A Parigi Rosi incontra l'uomo che, più di vent'anni prima, in una cittadina della riviera ligure, è stato il suo primo ragazzo. Adesso fa il cuoco ed è ancora vitale e passionale. E come allora Rosi è impertinente e ribelle. Si studiano, si guardano, si amano, dentro la lunga notte che li ha rimessi insieme. E poi? Rossana Campo torna alla freschezza dei suoi primi romanzi (la vicenda parallela di Rosi dodicenne è un graffiante affondo nell'inquietudine adolescenziale) aggiungendo la malinconica leggerezza di una nuova maturità.
Una raccolta di dodici racconti ("Abitavo a due passi da un negozio di cravatte", "Sono uscito dal riformatorio", "Mi tolgo subito le mutande così facciamo prima"...) sui rapporti fra uomini e donne: dodici "perizie di parte sui rapporti fra maschi e femmine", in cui ogni personaggio esprime una visione molto faziosa delle sue relazioni di coppia.
Tra intrighi di potere, dame languide e perverse, preti divisi fra ascetismo e amore del mondo, si svolge la storia di Cinìn, piccolo bastardo guardiano di mucche che diventerà pittore, il Maestro dei santi pallidi. Sullo sfondo dell'Italia di metà Quattrocento, Marco Santagata ha raccontato il sorgere del talento pittorico di un uomo sempre in fuga e sempre alla ricerca di qualcosa, dando vita a un romanzo a metà tra invenzione e ricostruzione storica.
Questo primo volume delle "Opere" di Giovanni Testori, curato da Fulvio Panzeri e prefatto da Giovanni Raboni, contiene le opere narrative e teatrali più famose dello scrittore lombardo. Dai lavori drammatici delle origini ("La morte. Un quadro" e "Tentazione nel convento") ai capolavori della maturità ("La Maria Brasca" e "L'Arialda"); dai classici racconti del "Dio di Roserio", del "Ponte della Ghisolfa" e della "Gilda del Mac Mahon" ai romanzi "Il fabbricone" e "Nebbia al Giambellino".
Agosto 1922. La Parma popolare dell'Oltretorrente resiste alle squadre fasciste di Italo Balbo. Guido Picelli è alla testa degli Arditi del Popolo nell'ultimo episodio di opposizione rivoluzionaria all'incalzare della dittatura. Picelli e Balbo, il mito socialista e il camerata fascista, rivivono nei ricordi di un vecchio Ardito, il giorno dei funerali di Mario Lupo nel 1972, quando lo scontro fra sinistra extraparlamentare e neofascisti riconduce quasi naturalmente agli avvenimenti di cinquant'anni prima. Fra memoria storica e invenzione narrativa, Pino Cacucci evoca quelle giornate di lotta e i suoi protagonisti.
Un uomo, senza identità e senza coscienza della Storia, si immerge in un archivio condominiale vecchio di settant'anni e rimane catturato da quel formicolare di vite, quasi cercasse le radici e le ragioni di un'esistenza senza scopo. Nella sua quotidianità entrano come ventate le liti domestiche di un passato remoto, i drammi delle persone vicine ma anche i grandi drammi delle guerre di ieri e di oggi, storie che hanno composto il passato comune e che ora compongono le sue giornate.
L'imprevisto irrompe nel quotidiano di quattordici donne tutto sommato comuni, con una vita tutto sommato ordinaria. E spesso il ribaltamento dell'ordinario nello straordinario - e viceversa - apre le porte all'umorismo. Ciascuna delle protagoniste dei quattordici brevi racconti possiede, come ogni donna, qualcosa di assolutamente originale, unico e forse un po' magico. Con lo spirito di chi riesce a cogliere il comico anche dall'osservazione del quotidiano, l'autrice guida il lettore in una bizzarra galleria di personaggi femminili.
Sicilia, 1963. Maria Rosalia Inzerillo, più conosciuta come la "Mennulara" (la raccoglitrice di mandorle), è morta. Domestica della famiglia Alfallipe e amministratrice del suo patrimonio, la Mennulara è però soprattutto un mistero per la popolazione del paese. Tutti ne parlano perché si favoleggia sulla ricchezza che avrebbe accumulato, forse favorita dalle relazioni con la mafia locale. Tutti ne parlano perchè sanno e non sanno, perché c'è chi la odia e la maledice e chi la ricorda con gratitudine. Senza di lei Orazio Alfallipe avrebbe dissipato proprietà e rendite. Senza di lei Adriana Alfallipe, una volta morto il marito, sarebbe rimasta sola in un palazzo enorme. Senza di lei i figli di Adriana e Orazio sarebbero cresciuti senza futuro.
In questa composita raccolta Flaiano descrive luoghi dell'Abruzzo natio in cui la desolazione è profondamente radicata e figure che, su quei fondali, paiono inesorabilmente votate all'autodistruzione: come l'intellettuale romantico e decadente che sospende un'assunzione fatale di veronal solo per la momentanea fioritura di una rosa, o il giovane, ultimo di sei fratelli, cui la famiglia non perde occasione di rinfacciare il suo status di indesiderato, di nato "a tavola sparecchiata". E quando, nel più lungo di questi racconti, Flaiano rievoca la vicenda di uno zio prete, don Oreste, la narrazione affonda ancor più tra quelle rocce scarne, dove "i cattivi umori della terra cristallizzano" e generano quel Blu di Prussia "velenoso, sordido, intelligente...".
Pensava di insegnare all'università, e si trova a fare il bibliotecario per caso. Dopo un lungo fidanzamento, ha sposato Virginia e si sono trasferiti da Roma al piccolo paese di Montemori, dove lei insegna e lui svolge una non meglio precisata "attività di studioso". Coinvolto dal comune nella preparazione delle celebrazioni per il centenario del fondatore dell'industria locale, comincia a indagare su una fabbrica inquinante e pericolosa, e su amori del passato. Starnone firma un romanzo breve, ironico, ora amaro, ora divertente, in cui si uniscono impegno politico, denuncia sociale, follia d'amore.