Dov'eri, la notte in cui cadde il Muro? È una domanda che percorre ancora il cielo sopra Berlino. La ritroviamo nelle parole di scrittori cardine della memoria tedesca come Günter Grass ma anche di autori simbolo del dopo-89 come Ingo Schulze. La ripetono le trame di film ormai diventati di culto come "Good bye Lenin!" e le mille espressioni artistiche di una città che negli ultimi vent'anni è diventata uno dei maggiori centri della creatività europea. Berlino è ben lontana dall'essere pacificata, la cicatrice del Muro l'attraversa ancora, dopo quella notte di novembre in cui sembrava che i suoi abitanti fossero già diventati 'ein Volk', un solo popolo. Per questo la ricostruzione appassionata di quei giorni scritta "a caldo" dagli inviati Rai Lilli Gruber e Paolo Borella oggi sembra una cronaca in presa diretta, che ci riporta immediatamente a quelle atmosfere e a quei retroscena. E per questo, oltre a riproporne qui le pagine più avvincenti, gli autori ci riaccompagnano a Berlino, vent'anni dopo. C'era una volta il Muro. E quando c'era il Muro, non c'era Berlino. Questo libro ci porta a toccare con mano il laghetto dove trafficavano le spie e i memoriali del passato nazista, il cuore un tempo spezzato di Potsdamer Platz e i luoghi della Ostalgie, l'eco delle voci di politici e cantanti, agenti e fuggiaschi. E poi le testimonianze di berlinesi vecchi e nuovi, e cantieri ancora aperti e strade cambiate per sempre.
"Crisi dell'Occidente": spesso, solo una frase fatta, una formula buona per tutti gli usi. Ma quale realtà effettiva vi si nasconde? Una possibile risposta ci viene offerta da questo nuovo libro di Amin Maalouf, l'autore di "L'identità", che torna alla saggistica per segnalarci uno stato di cose, quasi un dato di fatto: l'esaurimento della coscienza morale del mondo di oggi e la perdita di ogni regola-guida. Da questo impoverimento dipende l'incapacità di comprendere a fondo, in tutte le sue implicazioni, fenomeni storici come il crollo del comunismo e la formazione dell'unità europea, ma anche il conseguente strabismo ideologico che ha spinto le grandi potenze planetarie a cercare di risolvere con gli strumenti della guerra il problema di un ordine in via di estinzione. Non sarà la violenza a colmare il vuoto dei valori, ma una rinascita globale della cultura e del senso di responsabilità. Questo è il suggerimento dello scrittore libanese Maalouf, mai così pacato e lucido come in queste tesissime pagine di intervento e denuncia, nelle quali si profila forse un diverso destino e un diverso modo di concepire il ruolo strategico dell'impegno culturale, a ogni livello.
Come è possibile che una società a stragrande maggioranza cattolica partorisca Cosa nostra e stidde,’ndrangheta,camorra e Sacra corona unita? Un interrogativo del genere ne coinvolge,a valanga,molti altri. Impegnativi e impertinenti. E questo potrebbe spiegare perché lo si è posto assai raramente. Per rispondere,l’autore ha enucleato i tratti essenziali della teologia dei mafiosi;ha scoperto preoccupanti rassomiglianze con la teologia “cattolico-mediterranea”;ha delineato,per sommi capi,una teologia critica “oggettivamente” alternativa rispetto alla visione teologica mafiosa. Questo percorso intellettuale affronta gli aspetti culturali di un fenomeno complesso come la mafia e si rivela utile per ampliare l’analisi scientifica e per affinare le strategie di prevenzione e di contrasto.
COME PUÒ LA MAGGIORANZA DEI MAFIOSI DIRSI CATTOLICA E FREQUENTARE LE CHIESE? QUALCOSA CERTAMENTE NON FUNZIONA: O NELLA LORO TESTA O NELLA TEOLOGIA CATTOLICA.O IN TUTTE E DUE.
DESTINATARI: Un libro scomodo e coraggioso che farà parlare di sé.Per un pubblico molto ampio
AUTORE: Augusto Cavadi giornalista e teologo (Palermo,1950; www.augustocavadi.eu ) svolge attività di insegnamento e di consulenza filosofica presso scuole,università e altre istituzioni culturali. Collabora con Repubblica(Palermo), Narcomafie(Torino) e altre testate. Curatore de Il Vangelo e la lupara. Materiali su Chiese e mafia, 2 voll.(Bologna 1994),è considerato fra i maggiori esperti del rapporto fra cattolicesimo e associazioni criminali. È autore tra l’altro di: La mafia spiegata ai turisti (Trapani 2008; trad.francese,spagnola,inglese,tedesca e giapponese 2008); Come posso fare di mio figlio un uomo d’onore?(Trapani 2008).
L'universo dei clandestini al lavoro. Una situazione drammatica fatta di violenze e soprusi da parte di caporali e datori di lavoro italiani che fanno leva sulla ricattabilità della forza lavoro clandestina per sequestrare loro documenti, trattenere le misere paghe concordate, il tutto condito da insulti e violenze quotidiane, con la collaborazione attiva di piccoli malavitosi locali. Uno scenario che mai compare sui quotidiani nazionali e che invece rappresenta la dorsale nascosta di un'Italia truce e violenta: l'altra faccia del mito "italiani brava gente". Dalle campagne siciliane e del foggiano, fino ai cantieri edilizi e agli ortomercati del Nord, da questo libro emerge una fotografia brutale del nostro paese. Marco Rovelli si è mischiato con i clandestini, bevendo insieme a loro il tè, e comunicando, facendosi raccontare le loro storie finora inascoltate: dal loro racconto emerge anche il volto crudele del nostro capitalismo, ritornato in alcune aree e comparti a forme ottocentesche di sfruttamento. Non manca un capitolo sulla condizione degli immigrati nel comune di Rosarno: sfruttati senza diritti, vittime di una continua "caccia al nero" e di attacchi da parte di alcuni giovani rosarnesi che hanno portato alla violenta protesta del 7 gennaio 2010.
Dal quartiere Tamburi a ridosso del più grande impianto siderurgico d'Europa ci sono solo quindici passi, e quindici passi ugualmente dividono l'impianto dell'ILVA dal cimitero di San Brunone, il grande camposanto dove molti degli operai del complesso sono stati sepolti. Giuliano Foschini ha scritto un reportage sul più grande e silenzioso disastro ambientale italiano, un lavoro meticoloso tra carte giudiziarie e ambientali, numeri ed emissioni, dove hanno un ruolo importante le mancanze della politica e le omissioni delle classi dirigenti che per quasi cinquant'anni hanno diretto il siderurgico. Filo conduttore dell'inchiesta sono le storie della gente: i bambini che disegnano solo cieli neri, le donne che si ritrovano le loro scope rosse di quarzite, i pastori costretti a sopprimere le greggi per l'allarme diossina sino alla storia dei "mai nati". Un racconto serrato e spietato che spiega perché il disastro di Taranto è un pericolo per il nostro Belpaese. Perché la battaglia sulla sicurezza del lavoro e dell'ambiente si giochi soprattutto in questo impianto - il cui proprietario è oggi azionista della cordata CAI-Alitalia - e perché le nuove norme che regolamentano le emissioni inquinanti siano il campo decisivo su cui si scontrano i poteri locali con quelli nazionali.
Il saccheggio di Napoli. Dal Rinascimento
degli anni Novanta alla nuova Tangentopoli,
la scalata di una casta politica rapace e familista.
Un gioco di cemento, promesse e ricatti
che ha divorato risorse e negato il futuro.
”Crollo io, crolla il mondo.”
Antonio Bassolino, marzo 2008
Dal terremoto del 1980 a Monnezzopoli, da Antonio Gava ad Antonio Bassolino, da Achille Lauro ad Alfredo Romeo, Napoli è una torta da spartire, una fabbrica di sogni mai realizzati, un buco nero. Durante i quindici anni di governo incontrastato dell’ultimo viceré, eletto a furor di popolo due volte sindaco e due volte governatore della Campania e ora pronto a ricandidarsi alla guida della città, il miraggio del Rinascimento si trasforma nell’incubo dei rifiuti, del commissariamento della Sanità, di un’emergenza sociale – fatta di disoccupazione, abbandono scolastico, criminalità organizzata – che diventa normalità. I piani strategici restano nei cassetti, le periferie dilagano nel centro storico, le inchieste giudiziarie (Canaglia, Rompiballe, Magnanapoli) spaccano le giunte e frenano lo sviluppo. E la politica? Come dice Franco Roberti, ex capo della Dda di Napoli, la politica è morta, e quella singolare materia che le è sopravvissuta serve solo come sponda per gli affari.
Questa inchiesta racconta le gesta di una classe dirigente concentrata solo sui propri interessi, imperturbabile di fronte alle proprie incompetenze, impegnata in un grottesco valzer di poltrone che poco ha a che fare con la gestione dei gravi problemi – ma anche delle opportunità – che è chiama ad affrontare.
“Anche se la storia non potrà mai spiegarci esattamente il senso della musica, la musica può dirci qualcosa sulla storia.”
Alex Ross
“Un libro destinato a diventare un classico sul XX secolo.”
Kirkus Reviews
“Un lavoro ambizioso e pienamente riuscito.”
Geoff Dyer, New York Times Book Review
“Brillante, una lettura irresistibile.”
Anthony Tommasini, New York Times
Perché Pablo Picasso e Jackson Pollock sono oggetto di comune conversazione (nonché di aste milionarie), T.S. Eliot viene citato persino dagli studenti liceali, e al contrario la musica classica del Ventesimo secolo è in genere vissuta con diffidenza mista a disagio dal grande pubblico? Eppure gli accordi atonali hanno una parte importante nel jazz, le colonne sonore dei thriller hollywoodiani pullulano di sonorità mutuate dall’avanguardia, e il cosiddetto minimalismo ha lasciato tracce profonde nella musica rock, pop e dance.
Ricostruendo momenti cruciali e operesimbolo, Il resto è rumore conduce il lettore nel labirinto della musica del Ventesimo secolo, e allo stesso tempo rilegge la Storia attraverso il succedersi delle avanguardie musicali, dalla Vienna di inizio Novecento con Mahler e Strauss all’arte bolscevica di Sostakovic, dalla musica atonale e dodecafonica nella Berlino anni Venti fino a Messiaen e Ligeti. L’autore non si sofferma solo sulle figure dei musicisti, ma anche sui dittatori, i mecenati miliardari e i dirigenti che tentarono di controllare la musica che veniva composta; gli intellettuali che si sforzarono di porsi come giudici in fatto di stile; gli scrittori, pittori, ballerini e registi che accompagnarono i compositori sui sentieri solitari della ricerca; il pubblico che osannò, vituperò o ignorò quanto i compositori proponevano; le tecnologie che cambiarono il modo di realizzare e ascoltare musica; e le rivoluzioni, le guerre calde e fredde, i flussi migratori e le profonde trasformazioni sociali che rimodellarono il contesto in cui si svolgeva l’attività musicale.
Avvincente come un romanzo, rigoroso e documentato come un saggio accademico, Il resto è rumore è un viaggio nella vicenda epica eppure umanissima del secolo breve, ascoltato attraverso la sua musica.
Mark Rowlands, giovane e inquieto docente di filosofia in un'università americana, legge per caso su un giornale una singolare inserzione, si incuriosisce e risponde. Qualche ora dopo è il padrone felice di un cucciolo di lupo, a cui dà nome Brenin ("re" in gallese antico). Per undici anni, sarà lui la presenza più importante nella vita del professore, che seguirà ovunque: assisterà alle sue lezioni acciambellato sotto la cattedra, incurante degli iniziali timori e del successivo entusiasmo degli studenti, ne condividerà avventure, gioie e dolori, lo accompagnerà nei suoi spostamenti dall'America all'Irlanda alla Francia, dove Mark si trasferisce dopo aver troncato quasi ogni legame con i suoi simili. E sarà, soprattutto, una fonte continua di spunti di riflessione e idee filosofiche perché, contrariamente allo stereotipo che ne fa un emblema del male, della ferocia, del lato oscuro dell'umanità, il lupo è per Rowlands metafora di luce e di verità, la guida per un viaggio interiore alla scoperta della propria più intima e segreta identità: "Il lupo è la radura dell'anima umana ... svela ciò che rimane nascosto nelle storie che raccontiamo su noi stessi". La sua natura selvaggia e indomabile, infatti, rivela a chi gli sta accanto un modo di vivere e di fare esperienza del mondo non solo radicalmente diverso da quello degli uomini, ma forse anche più autentico e appagante perché immune da doppi fini, da ogni atteggiamento di calcolo e manipolazione.
Marco Lodoli non è soltanto uno scrittore, ma anche un insegnante, un professore nelle scuole superiori. Ogni giorno, in presa diretta si incontra e scontra con la scuola, con gli studenti e con il diffìcile e appassionante mestiere di insegnante. In "Il rosso e il blu" abbandona la finzione narrativa e, attraverso brevi ma folgoranti osservazioni, affronta i molti "cuori ed errori" che sono disseminati nella scuola italiana, e di cui è testimone quotidiano, esprimendo così il suo punto di vista sui tanti temi che entrano nel dibattito pubblico sull'educazione scolastica e i giovani di oggi: dal momento topico dell'esame di maturità alla piaga emergente del bullismo; dalla straniarne e defatigante esperienza delle gite di classe al problema della droga. Dall'angoscia degli studenti per il loro futuro, alla sintonia magica che talvolta si crea con il loro professore. Si delinea cosi un percorso mai scontato, dove la chiarezza espressiva è contemperata dalla profondità di giudizio. Gli errori della scuola sono solo un aspetto della questione. Non avrebbero senso e importanza, se dietro di essi non ci fosse la passione, insomma i cuori.
Sul finire degli anni cinquanta del secolo scorso, si avviò a Londra un acceso dibattito sollecitato dal libro di Charles Snow sulle cosiddette due culture, vale a dire sull'ostilità tra scienziati e letterati. Il dibattito è tuttora in corso e l'interrogativo sulla presunta ostilità resta aperto, ma nel frattempo ecco che è entrata sulla scena una nuova dicotomia, quella fra due realtà: la fattuale e la virtuale. Due realtà, dunque, in contrapposizione o forse in complementarità alle due culture? Una storia antica ma ancora oggi attuale, che si interseca con i problemi emergenti sulle due realtà: quella effettiva e quella che i mass media ci comunicano e alla quale siamo spinti a credere indipendentemente da quanto stia accadendo. Due realtà che tendono ad ampliare la distanza che sempre più le caratterizza, da quando la globalizzazione dei saperi e la rivoluzione delle alte tecnologie hanno portato alla diffusione senza più controlli della comunicazione di massa e del contesto virtuale che essa è in grado di costruire. Come restituire veridicità alla conoscenza minata dalle distorsioni indotte proprio dalle comunicazioni di massa, tipiche del mondo nel quale consumiamo la nostra esistenza? Forse ritornando al dubbio sistematico, quel dubbio che già Cartesio aveva introdotto come metodo di apprendimento. O andando alla riscoperta di esperienze consolidate che ancora oggi ci possono fornire esempi innovativi, in grado di illuminare i difficili sentieri del sapere.
"I centocinquanta anni di Unità d'Italia sono anche centocinquanta anni di 'questione meridionale'. Ci rassegneremo a tenercela per sempre, questa questione, considerandola una specie di caratteristica nazionale ineliminabile? Oppure vogliamo provare finalmente a invertire la rotta?". Renato Brunetta - economista e ministro - analizza i motivi delle difficoltà e dei fallimenti antichi e recenti, e prova a stilare un'agenda per il Sud: alzare il tasso di certezze ed efficienze, di legalità e fiducia; far funzionare finalmente lo Stato, per i compiti che gli sono davvero propri, in modo da garantire la competizione e il mercato; coniugare il federalismo con una vera ed efficace regia nazionale; aprire il Mezzogiorno agli scenari di una nuova prospettiva europea. L'Europa, soprattutto nell'attuale situazione di crisi mondiale, è interessata a un processo strategico di integrazione di un'area mediterranea "allargata" che abbracci i paesi mediterranei in senso stretto, quelli del Mar Nero, fino al Golfo Persico. In un quadro di equilibri europei riassestati a favore dell'area economica in espansione del Mediterraneo e non sbilanciati verso il Baltico, il Mezzogiorno assumerebbe un ruolo cruciale di cerniera, calamitando interessi, risorse e investimenti. È in questo quadro che la questione meridionale si presenta in una nuova luce, per la prima volta come un'opportunità non solo per se stessa ma anche e soprattutto per il Nord e per l'Europa.
Com'è possibile non spaventarsi davanti a un bilancio allarmante come quello dell'automobile (costo di vite umane, guerre per il petrolio, inquinamento, destrutturazione sociale ecc.)? Quasi fossimo prigionieri di una gigantesca follia collettiva, sembriamo incapaci di uscire dal girone infernale in cui noi stessi ci siamo infilati. Le soluzioni proposte sono peggiori dei rimedi e non affrontano mai i problemi essenziali. L'automobile non è compatibile con una gestione sana del nostro ambiente. Troppo spesso è usata in modo irrazionale e passionale. Ma tutto quello che ci accade non è un caso. Attraverso degli esempi concreti, Marcel Robert ci mostra come la scelta di vivere senza auto possa essere fatta tanto a livello collettivo quanto individuale. E tale scelta si fa via via più pressante nel momento in cui cominciamo a valutare le conseguenze sull'ambiente del nostro modo di vivere. Il punto non è più sapere se questa scelta va compiuta, bensì quando avremo finalmente il coraggio di compierla.