Questa terza «Considerazione inattuale», scritta e pubblicata nel 1874, è un’altra sfida che il giovane Nietzsche volle lanciare alla cultura moderna. Al centro, questa volta, è Schopenhauer. Ma Nietzsche non vuole qui addentrarsi nel suo pensiero, bensì prendere la sua figura come emblema del «grande uomo», del genio, categoria che l’Ottocento aveva esaltato e ora si apprestava a sgretolare. Di fronte al diffondersi di una certa generale pavidità, di fronte alla incapacità dell’individuo di sostenere se stesso come unicum, di fronte all’appiattirsi della cultura in servile obbedienza allo Stato, Nietzsche ha voluto ricostruire una fisionomia, quella di «Schopenhauer come educatore», incompatibile con quei caratteri che vedeva affermarsi sempre più intorno a lui. La grandezza, per Nietzsche, non può essere disgiunta dalla familiarità con i mostri e con il fondo feroce dell’esistenza. Eppure, solo chi è avvezzo ad attraversare l’oscuro riesce a emanare un senso perdurante di serenità: «Il vero pensatore rasserena e allieta sempre, sia che egli esprima la sua serietà o il suo scherzo, la sua penetrazione umana o la sua indulgenza divina; senza atteggiamenti tetri, mani tremolanti, occhi acquosi, ma sicuramente e semplicemente, con coraggio e vigore, forse con un certo fare cavalleresco e duro, in ogni caso però come vincitore; e proprio ciò rasserena più profondamente e intimamente: vedere il dio vincitore accanto a tutti i mostri che egli ha combattuto».
Composte nella seconda metà del V secolo a.C., le tragedie del ciclo di Edipo mettono in scena, in forme di straordinaria suggestione, una delle più alte e dolenti rappresentazioni del destino umano. Edipo, assurto con Sofocle a simbolo universale, è il paradigma più famoso dell’eterno dissidio tra libertà e necessità, tra colpa e fato. Giunto al potere grazie alla propria intelligenza, Edipo è costretto, attraverso una forzata e convulsa indagine retrospettiva, a scoprire che il suo passato è una lunga sequenza di orrori e delitti, e a riconoscere la drammatica verità delle ultime, desolate parole del Coro: “Non dire felice uomo mortale, prima che abbia varcato il termine della vita senza aver patito dolore”.
Frutto di un poderoso lavoro di ricerca, "La scoperta dell'inconscio" chiarisce e documenta le origini, l'evoluzione e il significato culturale delle diverse scuole di psichiatria dinamica. L'opera si propone due risultati fondamentali. Da un lato, dimostra come le attuali concezioni rappresentino la formulazione di un'antica aspirazione terapeutica che si manifestò nel magnetismo e nell'ipnotismo trovando poi, fra Ottocento e Novecento, le sue più organiche definizioni nei sistemi di Janet, Freud, Adler e Jung. D'altro lato, ricostruendo l'ambiente culturale in cui vissero i padri della psichiatria dinamica, Ellenberger mostra come e in che misura nella loro opera siano presenti le grandi linee che attraversarono tutta la cultura europea.