato a lavorare sul suo primo 'paziente'. L'idea sarebbe quella di mostrare tutta la psicologia della tentazione dall'altro punto di vista". Il testo venne scritto velocemente, comparve a puntate su un periodico nel 1941 e l'anno seguente in forma di libro. Da quella lontana primavera le riedizioni non si contarono e Lewis stesso non riusciva a spiegarsi un tale favore del pubblico, se non per il fatto che le tentazioni descritte avevano un riscontro nella sua personale esperienza.
Clive Staples Lewis ci offre in questo volume un brillante, ma anche agghiacciante saggio sulla capacità dell'uomo di distruggere la propria umanità. Sono riflessioni e immaginazioni, visioni di un futuro prossimo e discussioni sul presente. Leggendolo, sembra a tratti di ritrovarsi in uno dei capolavori di fiction di cui è maestro; alcuni critici hanno addirittura sostenuto che questo saggio ne costituisca l'indispensabile controparte. Si tratta difatti di una realtà di condizionamento dell'umano, di svuotamento della sua intelligenza e della sua creatività sperimentabile da chiunque, in cui però la fantasia dell'autore entra prorompente a descrivere, come in un racconto, tutte le conseguenze attuali, possibili e perfino quelle che a volte si ha cura di definire come impossibili.
L'autore de "Le cronache di Narrnia" ci racconta un'altra storia fantastica, un viaggio allegorico il cui protagonista passa attraverso le varie esperienze della vita alla ricerca di qualcosa che appaghi un suo misterioso e incessante desiderio, che si rivela però insaziabile qualunque cosa gli venga concessa come soddisfazione. Il giovane protagonista trova qualche risposta ai suoi interrogativi nel lungo pellegrinaggio che deve intraprendere, la cui meta prende forma non alla fine del viaggio ma sulla via del ritorno. Draghi, giganti e nani, ombre e creature enigmatiche abitano questa favola moderna che ha il mordente di un'avventura e il respiro filosofico di una parabola sui grandi temi dell'esistenza umana.
"A viso scoperto" è una reinterpretazione del mito di Amore e Psiche. Se la fonte della storia è dichiaratamente l'allegoria antica, il racconto risulta molto differente. Ci troviamo in un clima lontano dalle grandi civiltà classiche, in un luogo rintracciabile forse in Turchia, forse vicino al Mar Rosso, in un'epoca situabile tra la morte di Socrate e la nascita di Cristo. Un monarca brutale e incompetente regna su un rozzo palazzo e ha tre figlie: Orual, la donna guerriero dall'orribile viso, Redival e Psiche. È un mondo in attesa, in transizione, dove un vecchio ordine spirituale sta morendo e uno nuovo sta per prendere il suo posto. È il mondo in cui si apre un intricata vicenda: avvenimenti politici e militari, una carestia, un sacrificio, amori, invidie, pentimenti. Abbondano sogni e visioni, vengono aperti trabocchetti, che trasportano verso archetipi situati nel profondo. In questo libro, che Lewis stesso considera la sua migliore opera narrativa, egli ha creato dei personaggi multidimensionali, misti di bene e di male in proporzioni sempre diverse, come dei reali esseri umani.
Il libro in cui Lewis racconta il suo passaggio dall'ateismo al cristianesimo. È una storia, come dice l'autore, "insopportabilmente personale". Chiunque però cominci a leggerla la lascerà a malincuore come accade ad ogni vera storia, come accade quando uno scrittore sa "creare" un mondo, sia che lo inventi, sia che lo testimoni. E i lettori di Lewis sanno che egli è magistrale in ambedue i casi. Si legge la storia di questa conversione senza accorgersi di percorrere una lunga strada: dai passatempi dell'infanzia alle emozioni dell'adolescenza, all'inizio della maturità. È come assistere all'indagine di un detective che voglia andare a fondo di un "caso" che lo appassiona.
I quattro amori che l'autore distingue nell'animo umano sono l'affetto, l'amicizia, l'eros, la carità. Ognuno di essi, preso singolarmente, è stato trattato piuttosto spesso: da san Bernardo a san Paolo, da Ovidio a Stendhal. Più difficile, invece, è trovare chi li abbia considerati insieme. Lewis l'ha fatto. Egli vede ciascuno dei "quattro amori" emergere nell'altro, ci mostra come uno possa anche trasformarsi nell'altro, ma non perde mai di vista la reale e necessaria differenziazione tra loro. L'autore delle "Cronache di Narnia" sa essere lucido e vigoroso nell'incidere queste fondamentali linee dell'animo umano e il risultato è un ritratto parlante dell'unico e profondo desiderio di felicità, in cui ciascuno sarà indotto a ritrovare familiari somiglianze.
"Le lettere di Berlicche" hanno reso il nome di Lewis noto a milioni di lettori in tutto il mondo. Per un'ispirazione improvvisa, all'uscita di una chiesa, una domenica mattina d'estate, si configurò nella mente dell'autore qualcosa che, per dirla con le sue stesse parole, "potrebbe essere sia utile sia divertente... e consisterebbe in una serie di lettere che un vecchio diavolo in pensione invia ad un giovane diavolo che ha appena cominciato a lavorare sul suo primo 'paziente'. L'idea sarebbe quella di mostrare tutta la psicologia della tentazione dall'altro punto di vista". Il testo venne scritto velocemente, comparve a puntate su un periodico nel 1941 e l'anno seguente in forma di libro. Da quella lontana primavera le riedizioni non si contarono e Lewis stesso non riusciva a spiegarsi un tale favore del pubblico, se non per il fatto che le tentazioni descritte avevano un riscontro nella sua personale esperienza. In questo volume, le "Lettere" sono unite a ciò che Lewis ha voluto considerare una sorta di seguito: "Il brindisi di Berlicche".
Narratore di genio e pensatore originale, C. S. Lewis è uno scrittore dichiaratamente cristiano, ma di una religiosità senza moralismi e facili consolazioni, alimentata e messa alla prova nel quotidiano confronto con la vita. I nove testi contenuti in questa raccolta sono un perfetto esempio di come la sua riflessione dialogasse con i mutamenti sociali della nostra epoca, e di quanto rigorosa e attuale sia la sua denuncia delle illusioni ideologiche del mondo moderno, a cominciare dagli pseudo-miti dello scientismo e del progresso materiale. Originariamente pubblicati su diversi periodici britannici tra il 1942 e il 1963, e qui per la prima volta tradotti in italiano, i saggi tracciano un percorso che va dalle relazioni con l'altro (Tre categorie umane, Il problema con "X"..., Non abbiamo "diritto alla felicità") alle diverse manifestazioni della fede (Il Grandioso Miracolo, Lavoro e preghiera, Miracoli), fino ad affrontare apertamente le nuove, inquietanti, possibilità di confronto con l'assoluto in una prospettiva apocalittica (Vivere al tempo dell'atomica, Religione e viaggi interspaziali e L'ultima notte del mondo). La fluida prosa di Lewis - limpida nella convinzione che per parlare di ciò che è più importante occorrano parole semplici - riconduce così ogni aspetto del reale a un orizzonte metafisico, riscoprendo una naturale necessità nel pensare e nell'agire religioso.
Dopo il successo delle "Lettere di Berlicche", C.S. Lewis aveva ricevuto pressanti richieste per realizzare un'opera che, invece di calarsi nella realtà demoniaca, si immedesimasse in una visione angelica e paradisiaca. Egli tuttavia rifiutò il compito, sentendosi inadeguato, ma è pur vero che "Il grande divorzio", benché attraverso un sogno, tratta dell'inferno e del paradiso. Da un lato approfondisce l'affresco che l'apprendista tentatore Berlicche, in seguito fattosi più "professionale", traccia della sua logica e del suo mondo, dall'altro evoca in immagini folgoranti e in colloqui drammatici una sorta di avvicinamento alla logica del cielo. Avvicinamento che i personaggi del romanzo tendono in maggioranza a interpretare come rifiuto di un'alterità intravista.
I Salmi sono la più celebre raccolta di preghiere dell'Antico Testamento e sono anche bellissime poesie nate per essere recitate e cantate. Non è dunque forse un caso che proprio su di essi si sia concentrata l'attenzione di un grande scrittore come C. S. Lewis - autore di fantasy e fantascienza, medievista e apologeta cristiano - che mette al servizio del lettore la sua sensibilità e la sua cultura per indagarli in profondità, per cercare di coglierne il contesto originario e il senso autentico. Non si tratta, però, di uno studio accademico. Come osserva Jonah Lynch nella sua prefazione, "Lewis usa un tono confidenziale e cortese, umile e simpatico. Non si presenta come un esperto: ed è questo, probabilmente, il punto di forza maggiore. Ci sono già molte opere colte di commento ai Salmi, dalle angolature più svariate. Ma come Lewis stesso scrive in apertura, non di rado capita che uno studente sia più abile del professore nello spiegare un problema a un altro principiante". Parlando così, "da dilettante a dilettante", Lewis costruisce una narrazione che affronta con chiarezza ed efficacia i grandi temi della fede, della giustizia, del giudizio, della morte, del bene e del male, restituendo alle parole di queste liriche tanto lontane nel tempo la vivezza e la freschezza originarie.

