"La politica è schifosa e fa male alla pelle" cantava Giorgio Gaber nel 1980. Quasi quarant'anni ci separano dall'invettiva di lo se fossi Dio, e nel frattempo cos'è cambiato? Poco, per certi versi, ma moltissimo per altri. Se è vero, come ci ricorda Andrea Scanzi, che "assistiamo da decenni a un inesorabile svilimento della cosa pubblica", il confronto tra ieri e oggi appare al contempo impietoso e illuminante, sospeso tra bruschi cambi di rotta e inquietanti continuità. Per misurare appieno distanze e affinità bastano i profili esemplari di undici politici del presente e del passato: Berlusconi, D'Alema, Renzi, Salvini, Rodotà, Bersani, Parri, Pertini, Andreotti, Berlinguer e Caponnetto. Vicende pubbliche e private in cui si affacciano altri nomi della nostra storia comune. Con la sua scrittura assieme lucida e allusiva, divertente e spietata, equilibrata e partigiana, l'autore ci guida in un percorso che unisce politica, cinema e letteratura, in cui la canzone d'autore diventa una vera e propria colonna sonora. E - all'interno di un dibattito in cui il ruolo più comodo e redditizio è quello del megafono - prende coraggiosamente posizione.
Ripercorrendo la storia della costruzione comunitaria europea e gli ideali che l'hanno ispirata, Nadia Urbinati affronta lo snodo decisivo davanti al quale si trova oggi l'Unione. L'avanzata dei populismi minaccia e nello stesso tempo porta alla luce il declino della rappresentanza nelle democrazie europee, specchio di una società sempre più disgregata e priva di quei grandi soggetti politici, i partiti, che ne avevano nel bene e nel male distinto la vicenda. Di questa storia è parte integrante la sinistra che sembra disorientata e incapace di cogliere i nuovi bisogni che arrivano dal basso, prigioniera dei suoi errori e vittima di mutamenti, sociali ed economici, planetari. E tuttavia mai come ora abbiamo bisogno della sinistra per arginare lo strapotere del capitale finanziario e rilanciare una nuova idea continentale, per passare da un'Europa dei vincoli a un'Europa realmente democratica.
Dopo “L’esperimento” - il libro inchiesta sulla nascita del Movimento 5 Stelle - Jacopo Iacobini torna con “L’esecuzione. 5 Stelle da movimento a governo”.
Gianroberto Casaleggio diceva che i parlamentari o ministri avrebbero dovuto essere per il Movimento 5 Stelle nient’altro che dei portavoce esecutori del loro programma, revocabili all’occorrenza con il recall: «Il compito dei nostri eletti è solo un’esecuzione delle nostre idee». Diversi anni dopo, suo figlio ribadiva il concetto in maniera ancora più esplicita: «Tra qualche lustro è possibile che il Parlamento non sarà più necessario». Con affermazioni come queste, i due Casaleggio piegavano gradualmente il neutralismo politico del movimento in direzione di un populismo autoritario. Che la presa di potere dei 5 Stelle oggi avvenga proprio col partito di Matteo Salvini è perciò tutt'altro che un caso; la convergenza era stata già immaginata molto prima, sulla base dello stesso autoritarismo e sulla condivisione di tre obiettivi comuni: rivoluzione nordista contro fisco e tasse, chiusura ai migranti, uscita dall’euro. Una convergenza di intenti chiaramente ricostruibile passo per passo dai post sul blog di Grillo. Ma c'è dell'altro.
Jacopo Iacoboni riporta in questo libro una serie di testimonianze esclusive, che svelano gli storici legami dei 5 Stelle coi maggiori esponenti del sovranismo internazionale: i contatti con Steve Bannon – rappresentante dell’alt right USA –, quelli con gli emissari di Aaron Bank – principale finanziatore della Brexit –, i rapporti con Marcello Foa – il nuovo presidente della Rai, amico di Russia Today ed estimatore di Putin –, fino a Ted Malloch – uno degli uomini di Trump in Europa. Tutte queste figure chiave dell’ultra destra internazionale erano in missione alla Casaleggio associaci già nel gennaio 2015. Le amicizie comuni con la Lega, dunque, esistevano da tempo.
“L’esecuzione. 5 Stelle da movimento a governo” di Jacopo Iacoboni farà chiarezza sul legame Lega-5 Stelle, cominciato molto prima delle elezioni del 4 marzo 2018, e svelerà scoop destinati a far notizia, specie in vista delle prossime elezioni europee.
“Questo volumetto non vuol essere un saggio sull’Europa ed i suoi problemi. Vuole essere l’avvio del dialogo che ciascuno di noi quotidianamente può, e forse deve, condurre, se già non lo intrattiene, con amici, parenti, colleghi, semplici conoscenti fortemente critici sull’Europa, pronti a far propri slogan, luoghi comuni, giudizi sommari oggi di moda. Un invito a ragionare, a guardare, perlomeno con grande cautela, alla troppo diffusa ‘criminalizzazione’ dell’Europa. Un invito a rendersi conto di quanta strada con l’Europa si è fatta anche nel modo quotidiano di vivere. Un invito, al contempo, a non sottovalutare, ma ad individuare nella loro reale dimensione motivi di crisi, ritardi, difficoltà, prospettando tuttavia pure obiettivi e prospettive di soluzione. un invito, comunque, a guardare ai dati, ai fatti. un semplice punto di partenza, da cui chiunque possa muovere per un percorso che, si è convinti, non può che essere, nell’interesse anzitutto del nostro paese, un percorso per ‘più e migliore Europa’.”
Dall’introduzione di Piergaetano Marchetti
Reagan, Thatcher, Mitterrand, Kohl, Clinton, Blair, Schröder, Berlusconi, Obama, Cameron, Sarkozy, Merkel, Renzi: nelle parabole di questi leader, accomunati dalla pretesa di rappresentare il nuovo e il cambiamento, si può cogliere il ruolo cruciale che gioca la narrazione nei sistemi politici. Attingendo alle scienze sociali, alla psicologia e alle neuroscienze, il libro illustra i meccanismi che rendono efficace lo storytelling per creare emozioni, identificazione e coinvolgimento con il leader narratore. Uno storytelling che è collocato all'interno dell'impetuoso sviluppo della comunicazione e del marketing politici degli ultimi decenni. Quei tredici casi ci aiutano a decifrare l'attualità.
Ci fu un tempo in cui sinistra e popolo erano quasi la stessa cosa. Adesso in tutto il mondo le classi lavoratrici, i mestieri operai vecchi e nuovi, cercano disperatamente protezione votando a destra. Perché per troppi anni le sinistre hanno abbracciato la causa dei top manager, dell'Uomo di Davos; hanno cantato le lodi del globalismo che impoveriva tanti in Occidente. E la sinistra italiana da quando è all'opposizione non ha corretto gli errori, anzi. È diventata il partito dello spread. Il partito che tifa per l'Europa «a prescindere», anche quando è governata dai campioni della pirateria fiscale. È una sinistra che abbraccia la religione dei parametri e delle tecnocrazie. Venera i miliardari radical chic della Silicon Valley, nuovi padroni delle nostre coscienze e manipolatori dell'informazione. Tra i guru «progressisti» vengono cooptate le star di Hollywood e gli influencer sui social media, purché pronuncino le filastrocche giuste sul cambiamento climatico o sugli immigrati. Non importa che abbiano conti in banca milionari, i media di sinistra venerano queste celebrity. Mentre trattano con disgusto quei bifolchi delle periferie che osano dubitare dei benefici promessi dal globalismo. Non rispondetemi che «quegli altri» sono peggio - scrive Federico Rampini -, non ditemi che è l'ora di fare quadrato, di arroccarsi tra noi, a contemplare con orgoglio tutte le nostre sacrosante ragioni, a dirci che siamo moralmente superiori e che là fuori ci assedia un'orda fascista. Quand'anche fosse vero che «quelli» sono la peste nera, allora dobbiamo chiederci: com'è stato possibile? Come abbiamo potuto regalare a «loro» l'Italia più gli Stati Uniti, l'Inghilterra più la Svezia e in parte la Francia? Se davvero una barbarie reazionaria sta dilagando in tutto l'Occidente, dov'eravamo noi, cosa facevamo mentre questo flagello si stava preparando? (Aiutino: spesso eravamo al governo). C'è qualcosa di malsano nel pensare che una maggioranza degli italiani sono idioti manipolati da mascalzoni: come si costruisce su queste basi una convivenza civile, un futuro migliore? Attingendo alla sua formazione giovanile nel Pci di Enrico Berlinguer, fine anni Settanta; poi alle sue esperienze successive di reporter globale a Parigi, Bruxelles, San Francisco, Pechino e ora New York, Federico Rampini prende di mira alcuni dogmi politically correct. E spiega che la sinistra può ripartire. Deve farlo. Il tracciato verso la rinascita parte dalle diseguaglianze, e abbraccia senza imbarazzi una nuova idea di nazione.
Per il pensiero liberale una «politica della verità» è un'assurdità e un pericolo, il principio di una società dogmatica, paralizzata da un potere totalitario e ingiusto. È davvero così? La teoria sviluppata in questo libro rovescia l'ipotesi. Uno sguardo più attento al ruolo del vero e del falso nelle nostre vite ci fa capire che oggi il destino della libertà e della giustizia è inestricabilmente legato al concetto di verità. Ma si tratta di guardare alla verità in un modo diverso: considerando anzitutto il suo speciale potere in democrazia, in cui le credenze (vere, false, incomplete o distorte) dei cittadini orientano le stesse condizioni della vita pubblica. Contro la proliferazione del falso e dell'insensato, una nuova politica della verità deve tutelare, per tutti noi, il diritto alla verità non soltanto in relazione al bisogno di sapere, ma anche al bisogno di essere garantiti in quei beni e valori critici che si legano a un uso razionale delle conoscenze.
L'Unione allargata a 28 paesi rappresenta una costruzione istituzionale e politica unica, ma anche un modello ideale. Sappiamo davvero come funziona? Quali sono le azioni, i programmi e le risorse che vengono preparati e mobilitati per raggiungere una certa omogeneità di sviluppo tra i paesi membri? In questa nuova edizione, oltre a ricostruire la storia dell'Unione europea e dei suoi organi, si ripercorrono sfide e difficoltà degli ultimi anni fino alla Brexit e alle sue conseguenze, per riflettere sui motivi per cui, dal 1950, l'Europa è diventata un insostituibile spazio per l'agire economico, politico e sociale.
EurHope. Un sogno per l'Europa, un impegno per tutti: Il volume è un contributo a più voci nato dalla collaborazione tra Focsiv, Caritas Italiana, Missio e Istituto Toniolo, con la prefazione di Beatrice Covassi. Racconta l'Europa della speranza, non della paura. L'Europa dell'Evangelii gaudium e della solidarietà. EurHope è un esercizio di cittadinanza, uno strumento non solo per capire e comprendere le istituzioni europee, ma anche per conoscerne i valori fondanti, rileggerne la storia, analizzarne le politiche, disegnarne, insieme, pagine nuove. EurHope è l'Europa da riscoprire, un patrimonio spirituale e culturale che può ancora sorprendere e appassionare le giovani generazioni del nostro continente. EurHope è un impegno concreto per l'Europa che vogliamo. Un sogno da realizzare insieme.
Una democrazia svuotata di senso e prospettive ha bisogno di ritrovare la sostanza, i suoi valori fondanti. Basta leggere alcuni passaggi di questo scritto del filosofo Guido Calogero per coglierne l'importanza e l'attualità. Introduzione di Maurizio Viroli.
Una appassionata difesa dell’idea di Europa, nelle sue radici classiche e cristiane. - L’Europa ha un futuro perché può essere il luogo dove le differenze culturali e religiose dialogano per il bene dei singoli, quale che sia la loro appartenenza religiosa. - Un sorprendente difesa dell’idea di patria, in senso non nazionalistico.
«Che se ne stiano a casa loro, si sente dire. O se si ostinano a vivere accanto a noi, dovranno farlo a culo nudo, con le braghe abbassate, allo scoperto. L'era del nanorazzismo, infatti, è quella del razzismo lercio, quello della fuliggine, il razzismo dello spettacolo dei porci che sguazzano nella mota. La sua funzione è di trasformarci in sgherri dalla scorza dura e di mettere quelli e quelle che consideriamo indesiderabili in condizioni intollerabili, nell'accerchiarli nel quotidiano e infliggere loro a ripetizione un numero incalcolabile di colpi e di ferite razziste, spogliarli di ogni diritto acquisito, affumicare l'alveare e disonorarli fino a non lasciare loro altra scelta che non sia l'autodeportazione. E visto che parliamo di ferite razziste, bisogna anche sapere che si tratta in genere di tagli e lesioni avvertiti da un soggetto umano che ha subìto uno o più colpi di un particolare genere - colpi dolorosi e difficili da dimenticare, perché restano sul corpo ma anche sulla parte intangibile, la dignità, la stima di sé. I segni che lasciano sono il più delle volte invisibili e le cicatrici si chiudono con difficoltà.» Achille Mbembe, uno dei maggiori intellettuali contemporanei, si addentra nelle dinamiche che rendono l'identificazione dell'altro come nemico la modalità dominante di relazione nella società contemporanea.