
La presente edizione di tutto il teatro di Shakespeare include nei suoi otto volumi, oltre ai trentasei drammi raccolti nel 1623 dagli attori Heminge e Condell, anche quelle opere in cui la critica più recente è concorde nel riconoscere la mano dell'autore. Oltre al "Pericle", del quale non era mai stata posta seriamente in dubbio l'autenticità, e ai "Due nobili congiunti", scritto in collaborazione con John Fletcher, anche i drammi storici anonimi "Edoardo III", del quale SHakespeare scrisse almeno un atto e mezzo, e "Sir Tommaso Moro", rimasto in manoscritto fino a un secolo e mezzo fa. I testi sono presentati al lettore secondo sequenza cronologica.
Tutti, almeno una volta nella vita, davanti a un'opera d'arte contemporanea abbiamo pensato: "Questo lo potevo fare anch'io!". Eppure i critici ci assicurano che si tratta di capolavori, mentre i collezionisti spendono cifre da capogiro per quadri che sembrano tele imbrattate e sculture che appaiono come ammassi di rottami. Come è possibile che una tela strappata possa chiamarsi "arte"? Gli artisti contemporanei sempre più spesso occupano le pagine dei giornali, mentre il loro lavoro è circondato da un'aura di mistero che ne fa un prodigio alla cui comprensione sembrano ammessi solo pochi eletti. Eppure tutte le grandi capitali del mondo occidentale hanno ospitato esposizioni sempre più grandi e costose, producendo un giro di affari di tutto rispetto. Francesco Bonami sfida il lettore ad "assaggiare" le opere senza pregiudizi, aiuta a capire cosa distingue un grande da un pessimo artista, cosa ha fatto sì che Marcel Duchamp o Andy Warhol abbiano superato la prova del tempo e perché invece tanta parte del lavoro di un pittore come Renato Guttuso o di uno scultore come Arnaldo Pomodoro siano sopravvalutati. Spiega perchè Anish Kapoor piace a tutti al primo sguardo e ci svela cosa si nasconde dietro il clamore e lo scandalo delle opere di Maurizio Cattelan. E se è vero che nell'ultimo secolo l'arte si è evoluta al punto da essere quasi irriconoscibile, Bonami ci fa capire una volta per tutte perché non è vero che potevamo farlo anche noi.
Flavio Caroli si è interrogato sui vari modi di rappresentare Gesù, curiosità nata da ragazzo confrontando il Cristo con la barba del Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini con quello imberbe dei mosaici ravennati di Sant'Apollinare Nuovo e del mausoleo di Galla Placidia. Sollecitato da tale contrasto, l'autore ripercorre la tradizione iconografica millenaria che vede il Figlio di Dio raffigurato ora simile a un giovane Apollo ora nei panni di un uomo maturo, con barba e capelli lunghi. Passando dai primi affreschi paleocristiani a Cimabue, da Piero della Francesca a Michelangelo, da Gauguin a Warhol, da Pasolini a Olmi, "Il volto di Gesù" ripercorre in modo appassionante quasi venti secoli di storia dell'arte raccontando come pittori, scultori e registi hanno risposto al mistero delle sembianze di Cristo. Una sfida all'immaginazione, poiché "anche le immagini che produrrà su di lui la fantasia del futuro non saranno né oggettive né innocenti. Saranno le immagini del Gesù di cui avrà bisogno il mondo di domani".
L'arte figurativa coincide da sempre con lo spirito di una civiltà. È una finestra aperta sul visibile e sull'invisibile, accompagna da millenni le conquiste filosofico-scientifiche e spesso le anticipa. In Occidente la sua evoluzione si snoda lungo due grandi percorsi. Il primo è interiore, e nella sua ricerca introspettiva esplora il corpo, il volto e in definitiva l'anima dell'uomo. Il secondo è un viaggio in tutto ciò che è "esterno alla pupilla umana", e dunque soprattutto nella natura, principale referente di ogni creatura. La rappresentazione della natura diviene così lo specchio attraverso cui l'essere umano riflette le sue passioni, la sua visione del mondo e il senso stesso della sua esistenza. Al punto che in epoca romantica gli artisti conieranno l'espressione "paesaggio - stato d'animo" che riassume con inequivocabile chiarezza l'essenza di un itinerario dalle infinite diramazioni, che comincia a delinearsi già secoli prima e conoscerà in seguito svolte decisive e traumatiche. Flavio Caroli ci guida in questo ultimo percorso per mostrarci l'"altra faccia della luna", quella complementare alla raffigurazione umana nell'arte. Tratteggia quindi il volto della natura, ma insieme anche l'anima, giacché la meta è sempre il cuore dell'uomo occidentale che oscilla costantemente tra i poli di Ragione e Tragedia, pilastri fondanti della nostra civiltà. Il suo racconto muove dalla percezione razionale e pagana del visibile nella pittura romana; attraversa le grandiose allegorie di affreschi e codici miniati medioevali, in cui la natura è vista come una meravigliosa emanazione del divino; dà conto delle rivoluzioni della modernità, dalla scoperta della pittura a olio, capace di far risplendere la luce in ogni corpuscolo della composizione, e della prospettiva, fino alla "camera ottica" dei vedutisti veneziani; indugia sui grandi precursori di una visione moderna e drammatica del paesaggio come Leonardo, Giorgione, Lotto, Rubens, Rembrandt e Goya, nei quali irrompe già la luce "attimale" che sarà propria degli impressionisti. Da Monet in poi l'artista non vedrà più con gli stessi occhi: il punto di vista si farà molteplice, frammentato e l'anima dilaniata e perduta dell'uomo contemporaneo diventerà paesaggio incendiato dal colore puro di Van Gogh o dal gesto fulminante di Pollock. E, infine, l'autore non manca di evocare i capolavori di maestri del cinema come Michelangelo Antonioni, Stanley Kubrick, Ridley Scott che ci conducono verso la visione naturale del futuro. Futuro in cui, ancora una volta, la natura sarà lo scenario d'elezione dell'eterna lotta fra "la volontà inesausta degli esseri umani di padroneggiare il visibile e il dramma che è parte inevitabile del loro destino".
Un classico della letteratura musicale, risalente al 1934, ma ancora di grande valore per il lettore che ami e conosca la musica classica, o che desideri affacciarsi a questo mondo vasto e complesso quanto ricco e affascinante. Un’ampia panoramica sulla storia della musica, sui suoi movimenti e protagonisti, sui suoi capolavori, cha aiuta a comprendere un aspetto, quello musicale, di grande importanza nella costruzione di una civiltà.
Dopo il successo di Tutti i volti dell’arte, Il volto di Gesù e Il volto e l’anima della natura, Flavio Caroli affronta il tema della rappresentazione dell’amore nell’arte occidentale. Dalla pittura dell’antica Roma al Rinascimento, dal Romanticismo all’Impressionismo, dal Cubismo all’Astrattismo l’amore non è stato solo uno dei temi che hanno ispirato i più grandi artisti, ma la sua iconografi a ha scandito duemila anni di storia dell’arte e della cultura, anticipando movimenti e lineamenti della nostra civiltà. Se la rappresentazione del “volto della natura” è un percorso in ciò che è esterno alla “pupilla umana”, la storia dell’immagine dell’amore è un viaggio interiore, attraverso il corpo e l’anima: l’amore è lo specchio attraverso cui l’uomo riflette le proprie passioni, il sentimento verso gli altri e il senso stesso della propria vita. Un libro riccamente illustrato, che si legge come un racconto, pieno di curiosità, aneddoti e dettagli illuminanti.
Enzo Mari è probabilmente il designer italiano più geniale e innovativo del Novecento: cresciuto nella Milano prebellica, ha vissuto a lungo in condizioni di povertà prima di iniziare nel primo dopoguerra il suo percorso artistico all’Accademia di Brera. Negli anni del boom economico ha rivoluzionato il concetto di design, realizzando quella che lui stesso chiama un’utopia democratica: disegnare e produrre oggetti belli e utili per le persone comuni, fi no ad allora escluse da un’arte considerata di lusso. Divenuto celebre, negli anni seguenti ha realizzato progetti in tutto il mondo, collaborando con i più grandi artisti e architetti, e si è dedicato all’insegnamento, portando sempre avanti coerentemente la filosofia originaria senza cedere alle tentazioni del marketing, colpevole a suo avviso di aver trasformato il designer da filosofo creativo a semplice interprete del mercato. Questa sorta di autobiografia del guru del design italiano non è solo un tagliente manifesto artistico e architettonico, ma anche una riflessione intellettuale sulla vita e sul degrado della civiltà contemporanea.
La storia della musica è costellata di misteri risolti e irrisolti, veri e propri thriller che con rare eccezioni, come la morte di Mozart, sono rimasti un territorio parzialmente inesplorato di musicisti, musicologi e appassionati: eppure si tratta di trame che spesso non hanno niente da invidiare a quelle dei grandi gialli della letteratura, vicende che mischiano risvolti biografi ci storicamente noti a incursioni nella leggenda e nel fantastico. A tutt’oggi non è facile separare il ritratto di Paganini dalle ombre demoniache che lo circondarono, o comprendere perché la musica di Wagner sia considerata inscindibile dal profilo di Hitler, o più semplicemente capire perché Rossini si ritirò dalle scene a soli trentasette anni. Filippo Facci, appassionato ed esperto di musica classica, porta alla luce gli scheletri negli armadi dei più celebri musicisti, ricostruendo in questo modo anche la loro biografi a: un libro organizzato in brevi capitoli, ognuno dei quali dedicato a un grande musicista e ai fatti misteriosi che hanno caratterizzato la sua vita.
Questa è la storia di una ragazza che aveva un sogno, lo ha realizzato, però poi non è felice come credeva. Ma andiamo con ordine. Marisa viene dal Sud. Il Sud vero però, non quello di tarantelle e "deliziosi spaghetti ai ricci di mare" che si immaginano i milanesi. Il suo è un Sud di superstizioni, chiusure, ricatti morali e sensi di colpa coltivati con cura fin da bambini. E certi pesi, per quanto lontano tu possa volare, te li senti sempre appiccicati addosso. La passione per la musica porta Marisa a Roma, dove vive assieme al fidanzato Tano una vita che più che alla Bohème somiglia a un musicarello di Gianni Morandi. Come in un film poi arriva il successo, i soldi, i fan. Ma anche le incomprensioni, le delusioni, la solitudine. L'amara consapevolezza che non basta realizzare un sogno per essere felici. Per fortuna che Marisa ha una marcia in più, un modo tutto originale di guardare il mondo. Cantante e personaggio televisivo, con questo suo romanzo di esordio Arisa dimostra la freschezza e l'ironia che l'hanno resa celebre. La storia di Marisa, chiaramente fitta di spunti autobiografici, diventa così anche una parabola sulla difficoltà di trovare una propria strada, una propria dimensione, un posto, grande o piccolo, in cui essere finalmente felici.
Una volta, c'era la banana: non il frutto amato dai bambini, bensì l'acconciatura arrotolata che proprio i bimbi subivano e detestavano ma che veniva considerata imprescindibile dai loro genitori. I quali, per bere un buon espresso, dovevano entrare al bar e chiedere un "caffè caffè", altrimenti si sarebbero trovati a sorbire un caffè d'orzo. Una volta, per scrivere, non c'erano sms o e-mail, ma si doveva dichiarare guerra ai pennini e uscire da scuola imbrattati d'inchiostro da capo a piedi. Una volta, si poteva andare dal tabacchino, comprare una sigaretta - una sola - e fumarsela dove meglio pareva: non c'erano divieti, e i non fumatori erano una gran brutta razza. Una volta, i bambini non cambiavano guardaroba a ogni stagione, andavano in giro con le braghe corte anche d'inverno e - per assurdo contrappasso - col costume di lana d'estate. Una volta, la Playstation non c'era, si giocava tutto il giorno per strada e forse ci si divertiva anche di più. Una volta, al cinema pioveva... Con un poco di nostalgia, ma soprattutto con la poesia e l'ironia della sua prosa, Francesco Guccini posa il suo sguardo sornione su oggetti, situazioni, emozioni di un passato che è di ciascuno di noi, ma che rischia di andare perduto, sepolto nella soffitta del tempo insieme al telefono di bachelite e alla pompetta del Flit. Un viaggio nella vita di ieri che si legge come un romanzo: per scoprire che l'archeologia "vicina" di noi stessi ci commuove, ci diverte, parla di come siamo diventati
"Il cinema, allora, era una grande famiglia, è vero. C'era un rapporto di comprensione, anche di affetto. Poi ci sentivamo tutti parte di una grande avventura, far rivivere sullo schermo la vita. Il nostro è un mestiere particolare.
Se lo fai con passione non te ne puoi liberare.
Ti rimane dentro, non c'è niente da fare."
Proprio di "grande avventura" è il caso di parlare a proposito di Francesco Rosi, classe 1922, maestro indiscusso del cinema italiano che ha deciso di raccontare la propria vita e i segreti del suo mestiere a un altro straordinario regista, il suo amico Giuseppe Tornatore.
È in famiglia, nella Napoli degli anni Trenta, "legata a doppio filo con il suo mare", che tutto comincia: papà Sebastiano, appassionato di cinematografo, lo riprende con la sua Pathé Baby a passo ridotto e gli scatta magnifici fotoritratti, ispirandosi anche a Jackie Coogan, il celebre protagonista del Monello di Charlie Chaplin. Poi ci sono zio Pasqualino, "capoclaque " nei teatri di rivista, e zia Margherita, che oltre a somigliare a Ginger Rogers, lo accompagna ogni giovedì al cinema, dove il piccolo Francesco scopre la magia dei primi film muti.
Nell'immediato dopoguerra Rosi si trasferisce a Roma dove, insieme a una spiccata passione per il teatro e per la letteratura, porta con sé lo stupore per quelle sagome di ombre e luci che si agitano su uno schermo bianco. E capisce che il cinema diventerà il suo mestiere. Allievo e aiuto regista di Luchino Visconti, esordisce dietro la macchina da presa nel 1958 con La sfida, ma è con capolavori come Salvatore Giuliano, Le mani sulla città, Il caso Mattei e Lucky Luciano che conquista un posto di assoluto rilievo nel panorama del cinema internazionale, fino a essere riconosciuto il caposcuola di un'estetica della realtà che mai, prima di lui, aveva raggiunto vette di così vivida e concreta espressività.
Puntiglioso nell'approfondire il contesto storicodocumentario che doveva fare da ossatura narrativa ai propri film, attento alle evoluzioni del costume e alle oscure ambiguità della politica, Rosi ha lavorato accanto ai migliori talenti espressi dalla cultura italiana dell'ultimo mezzo secolo, qui tratteggiati in pagine felici e importanti: intellettuali, critici, giornalisti come Ennio Flaiano, Sergio Amidei, Raffaele La Capria, registi come Rossellini e Fellini, attori del calibro di Gian Maria Volonté e Sophia Loren.
In questo libro-intervista che è insieme autobiografia e saggio critico, Rosi ci svela una miniera di informazioni e aneddoti che riguardano i suoi film e la sua straordinaria carriera di regista, senza lasciare "fuori campo" gli aspetti più intimi e privati di una vita intensa e coraggiosa, trascorsa accanto all'amatissima moglie Giancarla.
Grazie al confronto con Tornatore, alle sue domande sempre curiose e penetranti, Io lo chiamo cinematografo è anche l'appassionato ed entusiasmante racconto di mezzo secolo di cinema italiano.
Più di cinquanta milioni di dischi venduti. Ha creato canzoni cantate dal mondo intero, interpretandole con Miles Davis, Eric Clapton, Sting, Jeff Beck, Ray Charles, Luciano Pavarotti, Solomon Burke, B.B. King, Bono, i Queen, Macy Gray, Dolores O'Riordan. Figlio di un "voltaformaggio" e di una casalinga, il piccolo Adelmo Fornaciari cresce a Roncocesi, tra i campi, vicino a Reggio Emilia. Un mondo piccolo tra la cooperativa comunista e la parrocchia di don Tajadela, prete bello grosso, popolato di personaggi memorabili come la nonna Diamante, il nonno Cannella, lo zio Guerra, maoista che mangiava solo riso, la Vittorina, che si piega per gonfiare la ruota della bicicletta e gli mostra le mutande rivelandogli cosa c'è sotto e spalancandogli la porta dell'erotismo e delle fantasie sessuali. Siamo a metà degli anni Cinquanta, in quel gran pezzo dell'Emilia, terra di comunisti e di motori, di cucina grassa e di cantanti. Delmo aggiusta in officina il suo mosquito che non parte mai, dorme in una camera dove stanno appese sopra il suo letto meravigliose coppe, salami, ciccioli, prosciutti. Si sveglia alla mattina unto e profumato di grasso. E va in chiesa a suonare l'organo. In cambio serve messa. Un mondo antico fatto di fatiche, ma anche di un inesausto desiderio di felicità. Siamo alla vigilia del boom economico e Delmo vola sui seggiolini del calcinculo del luna park alla fiera di San Biagio. C'è il giradischi. Ascolta il beat emiliano dei Nomadi e dell'Equipe 84, ma anche "Let It Be" dei Beatles.