Ci sono molti modi per viaggiare come ci sono molti viaggiatori. Cesare de Seta si definisce un "viaggiatore quasi sedentario", ma dietro questa sprezzatura salgariana si nasconde una straordinaria miscela di suole consumate e profonda conoscenza del mondo. Ed è proprio da questa miscela che emerge nitido il ritratto di tantissime città, raccontate non solo attraverso la loro arte e la loro architettura, ma attraverso il loro "volto". Sono città molto lontane o vicinissime, molto antiche o nuovissime, ma tutte hanno in comune i segni di una rapida trasformazione che ne sta stravolgendo i tratti. Negli ultimi decenni, infatti, il cambiamento ha raggiunto un'intensità e un ritmo mai conosciuti nei millenni precedenti. E oggi le città, prede dell'esperanto della modernizzazione, si assomigliano sempre più tra loro. Questo viaggio cerca di capire quale forma avrà il nostro paesaggio urbano. una volta attraversato dalle vie consolari e oggi da una rete invisibile che trasporta messaggi più che uomini. Ma senza le previsioni catastrofiche che ciclicamente e inutilmente si abbattono sulle nostre sorti. Perché di città continueremo a vivere e a morire ancora a lungo, e solo chi è in grado di capire dove sono le loro radici lontane saprà indovinarne il futuro.
Miss Flite è la vecchietta che in Bleak House di Dickens frequenta quotidianamente la Court of Chancery trascinandosi dietro una borsa con i suoi "documenti", nell'attesa di un "giorno del giudizio" che dovrà restituirle il patrimonio perduto a seguito di remote vicende giudiziarie - non tanto dissimili da quelle che attraversa anche oggi chiunque debba affrontare un tribunale, a qualunque latitudine. Dopo essersi occupato del processo per una vita come avvocato e come giurista, Bruno Cavallone ha pensato di rovistare fra le carte di Miss Flite con un occhio nuovo, quello del 'connoisseur' compiaciuto e sottilmente ironico. E avendoci trovato molte delle storie (di Rabelais, Shakespeare, Dickens, Lewis Carroll, Kafka, Durrenmatt e altri ancora) e delle immagini (dell'arte alta come di quella popolare) in cui quel gioco infinitamente complesso si è nel tempo rispecchiato, le ha usate per scrivere questo libro a suo modo unico, che ricorda i manuali dove si raccolgono le regole di giochi altrettanto nobili e antichi del processo, come il bridge o il cricket. Senza manuali, è noto, non si può giocare: ma chi legge queste pagine scoprirà che in alcuni casi il gioco - tremendamente serio - può essere il manuale stesso.
"Se la globalizzazione ha da prometterci qualcosa, qualcosa che possa spingerci ad accogliere a braccia aperte il caos che ne deriva, allora quel che ha da prometterci è questo: saremo più liberi di inventare noi stessi". Con tale dichiarazione di intenti si apre questa raccolta di articoli e brevi saggi di uno dei più provocatori e stimolanti narratori del nostro tempo. Ma nel mondo globalizzato abbiamo davvero la libertà di inventare noi stessi? Tutto sembra indicare il contrario, perché ogni pretesto è buono per imprigionarci in quelle "illusioni dilaganti, pericolose e potenti" che portano il nome di civiltà. Hamid lo chiama il giogo del depistaggio: "Ci viene detto di dimenticare le fonti del nostro disagio perché c'è in gioco qualcosa di più importante: il destino della nostra civiltà". E così finisce per sembrarci inevitabile che provare inutilmente a respingere l'immigrazione e a sigillare le frontiere sia più importante che porre rimedio al disordine economico e alle crescenti disparità sociali. Muovendosi fra i ricordi personali e la riflessione politica, fra la letteratura e la cronaca, Hamid guarda al mondo che ci circonda con gli occhi di uno scrittore cresciuto fra il Pakistan e gli Stati Uniti, vissuto a Londra e tornato di recente ad abitare a Lahore. E leggendolo noi scopriamo che forse è possibile liberarsi dal giogo del depistaggio, e "mettersi insieme per inventare un mondo post-civiltà, e quindi infinitamente più civile".
Cittadinanza attiva, stili di vita sostenibili, buone pratiche di gestione dei territori. Ma soprattutto "persone in carne e ossa, che sperimentano quel gioco complicato chiamato comunità". Sono i temi e i protagonisti della "rivoluzione che si fa uscendo di casa" (come scrive nella Prefazione Massimo Bray, ministro dei Beni e delle attività culturali nel governo Letta), della quale Marco Boschini ci racconta volti, storie, fatiche e successi. Questa pacifica rivolta prende avvio dalle "città disattese", dove la qualità della vita e le condizioni dell'ambiente sono degradate. Mette a fuoco le nostre responsabilità nell'esserci arresi a un'economia usa e getta. E racconta i tanti modelli virtuosi che si vanno creando e che rappresentano l'alternativa possibile. Boschini ne ha conosciuti alcuni in giro per il mondo, molti altri li ha trovati disseminati in una bella Italia che sta fiorendo. Sono piccole-grandi storie di comunità ribelli e costruttive, di asini e di alberi, di scuole e di stalle. Ce ne parla con entusiasmo per convincerci che l'indignazione non basta, "l'azione, invece, è concime fertile che fa crescere storie e futuro".
Quando mio babbo mi aveva consegnato il suo mondo, negli anni sessanta, mio babbo mi aveva consegnato un mondo che lui abitava, capiva, e che era mosso da regole che, in larga parte, condivideva, lo invece, che mi muovevo in un mondo dove i tifosi facevano gli autografi ai giocatori, dove i cani si chiamano Ansia, dove c'era chi votava le chiese su TripAdvisor e dove le antiche gelaterie erano state aperte sei mesi fa, e dove le librerie vendevano il vino e i panettoni, e dove di Dante si sapeva che gli piacevan le uova, e dove se c'era un fustino, era salvaspazio, io a mia figlia le stavo consegnando un mondo che non capivo tanto. Questo è un mondo, dicevo, dove io non so bene neanche dove andare a comprare i francobolli, e mi era venuto in mente un antropologo sardo che, qualche anno prima, aveva detto che la sua infanzia, lui era nato alla fine degli anni trenta, era più simile all'infanzia dei bambini dei nuraghi che all'infanzia dei bambini che nascono in Sardegna oggi.
L'obiettivo del terrorismo jihadista in Africa è quello di istituire un califfato nel continente nero sull'esempio di quanto fatto in Siria e in Iraq dall'lsis. Tra le formazioni protagoniste di questa avanzata, la più sanguinaria ed efferata è la setta nigeriana Boko Haram, che si è macchiata di uno dei più clamorosi misfatti recenti: il rapimento di quasi trecento ragazze a Chibok, un evento che ha scosso e mobilitato l'opinione pubblica mondiale. Ma Boko Haram è solo una parte di un fenomeno globale di cui fanno parte anche i somali di al-Shabaab - collegati con il terrorismo di al-Qaeda - e le molte formazioni del Maghreb responsabili dei recentissimi attacchi in Mali e in Burkina Faso. Ma perché proprio oggi questi eventi drammatici stanno squassando aree che mai prima erano state toccate dall'intolleranza confessionale e dall'odio religioso? La storia e l'analisi delle fonti di finanziamento e di reclutamento dimostrano che l'Africa è uno scenario aperto nel quale si giocano i prossimi equilibri geostrategici del pianeta.
La nascita dell’Euro è stata salutata in tutto il Vecchio Continente come il primo passo verso il superamento dei vecchi stati nazionali e la creazione di un nuovo ordinamento capace di creare pace e prosperità. Non è andata così. Paradossalmente, proprio la creazione di una moneta unica ha finito invece per accentuare le differenze di ordine strutturale esistenti fra i paesi dell’Eurozona. E ciò in seguito a una politica economica di rigida austerità, prevalsa a Bruxelles sotto l’egida della Germania e perseguita anche dopo l’esplosione nel 2008 della Grande Crisi provocata da un turbo capitalismo finanziario e speculativo. Parallelamente a questi fenomeni di declino economico e di degrado sociale sono venuti al pettine i nodi critici di ordine politico. Inoltre l’allargamento delle frontiere della Ue ha dato luogo a un groviglio di contrasti e di tensioni: non esiste una linea di condotta valida e omogenea né di fronte all’emergenza immigrazione, né in materia di politica estera e di sicurezza. Stiamo così assistendo a una crescente disaffezione verso la causa europeista, al ripristino delle frontiere interne, alla reviviscenza di forti istanze identitarie e nazionaliste, all’avanzata di un’estrema destra populista e xenofoba, al ritorno di una profonda cesura politica e normativa dei paesi dell’Est rispetto a quelli dell’Ovest. In pratica, mai come in questo momento è apparso così lampante lo scarso grado di coesione dell’Europa e, per contro, così evidenti e preoccupanti i sintomi di una sua pericolosa disgregazione.
Oggi essere creativi è la grande illusione di massa. Se si cerca la parola "creatività" su internet, il risultato sono quasi quindici milioni di siti, dalla cucina all'uncinetto, dal bricolage all'arredamento. Perché tutti vogliono essere creativi, è una mania. Amplificata dalla noia, dalla frustrazione e dai social network. Ma tutta questa creatività sta diventando conformismo della peggior specie, senza idee, immaginazione, coraggio e senso del futuro. Per questo il made in Italy è ormai un marchio buono solo per riempirsi la bocca: non c'è un architetto italiano che vada davvero forte a livello mondiale, ci vuole un cabarettista per far andare una volta l'anno la gente al cinema, le televisioni comprano format di successo stranieri, i pubblicitari devono premiarsi tra loro per vincere qualcosa, i dischi delle vecchie rock star vendono più dei giovani sfornati dai talent, le aziende che si nutrono di creatività e comunicazione sono stagnanti, recedono, oppure falliscono. Ma la buona notizia è che la creatività esiste, è sepolta da qualche parte in ognuno di noi: dobbiamo cercarla dall'altra parte del vento, delle mode, delle convenzioni. È coraggio, sofferenza, immaginazione, generosità e disciplina. Ed è legata in un abbraccio mortale con il fallimento. Questo libro ci mostra come si può abbandonare tutto e saltare nel vuoto. Come si può convivere con la paura di non farcela. Perché, come scrive Toscani, "a me piacciono le paure: sono emozioni oneste".
Oriana Fallaci odiava scrivere lettere perché le rubavano tempo prezioso al lavoro sui libri. Eppure nessuno più di lei ha legato il suo nome alla scrittura epistolare. Fin dagli esordi nel giornalismo ha tenuto una fitta corrispondenza pubblica e privata con i protagonisti della politica, della cultura, del giornalismo, da Andreotti a Nenni, da Ingrid Bergman a Shirley MacLaine, da Henry Kissinger a Fidel Castro. E ogni volta era capace di stilare tre, quattro o anche più minute, quasi sempre firmate, per immaginare cosa sarebbe apparso agli occhi del suo interlocutore una volta aperta la busta. Le minute venivano poi conservate per avere traccia dello scambio epistolare e, grazie allo straordinario lavoro di archiviazione delle sue carte private, è stato possibile scegliere fra le centinaia di lettere scritte ad amici e colleghi, alla famiglia e ai politici, quelle più significative per raccontare l'intera esistenza attraverso la sua viva voce. Sono missive ricche di aneddoti spassosi, riflessioni sulla politica italiana ed estera, sfoghi sulle difficoltà a sopportare il peso della distanza dagli affetti più cari. Un'occasione unica per osservare da vicino il talento di una donna ossessionata dalla scrittura e così sedotta dal suo lavoro da trasformare anche le lettere d'amore in capolavori letterari. Prefazione di Edoardo Perazzi.
2999: alla vigilia del capodanno che segna il passaggio al quarto millennio, il pianeta Terra pare essere il più gettonato come meta dei viaggi intergalattici. Recenti scavi archeologici hanno infatti riportato alla luce reperti che raccontano la vita dei terrestri all'inizio del millennio. Una civiltà oziosa, dedita all'introspezione, all'amicizia, all'amore, al gioco, alla bellezza e alla convivialità scopre così che i suoi antenati erano strani esseri interessati soltanto alla lotta per il potere, al denaro e al possesso di beni materiali. Quegli antenati siamo noi. Domenico De Masi adotta questa prospettiva fantascientifica per provocare il nostro sguardo. Allontanandosi nello spazio e nel tempo è più facile riflettere sulla direzione che vogliamo imprimere al nostro futuro. Con la forza delle sue analisi e la felice sintesi delle sue formule, l'autore ci racconta come siamo cambiati in questi ultimi anni pur essendo rimasti fedeli a stili di vita ormai superati, per dimostrare che esiste una prospettiva che ci può guidare fuori dallo smarrimento attuale. In poche parole, "Una semplice rivoluzione". Nuove rotte sono possibili, a condizione però di dotarsi dei giusti strumenti per navigare. La società postindustriale in cui siamo immersi è appena agli albori, è in fase ancora di assestamento, ma la sua apparente complessità non ci deve condannare alla rassegnata accettazione delle sue distorsioni.
Nel luglio 2014, mentre l'epidemia di ebola che ha colpito Liberia, Guinea e Sierra Leone preoccupa il mondo intero, Patrick Sawyer, un avvocato liberiano che sa di aver contratto il virus, atterra a Lagos, in Nigeria. Lì, con l'unico scopo di contagiare quante più persone possibile, riesce, mentendo e corrompendo medici e infermieri, a esportare il morbo in uno dei paesi più popolosi dell'Africa. Così, quello che all'inizio si configurava come un rischio grave ma controllabile, assume le sembianze di una tragedia potenzialmente devastante: diventa un "cigno nero" assoluto, un evento imprevisto e imprevedibile, capace di stravolgere nel profondo la realtà. Nella nostra vita non possiamo fare a meno di confrontarci con l'ignoto, tanto più oggi, visto il disordine che sembra dominare il mondo: dagli attentati terroristici alle crisi economiche, dalle catastrofi naturali ai venti di guerra, siamo circondati da potenziali "cigni neri" che minacciano la nostra stabilità, e ciò accade non solo a livello economico e politico, ma anche nel nostro microcosmo personale, per decisioni che riguardano la carriera o l'organizzazione delle prossime vacanze. Non possiamo pensare di poter controllare ogni singola variabile, e spesso percepiamo di essere in balìa del caso.
Figlia dei baby boomers e madre dei nativi digitali, quella degli anni Settanta è una generazione ammarata nel mezzo di due fondamentali cambiamenti paradigmatici, uno sociale e uno tecnologico, una generazione che ancora fatica a trovare una dimensione storica. Esiliati dai simboli ideologici e giunti ai linguaggi tecnologici come adulti con una lingua straniera, i quarantenni di oggi hanno mancato il tempo di ogni rivoluzione; ora abitano il proprio presente con la sensazione di non potervi davvero risiedere, infragiliti da un'instabilità che li costringe a immaginare mondi inespressi, ma senza dimenticare due urgenze primarie: sopravvivere e restare visibili. Ma quale mondo avremmo costruito se avessimo avuto la percezione di poterlo fare? Quali cose, col senno di mezzo di chi nasce mediano, avremmo voluto migliori? Quale cambiamento avremmo generato se non avessimo avuto la sensazione di essere arrivati cosí dopo o cosí prima di tutti gli altri? Un libro scritto con la convinzione ostinata che non ci siano colpe del passato né pesi del presente che esimano dal prenderci la responsabilità di sognare il futuro.