Una vacanza speciale, il profumo della speranza che riporta la gioia di vivere. Agnese è una bambina piena di paure, chiusa, insicura e timida che si ritiene abbandonata dai suoi genitori, che l'hanno spedita con Caterina, una zia sbucata da chissà dove, in vacanza a Dogana, una fattoria sul mare. "L'estate di Agnese" è il racconto di questo incontro, la storia semplice di una vacanza insieme, capace di curare ferite e ridonare, ancora e di nuovo, il respiro della speranza.
La trasformazione di Delhi in una metropoli del ventunesimo secolo è una storia entusiasmante, a tratti terrificante. Il boom successivo all'apertura dell'economia indiana ha tuffato la città in un tumulto di distruzione e creazione: baraccopoli e mercati sono stati abbattuti, centri commerciali e condomini sono sorti dalle rovine, grandi fortune sono state guadagnate. Ma la trasformazione è stata spietata, brusca e iniqua, e ha generato sentimenti sconcertanti: la città trabocca di rabbia e ambizione. Si potrebbe raccontare questa metamorfosi con l'immagine di un vulcano che erutta: Delhi oggi è il risultato di questa eruzione, di un vulcano nel cui nucleo caldissimo si è fusa la vecchia India e da cui sono usciti, devastando l'ambiente e la storia, ma anche portando novità e cambiamento, getti di lava incandescente sotto forma di cambiamenti sociali, economici e culturali incredibili e destabilizzanti. Questa opera ci permette di vedere Delhi con gli occhi della sua gente e attraverso una serie di incontri, con miliardari e burocrati, spacciatori e commercianti di acciaio, abitanti delle baraccopoli e psicoanalisti, veniamo immersi nella storia della sua trasformazione capitalistica. Intrecciando oltre un secolo di storia con il suo viaggio personale, Dasgupta ci offre il primo ritratto letterario di una delle megalopoli più in rapida crescita del ventunesimo secolo.
Due giovani su tre affogano senza lavoro e la Regione Sicilia butta 15 milioni per 18 apprendisti fantasma. Ci sono treni che marciano a 14 km l'ora e i fondi Ue vanno a sagre, sale bingo e trattorie "da Ciccio". Quattrocento miliardi di fondi pubblici speciali spesi in mezzo secolo e il divario col Nord è maggiore che nel dopoguerra. I vittimisti neoborbonici ce l'hanno con tutti a partire da Ulisse e intanto il Meridione si fa sorpassare anche dalla regione bulgara di Sofia. Figurano più braccianti disoccupati a Locri che in tutta la Lombardia ma i soldi vanno ai mafiosi che incassano contributi anche sui terreni confiscati. La Calabria ricava in un anno da tutti i suoi beni culturali 27.046 euro ma i Bronzi di Riace restano per anni sdraiati nell'androne del Consiglio regionale. La Sicilia è la regina del Mediterraneo con 5 siti Unesco ma le Baleari hanno 11 volte più turisti e 14 volte più voli charter. Undici miliardi buttati per l'emergenza rifiuti ma la Campania muore di cancro e a Bagnoli sono avvelenati anche i parchi giochi. Municipalizzate che non girano al fisco le tasse trattenute ai dipendenti ma si prendono il lusso di non sfruttare patrimoni immobiliari enormi. Alti lamenti sugli investimenti esteri ma a Messina una procedura fallimentare si chiude in media dopo 25 anni. Sovrintendenze cieche davanti alla devastazione delle coste e vincoli paesaggistici sul pitosforo di un giardino privato...
Questo libro esplora il mutevole rapporto tra verità storica, finzione e menzogna attraverso una serie di casi. Contro la tendenza dello scetticismo postmoderno a sfumare il confine tra narrazioni di finzione e narrazioni storiche in nome dell'elemento costruttivo che le accomuna, il rapporto tra le une e le altre viene visto in questo libro come una contesa per la rappresentazione della realtà. Scavando dentro i testi, contro le intenzioni di chi li ha prodotti, si possono far emergere voci incontrollate: per esempio quelle delle donne o degli uomini che, nei processi di stregoneria, si sottraevano agli stereotipi suggeriti dai giudici. Nei romanzi medioevali si possono rintracciare testimonianze storiche involontarie su usi o costumi, isolando all'interno della finzione frammenti di verità: una scoperta che oggi ci sembra quasi banale, ma che aveva un suono paradossale quando verso la metà del Seicento, a Parigi, venne formulata per la prima volta esplicitamente. Realtà, immaginazione, falsificazione si contrappongono, s'intrecciano, si alimentano a vicenda. Gli storici, scriveva Aristotele, parlano di quello che è stato (del vero), i poeti di quello che avrebbe potuto essere (del possibile). Ma il vero è il punto d'arrivo, non un punto di partenza. Gli storici (e, in modo diverso, i poeti) fanno per mestiere qualcosa che è parte della vita di tutti. Districare l'intreccio di vero, finto e falso che è la trama del nostro stare al mondo.
Fino al Novecento il progresso economico mondiale era indagato quasi solo dal punto di vista della storia europea e delle sue appendici di successo (Stati Uniti); oggi, di fronte ai fenomeni di globalizzazione, nuove domande vengono rivolte alla storia. Perché non furono l'Asia o il mondo islamico a produrre la rivoluzione industriale? Nel descrivere le strutture portanti dello sviluppo europeo, il volume mostra come le peculiarità della civiltà europea sul piano delle istituzioni sociali ed economiche, e soprattutto su quello dei valori, hanno saputo innescare il progresso in quanto la competizione è stata giocata insieme alla giustizia sociale (diritti) e alla solidarietà (welfare).
Partendo dallo scenario tracciato nella XXX Lettura del Mulino sui cambiamenti, rapidi e tumultuosi, associati agli sviluppi della tecnologia in un mondo globalizzato, in questo volume Ignazio Visco discute tre temi di particolare attualità e rilevanza: la riforma della regolamentazione degli intermediari e dei mercati finanziari e l'enfasi sulla stabilità finanziaria dopo la "grande recessione"; la crisi dei debiti sovrani e le sue implicazioni per l'integrazione europea; il sistema produttivo e il ruolo dell'azione pubblica oggi in Italia. Il filo rosso che collega i diversi contributi, all'intersezione tra tendenze di lungo periodo e andamenti congiunturali, è la consapevolezza che la "grande trasformazione" in atto richiede interventi anche di natura strutturale da parte sia della politica economica sia della politica tout court, dentro e oltre i confini nazionali. Se non sappiamo, né possiamo, prevedere il futuro, dobbiamo però creare le condizioni per poterlo affrontare al meglio. Occorre quindi investire nelle infrastrutture materiali ma soprattutto in quelle immateriali, puntando sullo sviluppo delle conoscenze e competenze di tutti coloro che partecipano ai processi produttivi, aperti all'innovazione e al cambiamento. Bisogna poi riavvicinare la finanza alle esigenze dell'economia reale, con un'attenzione maggiore ai rischi per la stabilità finanziaria, e ricordare, infine, che le politiche europee e gli sforzi di riforma dei singoli paesi vanno accompagnati da un deciso...
La storia dell'umanità è costellata di avvenimenti in continuo mutamento e di punti di svolta epocali: i viaggi di Colombo, le novantacinque tesi di Lutero, l'invenzione della stampa, la Rivoluzione francese o lo scoppio della bomba atomica non sono che pochi esempi degli eventi che hanno marcato una discontinuità evidente rispetto al passato. Ma se dovessimo dire quale fra questi, - o quale secolo negli ultimi mille anni di storia -, sia stato più significativo degli altri, non avremmo modo di dare una risposta univoca e chiara. Come si misura, e cosa significa in definitiva il cambiamento nella storia? lan Mortimer si è dedicato alla risoluzione di queste domande, intrecciando mille storie con arguzia, competenza e grande smalto narrativo. Davvero Internet ci ha cambiato la vita più della penicillina? Il Rinascimento è stato più importante dell'invenzione dei bottoni? La peste nera ha causato più o meno vittime delle armi da fuoco? La capacità di rendere viva e palpabile la storia è la caratteristica di quest'opera, sia nel quadro immenso della "grande storia" - quella dei grandi imperi e dei grandi re - sia nel microcosmo della tranquilla "storia locale", dove le novità arrivano, magari in ritardo, ma arrivano e modificano la quotidianità di ogni singolo individuo.
Le epidemie da sempre suscitano nell'immaginario collettivo la paura della catastrofe imminente. Soprattutto quelle di origine virale. I virus, infatti, sono più imprevedibili e pericolosi di batteri e microbi, e per giunta non disponiamo per combatterli di un'arma come gli antibiotici, efficaci contro i batteri. Non restano che i vaccini, benché la loro preparazione non sia facile né la loro somministrazione immediata. E infatti le diverse agenzie sanitarie nazionali e internazionali lanciano continue campagne di invito alla vaccinazione e avvertenze sui comportamenti di prevenzione e profilassi, appoggiate e rilanciate dalla cassa di risonanza dei mezzi di comunicazione. Le cose però sono più complicate di quanto appaiano, e questo libro mette in luce proprio i punti caldi del problema. Dati recentissimi alla mano, prendendo in esame i casi dell'Aids e di Ebola, ma anche dell'influenza suina, della Sars e dell'aviaria, svela con grande lucidità i 'pasticci' creati dagli allarmismi drammatizzanti della comunicazione pubblica, quando non dagli interessi economici che muovono la produzione farmaceutica. E sfata molti luoghi comuni, primo fra tutti quello secondo il quale la globalizzazione ci ha ancor più indeboliti nei confronti delle epidemie rendendo più estesa la possibilità di contagio. Al contrario, la globalizzazione può essere una formidabile arma a nostra disposizione...
In un dialogo appassionato, Noam Chomsky e Andre Vltchek, osservatori acuti e partecipi di ciò che accade in ogni angolo del globo, affrontano senza pregiudizi i peggiori crimini compiuti dall'Occidente dal secondo dopoguerra a oggi. Muovendosi nelle diverse aree geopolitiche, dall'Europa orientale al Sudest asiatico all'Africa al Medio Oriente al Sudamerica, il grande studioso e il giornalista d'inchiesta svelano gli interessi dell'imperialismo che sempre si celano dietro a guerre, massacri, miseria. Ma se entrambi hanno dedicato la vita alla lotta, scontrandosi continuamente con la censura dei paesi "liberi", è perché sanno anche cogliere, nello scenario desolante del mondo governato dall'Occidente, motivi di rinnovamento e di speranza in un mondo finalmente libero dal terrore e dalle sue cause.
Il Nord-Est italiano: non solo motore economico e imprenditoriale del Paese, ma ultimo baluardo contro l'avanzata delle principali organizzazioni criminali, ormai da decenni partite alla conquista dell'intero Stivale. Sono in tanti a pensarla così, coltivando l'immagine dell'isola felice nonostante la crisi e le difficoltà crescenti. Eppure, la storia e le cronache giornalistiche parlerebbero di un paesaggio profondamente diverso. In effetti, la mala del Brenta di Felice Maniero - un gruppo capace di lavorare al fianco di Cosa nostra, e per il quale il reato di associazione mafiosa ha trovato la prima applicazione fuori dal Meridione - non ha rappresentato l'inizio né la fine della criminalità organizzata in Triveneto. Anzi. Anche lì la Piovra ha trovato terreno fertile, tra banditismo, case da gioco, industriali senza scrupoli, politici disonesti e boss al confino. Luana de Francisco, Ugo Dinello e Giampiero Rossi squarciano il velo di silenzio interessato che da troppo tempo lascia campo libero all'azione dei clan e dei loro alleati, raccontando senza tabù i loschi interessi che mafia e imprenditori locali condividono: dal riciclaggio di denaro sporco al pericoloso mal costume del "nero", dal traffico di droga e armi ai disastri ambientali, dall'infiltrazione nelle ditte appaltatrici di Fincantieri al business del tarocco.
Il vantaggio di ogni crisi, come quella che sta attraversando attualmente la società, è che "costringe a tornare alle domande; esige da noi risposte nuove o vecchie, purché scaturite da un esame diretto" (Hannah Arendt). È un invito ad aprirsi agli altri e a non irrigidirsi sulle proprie posizioni. È un'occasione di incontro e una circostanza preziosa anche per i cristiani, chiamati a verificare la capacità della fede di reggere davanti alle nuove sfide, chiamati a entrare senza timore in un dialogo a tutto campo nello spazio pubblico. "La bellezza disarmata" propone gli elementi essenziali della riflessione svolta da don Julián Carrón a partire dal 2005, anno della sua elezione a presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione dopo la scomparsa del fondatore, il Servo di Dio don Luigi Giussani, che nel 2004 lo aveva chiamato dalla Spagna per condividere con lui la responsabilità di guida del movimento. Gli scritti, nati in occasioni diverse, sono stati ampiamente rielaborati e ordinati dall'autore allo scopo di fornire organicamente i fattori di un percorso decennale, lungo il quale egli ha approfondito il contenuto della proposta cristiana nel solco di don Giussani, alla luce del magistero pontificio e in paragone col travaglio e le urgenze dell'uomo contemporaneo. Il volume intende offrire il contributo di una esperienza di vita a chiunque sia alla ricerca di ragioni adeguate per vivere e costruire spazi di libertà e di convivenza in una società pluralistica.
Chi sono gli oligarchi, sono loro il motore della storia? O la massa dei molti? È questo forse il dilemma principale per chi si cimenti nella ricerca storica. Per Luciano Canfora scrivere storia vuol dire lottare contro gli effetti del progressivo allontanamento dai fatti: in tale lotta "il pathos narrativo, la partecipazione emotiva, non il volgare patetismo, non sono un cascame del lavoro storiografico ma al contrario l'indizio della perdurante vita del passato dentro di noi". Compito dello storico è dunque quello di districarsi tra i documenti e le invenzioni letterarie, in bilico sul limitare di congetture che tentano di scrutare ciò che le fonti non dicono. In queste pagine l'autore interroga l'antichità a proposito di grandi questioni sempre vitali, se non addirittura pungenti, come la giustizia, la cittadinanza, la libertà, il falso: ricordandoci che l'aver avuto ragione "è esso stesso un elemento storico, cioè soggetto al mutamento".