
Sulla Sicilia, sin da tempi antichissimi, si sono riversate ondate di civiltà. Ma i Greci vi hanno lasciato un carattere indelebile, che fa parte della natura profonda di questa terra. Gli dèi non se ne sono mai andati dall'isola. Nelle campagne assolate nel cuore dell'estate, per le strade aggrappate ai pennacchi di roccia delle montagne siciliane si può ancora sentire Eracle chiamare le sue mandrie e Ulisse ridere del Ciclope. Nel tramonto di Agrigento, di Selinunte, di Segesta abitano ancora le processioni in onore degli dèi. Quando il giorno chiama la notte, nei teatri di Siracusa e di Taormina, il racconto del mito, nella rappresentazione delle tragedie, ritrova la voce potente che dovette avere nel V secolo a.C., in Grecia e nell'Occidente greco. Terra rifugio di dèi e di eroi, di ninfe e di filosofi, di mostri e di re, la Sicilia è l'incarnazione di quello straniamento magico e felice che tanto piaceva ai Greci. È la stranizza di un mezzogiorno d'estate, con i cortili risuonanti di voci e qualche buona storia da ascoltare e da raccontare.
Un filosofo e storico dell'arte s'interroga sul mistero e la singolarità delle pratiche e delle forme degli ex voto, immutate dall'antichità pagana a oggi e comuni alle società più diverse. La loro volgarità di forme anatomiche (mani, piedi, occhi, cuori, seni, genitali), il loro carattere ripetitivo e banale provocano infatti un certo malessere in chi ne ripercorre con lo sguardo le migliaia di esemplari.
Nel processo di globalizzazione in atto, che cosa accadrà della tradizione più specifica dell’Europa, quella delle sue città, con la pretesa di eternità della loro bellezza, che tutti conosciamo perché le abbiamo visitate?
Per delineare una risposta, l’autore, che è un esperto proprio delle città europee, invita il lettore a una originale riflessione, per capire se mai l’Europa delle città sia alla vigilia di una irreversibile mutazione o se invece la sua identità entrerà trionfalmente nel mondo globale senza venire rinnegata.
L'autore
Marco Romano ha insegnato Estetica della città nelle Università di Venezia, Palermo, Genova e Milano. Tra le sue molte opere, La città come opera d’arte (Einaudi 2008).
Il viaggiatore che nella seconda metà del Quattrocento scopre il fascino del "Bel Paese" è mosso da un sentimento laico ben diverso dallo spirito che spingeva i pellegrini del Medioevo. L'Italia appare la culla di una nuova civiltà. Alla base di questa rivoluzione c'è tanto la rinascita delle 'humanae litterae' quanto l'invenzione della prospettiva. Personaggi come Albrecht Dürer e Erasmo da Rotterdam sono così i precursori di una conquista dell'Italia e dei suoi tesori, proprio come Palladio, Machiavelli, Giorgione e Tiziano con i loro trattati o con le loro tele sono gli agenti promotori della cultura italiana in tutta Europa. L'apice della fortuna dell'Italia si avrà però in pieno Settecento, con lo straordinario successo del Grand Tour, che come un fiume in piena porta nella penisola aristocratici, letterati, artisti e filosofi che la considerano una meta ineludibile per la formazione della coscienza europea.
Il volume propone, nella prima parte, una teoria della descrizione delle opere d’arte, studiandone le forme e i generi e attingendo a una tradizione che va dall’antica Grecia ai nostri giorni. Nella seconda parte, si studiano alcune immagini (dipinti, sculture, pitture vascolari, architetture) che sono il sedimento della cultura visuale di una determinata epoca storica, al fine di ricostruire le caratteristiche comuni dell’immaginario letterario e artistico tra Settecento e Novecento. Così, per esempio, lo studio sulla Madonna Sistina segnala l’intersecarsi tra la descrizione di opere d’arte e il pensiero filosofico del Novecento.
Michele Cometa insegna Letterature comparate e Cultura visuale all’Università di Palermo. Tra i suoi testi pubblicati in italiano Il romanzo dell’architettura (Laterza, 1999) e L’età di Goethe (Carocci, 2006).
Il premio Nobel Eric Kandel usa le sue straordinarie doti di divulgatore per portarci nella Vienna del Novecento, dove le figure più eminenti della scienza e dell’arte diedero l’avvio a una rivoluzione che avrebbe cambiato per sempre il modo di considerare la mente umana. Nei salotti viennesi dell’epoca si discutevano idee che avrebbero segnato una svolta nella psicologia, nella neurobiologia, nella letteratura e nell’arte. Tali idee portarono a progressi che esercitano ancora oggi la loro influenza. Sigmund Freud sconvolse il mondo mostrando come l’aggressività e i desideri erotici inconsci si esprimano simbolicamente nei sogni e nel comportamento. Arthur Schnitzler rivelò la sessualità inconscia delle donne con l’innovativo ricorso al monologo interiore. Gustav Klimt, Oskar Kokoschka e Egon Schiele diedero vita a opere di grande evocatività che esprimevano il piacere, il desiderio, l’angoscia e la paura. Scritto in modo magistrale e stupendamente illustrato, L’età dell’inconscio aiuta a capire i meccanismi cerebrali che rendono possibile la creatività nell’arte e nella scienza, aprendo una nuova dimensione nella storia intellettuale.
Eric R. Kandel insegna alla Columbia University di New York e dirige il Center for Neurobiology and Behavior presso la stessa Università. Svolge inoltre attività di ricerca presso l’Howard Hughes Medical Institute. Nel 2000 è stato insignito del premio Nobel per la medicina grazie alle sue ricerche sui meccanismi biochimici che portano alla formazione della memoria nelle cellule nervose. Nelle nostre edizioni ha pubblicato Psichiatria, psicoanalisi e nuova biologia della mente (2007).
Le analogie tra follia e modernità sono sorprendenti: sfida all’autorità e alle convenzioni, nichilismo e ironia dissacrante, rivolta a ogni cosa, un relativismo estremo, che può culminare nella paralisi, una disumanizzazione dilagante e la scomparsa della realtà esterna a favore di un Io onnipotente o, in alternativa, la dissoluzione di ogni senso dell’identità.
Secondo l’autore, i tratti fondamentali della follia schizofrenica sono esasperazioni di tendenze promosse dalla nostra cultura e tale affinità è messa in evidenza da un confronto con le opere di artisti e scrittori, tra i quali Giorgio de Chirico, Marcel Duchamp, Franz Kafka, Samuel Beckett, e prendendo in esame il pensiero di filosofi come Friedrich Nietzsche, Martin Heidegger, Michel Foucault e Jacques Derrida. In quest’opera densa e sorprendente, che ha segnato un vero punto di svolta, Sass si rifiuta di ammantare lo schizofrenico di un’aura romantica, come un eroico ribelle, un mistico o un selvaggio veemente, sostenendo invece che in questa condizione riecheggiano molti dei più alienanti aspetti della vita moderna.
L'autore
Louis A. Sass insegna Psicologia clinica presso la Graduate School of Applied and Professional Psychology della Rutgers University, New Jersey. L’attività di ricerca e il lavoro clinico vertono sulla psicopatologia grave, soprattutto sulla condizione schizofrenica, schizoide e borderline. I suoi interessi interdisciplinari includono l’intersecarsi della psicologia clinica con la filosofia, l’arte, gli studi letterari e culturali.
- See more at: http://www.raffaellocortina.it/follia-e-modernit%C3%A0#sthash.7hsCdsfa.dpuf
Si offre per la prima volta al lettore italiano un ampio studio dedicato esclusivamente alla riflessione filosofica sulla fotografia, considerata come prospettiva privilegiata dalla quale comprendere la contemporaneità sul piano scientifico, sociale, politico. Come emerge con chiarezza lungo il percorso di lettura proposto, la fotografia è il medium attraverso il quale si è formato lo sguardo dell'uomo contemporaneo. Il volume si articola in quattro nuclei tematici: percezione, cultura visuale, arte e mediazione. L'obiettivo è raccogliere le riflessioni più importanti sull'immagine fotografica soprattutto in relazione alle dinamiche socioculturali che hanno determinato la sua affermazione. La scelta dei brani, oltre a importanti classici di filosofia della fotografia, comprende alcuni scritti poco conosciuti nel panorama italiano di cultura visuale, nonché saggi fondamentali tradotti per la prima volta nella nostra lingua.
I totalitarismi del Novecento sono stati quasi integralmente liquidati. Sopravvivono fragili fasce di resistenza sui fronti politici, atteggiamenti emotivi non facili da qualificare che si sviluppano tra mitologia e folclore. Restano, soprattutto, tracce architettoniche vistose e magniloquenti, portatrici non solo di storia ma anche di cultura, spettacolo, mentalità. In questa chiave, i saggi qui presentati affrontano il problema della monumentalità totalitaria e delle sue svariate applicazioni in regimi diversi. I Paesi coinvolti non coprono, per ovvi motivi, tutte le possibilità che la situazione universale offre a chi si voglia occupare di rovine o macerie architettoniche, estetiche della politica, ideologie manifeste o criptate. I contributi raccolti nel volume riguardano Italia, Germanie (DDR e Terzo Reich), Cecoslovacchia, Jugoslavia, Unione Sovietica, Albania, Corea del Nord, Cuba. Letture, interpretazioni, indagini illustrate da immagini che coinvolgono architettura, cinema, antropologia, filosofia, storia culturale, cultura visuale, scienze umane.
Gli edifici sono spesso considerati oggetti stravaganti piuttosto che elementi palpabili cui i nostri corpi e i nostri sistemi neurologici sono inestricabilmente connessi. Ma come Mallgrave ci spiega in questo volume, l'architettura non è un'astrazione concettuale bensì una pratica incarnata, e lo spazio architettonico si costituisce primariamente attraverso un'esperienza emotiva e multisensoriale. Se le più avanzate scoperte scientifiche promettono benefici in ambito biologico o psicologico, queste stesse scoperte hanno anche la potenzialità di migliorare i nostri ambienti costruiti. Discutendo le implicazioni delle neuroscienze per la progettazione architettonica, l'autore ci invita a indirizzare la nostra attenzione a coloro per i quali progettiamo: le persone che abitano gli edifici che costruiamo. Prefazione di Vittorio Gallese.
Uno fra i più autorevoli storici dell'arte dei nostri giorni si interroga sul perché l'idea stessa di immagine, il suo fascino e la sua potenza siano temi sempre attuali. Questo dipende in primo luogo dall'inedita predominanza del visuale in tutti gli ambiti del nostro quotidiano. Ma dietro si annida un problema più profondo e paradossale: le immagini, in quanto artefatti, non possiedono vita propria, eppure sviluppano una presenza che le differenzia e le eleva rispetto alla materia inanimata. Da qui l'aspettativa che la riflessione possa spingersi oltre il livello del puro sguardo, della mera contemplazione. Nell'apparente conflitto tra fissità e vitalità sta il vero potere attivo delle immagini. Partendo da questo presupposto, Horst Bredekamp sviluppa una teoria dell'atto iconico complementare a quella dell'atto linguistico e distingue tre aree in cui le immagini operano attivamente: la vita artificiale, lo scambio di immagine e corpo e l'energia autonoma della forma. Il volume rappresenta la stimma di decennali ricerche sulla fenomenologia delle immagini e sulla loro forza intrinseca.
Perché i film ci appaiono così reali mentre sono tanto scopertamente artificiali? Perché, pur restando fermi nelle nostre poltrone, abbiamo la sensazione di muoverci e orientarci nello spazio virtuale dello schermo? Un neuroscienziato e un teorico del cinema analizzano alcuni grandi capolavori (Notorious, Persona, Shining, Il silenzio degli innocenti) a partire dal tipo di coinvolgimento che questi film esercitano sul corpo degli spettatori e dalle forme di simulazione prodotte dai movimenti della macchina da presa e dal montaggio. Le analisi sono sostenute da esperimenti neuroscientifici e sono ispirate dalla scoperta dei neuroni specchio e dalla teoria della "simulazione incarnata". L'obiettivo è comprendere i molteplici meccanismi di risonanza che costituiscono uno dei grandi segreti dell'arte cinematografica e riflettere sul potere delle immagini in movimento, che in forme sempre più nuove e pervasive fanno parte della nostra vita di tutti i giorni.