
A parlare del diritto, nei lavori raccolti nel volume, non sono unicamente giuristi di professione: sono soprattutto uomini di lettere, intese nel senso più ampio, sì da ricomprendere nella schiera il Luca presumibile autore degli Atti degli apostoli, artisti tra i quali Rubens, David, Klimt, Kandinsky e pensatori come Benjamin, Dávila, Sloterdijk, Sasso, Agamben, per citarne alcuni. A loro agio nel campo del giuridico, i protagonisti principali di queste pagine trattano del diritto - ora attraverso la scrittura ora mediante la figurazione - in modo tale da persuaderci di ciò che esso è o meglio, più realisticamente, dovrebbe essere oggi, trascorsi quasi duemila anni da quando Celso poteva qualificarlo come ars boni et aequi in mano ai giuristi: una tecnica di regolazione dei rapporti intersoggettivi dotata di una straordinaria profondità storica e scientifica, in grado di orientarne l’impiego, precludendo arbitrii ed eccessi, da parte di chi, a vario titolo - in primis perché legislatore, giudicante o studioso -, vi appaia legittimato all’interno dell’ordinamento di riferimento. Non quindi, come purtroppo si tende sempre più a credere almeno a livello italiano, uno strumento di comando sociale tutto in capo a un legislatore volubile e perciò dagli esiti inevitabilmente contingenti.
Quella di Gesù è la crocifissione di un giusto, come avrebbe per primo riconosciuto il centurione sotto il patibolo. Chi ne sia il responsabile, il sinedrio o Pilato o entrambi, è da sempre dibattuto.
Se al primo può ascriversi l’accanimento con cui i suoi membri sostengono la colpevolezza di Gesù per violazione delle norme a protezione della maiestas del popolo romano e del principe, al governatore della Giudea va imputata l’inosservanza di regole basilari del diritto alle quali si sarebbe dovuto attenere.
L’autore lo spiega nel corso di un’indagine seria, appassionante e originale, che ricostruisce una pagina fondamentale della storia soffermandosi su alcuni degli aspetti meno esplorati delle ultime ore della vita di Gesù.

