400 persone occupano le poltrone che contano del potere economico italiano: le principali banche e assicurazioni, le imprese quotate alla Borsa di Milano, le aziende pubbliche, i vertici del sistema cooperativo, i grandi studi legali, le società di consulenza strategica. Hanno alcune caratteristiche in comune: sono maschi, detengono molti incarichi, i loro guadagni continuano a essere elevati mentre la gran parte degli italiani si impoverisce, e la loro età media è prossima ai 70 anni. Ancor più della vituperata classe politica o burocratico-amministrativa, essi rappresentano un sistema bloccato che accompagna il declino dell'Italia. In forza di una lunga esperienza nel mondo dell'economia e della finanza, Sandro Catani svela il funzionamento della comunità italiana degli affari e le ragioni strutturali dei nostri ritardi, descrivendo un mondo gerontocratico in cui le relazioni contano più del merito, il ricambio generazionale procede lentamente e solo per cooptazione, e il nepotismo rappresenta una pratica comune e accettata. La ricostruzione delle nostre debolezze si alterna però a esempi di leader illuminati del presente e del passato, capaci di innovare e competere, vincendo, sul mercato globale. "Gerontocrazia" ci offre così un'immagine severa di un'Italia in cui le forze conservatrici si scontrano con le spinte positive delle nostre eccellenze, ma allo stesso tempo indica con fiducia la strada da seguire per realizzare un profondo cambiamento culturale.
La Milano da mangiare dopo la Milano da bere. In una parabola che va dagli anni Ottanta fino ai Duemila, un'oligarchia fondata sul cemento ha conquistato la capitale economica del paese. Ha saputo essere prepotente e ingorda. In città, l'ultima parola è quasi sempre rimasta nella disponibilità di una manciata di costruttori, immobiliaristi, palazzinari, a costituire un sistema concentrico capace di dettare la linea a scapito di chiunque altro. La politica locale è stata spesso succube o complice, i cittadini impotenti, le banche conniventi. In questo libro è raccontata la storia di chi ha comandato e comanda nella spartizione del territorio milanese e delle sue vicinanze, di chi ha messo le mani su quartieri del centro e delle periferie, di chi ha disegnato la rivoluzione urbanistica di immense aree ex industriali, di chi si è appropriato di un business da decine di miliardi di euro, incoraggiato dalle amministrazioni pubbliche e generosamente finanziato dagli istituti di credito. Milano terra di conquista di Salvatore Ligresti e poi dei suoi eredi. Milano, ex capitale morale trasformata nell'ombelico del mondo della corruttela, bersaglio dei peggiori appetiti. E poi rete di interessi che non conosce steccati, che pervade appalti, concessioni, varianti di piani regolatori, che scatena aspettative dorate. Con un miraggio finale: l'Expo 2015.
L'idea che il maggiore partito di sinistra non possa arrivare a governare da solo, ma debba allearsi a un altro grande partito popolare. Il partito presentato come eccezionale e diverso rispetto a qualunque altro partito della sinistra europea e mondiale. Il tabù della modifica della Costituzione. La polemica contro il consumismo e la modernità. Sono questi alcuni dei tratti della politica di Enrico Berlinguer. Un'eredità che ancora oggi pesa sulla sinistra italiana e sulle difficoltà che incontra nel definire se stessa e un partito pienamente nuovo. A trent'anni dalla morte, il bilancio fuori dal mito e dalla nostalgia di ciò che il carismatico segretario del Pci ha lasciato dietro di sé getta una luce completamente nuova sulla contraddittoria esperienza della sinistra postcomunista in Italia.
L'amore che non c'è e non ci sarà mai, l'amore di cui ci si vergogna, l'amore non ricambiato, l'amore inventato, l'amore che deve restare clandestino, l'amore fuori tempo. L'amore perso nel disincanto e nell'inganno, nell'abbandono e nel dolore, nel rancore e nella noia. Un ritratto sentimentale dell'Italia attraverso il cinema, dai classici della commedia all'italiana fino ai film più recenti. Per raccontare come le donne italiane hanno capito che la femminilità esemplare e totale, fatta di sottomissione e inferiorità, è una punizione immeritata, un'invenzione innaturale, una prigione odiosa e gli uomini, gli uomini...
Il saggio, concepito espressamente per il pubblico italiano, illustra la direzione che ha assunto negli ultimi anni la riflessione di Charles Taylor sulla secolarità. Da un lato il filosofo canadese sembra interessato a contestualizzare ulteriormente la traiettoria secolarizzante moderna proiettandola sull'orizzonte di un ampio tempo storico. Poiché i successi incontestabili della modernità occidentale hanno da sempre esercitato, al suo interno e all'esterno, un fascino quasi ipnotico, per lo studioso è importante resistere al loro potere di suggestione diluendone l'impatto e la significatività grazie all'effetto calmierante della lunga durata. La seconda leva utilizzata da Taylor per rendere meno ovvio l'orientamento secolarista della mentalità moderna consiste nella moltiplicazione dei significati della modernità, della reiterazione del suo progetto in una prospettiva globale: in una parola, nel "provincializzare l'Europa". Davvero esiste un unico modello di laicità? O un solo prototipo di libertà, individualismo, autorealizzazione? Per chi è scettico riguardo alla pretesa arrogante della civiltà occidentale di aver esaurito l'intero spettro delle possibilità di espressione umane, una delle principali fonti di interesse è rappresentata proprio dagli effetti imprevedibili, e spesso rigeneranti, della migrazione da un angolo all'altro del pianeta delle teorie e pratiche escogitate in risposta a specifiche difficili sfide storiche.
Si può raccontare la musica senza note, usando solo le parole? Ramin Bahrami crede di sì. D'altra parte, con la musica e con i grandi compositori del passato ha un rapporto strettissimo, intimo: la musica è per Bahrami un fil rouge, ciò che tiene insieme la sua infanzia perfetta in una Teheran baciata dalla cultura con l'esilio seguito all'incarcerazione e alla morte del padre; la sua identità persiana con quella di uomo immerso nell'Occidente; la storia dei suoi avi, provenienti dalla Persia, dall'Europa, dalla Russia, con la sua. Nella musica, e specialmente in Bach, Bahrami ha trovato l'alfa e l'omega: la musica è il suo modo per sopravvivere, per amare, per ricordare. «Nella musica c'è la mia dignità, c'è la mia identità: c'è mio padre con il suo violino, mia madre e le sue litanie, ci sono i miei fratelli e le loro passioni, c'è il mio paese e la sua cultura, ci sono lo zoroastrismo e il cattolicesimo, che è la mia religione oggi.» Il suo sguardo - o, per meglio dire, il suo orecchio - abbraccia il suono occidentale dalle radici fino al Novecento e ne ripercorre la storia attraverso quattordici capolavori: opere fondanti e definitive che hanno creato una discontinuità, cambiando il corso del futuro. I grandi compositori ci sono tutti: da Monteverdi e Vivaldi a Stravinskij e SchÖnberg, passando per le tre B (Bach, Beethoven e Brahms), i malinconici Mahler e Rachmaninov e i rivoluzionari Strauss e Wagner. Di ciascuno si scoprono i tratti fondamentali della vita e dello stile, e si approfondisce l'opera più significativa. Il suono dell'Occidente è un affresco e uno svelamento. Dalla sua prospettiva unica, Ramin Bahrami vede con chiarezza una profonda lezione nascosta nella musica occidentale: l'arte del dialogo. «C'è spazio per tutte le voci e tutte le culture, tutte le razze e tutte le religioni. Le voci possono cantare insieme, le culture mescolarsi e dare origine a capolavori universali, che toccano le corde del musulmano e del cattolico, del buddista e del luterano. Penso che se menti umane sono state capaci di creare opere simili, innalzandosi al di sopra delle divisioni e dei particolarismi, allora esistono speranza e consolazione. Allora esiste un senso, anche nello struggimento e nel dolore.»
Quando nel 1947, dopo due secoli di dominio britannico, l'India divenne indipendente, adottò subito un regime di democrazia parlamentare, che garantiva il pluralismo politico, la libertà di parola e di stampa, e la tutela dei diritti di ogni cittadino. Scomparse le terribili carestie dell'era coloniale, alla stagnazione economica subentrò un'impetuosa fase di crescita, accelerata negli ultimi decenni a ritmi tali da fare dell'India una delle prime potenze commerciali del mondo. Eppure, questi successi non hanno determinato una reale inclusione sociale delle fasce più svantaggiate della popolazione e non hanno migliorato le condizioni della stragrande maggioranza delle persone. Jean Drèze e Amartya Sen individuano la causa dei principali problemi dell'India nella mancanza di attenzione ai bisogni essenziali della gente, specialmente dei poveri e delle donne. Per affrontare queste enormi questioni, dicono i due autori, non serve che l'India abbandoni il suo impegno democratico, ma è necessario riconoscere l'importanza della relazione a doppio senso che esiste tra crescita e promozione delle potenzialità umane, tra sviluppo e progresso sociale, e sconfiggere l'illusione che il paese possa diventare una superpotenza economica con la scandalosa percentuale di bambini malnutriti che ancora la abitano e senza la piena assunzione di responsabilità del settore pubblico nel suo insieme.
Sono quasi cinque milioni gli italiani che prestano la loro opera nel cosiddetto "terzo settore": il mondo del "dare", l'universo della gratuità e della solidarietà umana, religiosa o laica che sia. L'Italia cadrebbe a pezzi senza il lavoro di associazioni, onlus, operatori sociali, volontari, piegata com'è dalla crisi e dalla latitanza delle istituzioni. Questo libro fotografa le "periferie del mondo" intrecciando storie di vita dura, malaffare, riscatto sociale e impegno civile a ricordi personali: si parte dalla "Terra dei fuochi" (la zona dove l'autore è nato, sita fra Napoli e Caserta, e ormai tristemente nota quanto Scampia) per arrivare a Roma, sfiorando i palazzi e chiamandoli spesso in causa per le mancate scelte e gli scempi nazionali. Ma si passa anche dal Ruanda e dalla Striscia di Gaza, dalle carceri minorili e da Lampedusa, dalle scuole italiane e dai laboratori teatrali dove si cerca di sottrarre i giovani alla chimera dei soldi facili della camorra. Pagine scandite dalla vibrante ostinazione a costruire un mondo migliore e segnate dal dolore provato in gioventù per il difficile rapporto con il padre. Una lettura che commuove e rassicura: commuove quando entra nelle profondità dei ricordi famigliari e rassicura perché disegna un'Italia generosa, viva e pronta a ripartire. "Su Wikipedia dovrei scrivere: 'Vincenzo Spadafora è uno che ci crede', invece l'enciclopedia digitale non prevede tanta semplicità romantica di autodefinizione"...
Chi pedala cambia il mondo dolcemente. Guarda con occhi diversi il luogo dove vive, impara a conoscerlo meglio e a rispettarlo. Non fa rumore, non sporca l'aria, si abitua a ridere degli acquazzoni e a sopportare piccole avversità e contrattempi. Chi pedala occupa poco spazio, risparmia e fa risparmiare la collettività, sa che ogni bicicletta in più e ogni macchina in meno rendono il traffico più sicuro e la città più bella, e ha fatto la sua scelta. Ai moltissimi che hanno scoperto da un pezzo i vantaggi della bicicletta, e a tutti gli altri che aspettano l'occasione giusta per convincersene, Ercole Giammarco dedica questa guida molto pratica all'andare in bici. Dimostra che due ruote e otto tubi saldati sono la soluzione facile di molti problemi complicati, e che non occorre essere atleti o fanatici per approfittarne. Spiega nel dettaglio le idee e i trucchi per pedalare in ogni occasione della vita quotidiana, dà i consigli necessari per scegliere la bici più adatta all'uso che vogliamo farne, insegna a guidarla, a ripararla, a non farsela rubare, racconta gite fuoriporta con tutta la famiglia e grandi e piccoli progetti che (al costo di qualche chilometro d'autostrada) potrebbero rivoluzionare il modo in cui ci muoviamo in città e per turismo. E parla di bellezza, della tanta bellezza che c'è nel mondo, e che proprio pedalando arriviamo a riscoprire.
Il silenzio sta fuori del tempo, fuori dal suo gioco, lo prende in controtempo presentandosi in ogni momento del giorno, nascosto tra i rumori della nostra quotidianità. Oggi appare come dimensione sconosciuta, in ombra, ma forse sempre intimamente ricercata. Mario Brunello suona nei teatri e nei monasteri, sulle cime dolomitiche o nel deserto: tutti luoghi in cui il silenzio è il denominatore comune. In questo libro, suddiviso come una Sonata in quattro movimenti, l'autore si prende cura del silenzio: lo cerca, lo accoglie e lo abita, accompagnando il lettore a scoprirlo in un intreccio fra l'arte e il nostro vivere.
Nella storia tutte le forme di potere (clan, imperi, istituzioni religiose o politiche) si sono dotate di un corpo scelto di propri guardiani che ne garantiscono la difesa e la perpetuazione. Accade però che le finalità istituzionali cedano il passo a quelle di casta, che il prestigio guadagnato con la fedeltà di molti sia compromesso dai crimini di pochi, fattisi esperti di ricatto, corruzione, trame politiche e d'alcova. Tutti i "guardiani", militari e non militari - siano essi eunuchi, pretoriani, giannizzeri, carabinieri, hackers - hanno capito che per mantenere il controllo sul potere non è necessario assumerlo direttamente: basta infiltrarsi e brigare tra la sfera pubblica e quella privata, tra sicurezza interna ed esterna, governo centrale e amministrazione locale, ideologia e prassi, etica e abuso. Ma non è detto che funzioni per sempre.
Si levano voci che chiedono di emarginare gli antichi, per esempio a scuola. Sarebbe una amputazione sciocca. Lo studio degli antichi costituisce invece una potente risorsa per comprendere quel che ci accade intorno: il rapporto libertà-dipendenza, la lotta per la cittadinanza, la competenza come requisito della politica. Problemi oggi cruciali che già percorrevano le società antiche. Esse seppero affrontarli, talvolta scegliendo risposte non consolatorie.