Generazioni di studiosi sono stati affascinati dagli esseni e sorpresi dalle affinità con il cristianesimo di questi "cristiani prima di cristo", il cui stile di vita è stato documentato solo dopo la scoperta dei rotoli del Mar Morto. Elia Benamozegh, importante rabbino italiano dell'Ottocento, vede negli esseni i predecessori della Quabbalah, la mistica ebraica, e nella loro storia una fonte ricchissima di elementi utili per spiegare l'origine del cristianesimo e la comunanza con l'ebraismo.
Riflettere sulle Scritture ebraiche è importante, anche nella prospettiva del dialogo, per più di un motivo. La nascente comunità cristiana, sin dai suoi inizi, decise di farle proprie, adottando a criterio interpretativo fondamentale la messianicità di Gesù. Inoltre il Primo Testamento è per il cristiano una testimonianza del Dio che si rivela, esattamente come il Nuovo Testamento: per la sua fede, i due Testamenti costituiscono un’unità che si completa a vicenda.
Sommario
Sigle e abbreviazioni. I. Un solo Libro, due eredi (B. Salvarani). II. Le prime comunità dei seguaci di Gesù. Uno sguardo antropologico e storico (A. Destro - M. Pesce). III. L’interpretazione ebraica della Scrittura (E.L. Bartolini De Angeli). IV. Una lettura cristiana delle Scritture di Israele. La complessa categoria di «compimento» (E. Castellucci).
Note sull'autore
Adriana Destro è docente di Antropologia culturale all’Università di Bologna
Mauro Pesce è stato fino al 2011 professore di Storia del cristianesimo all’Università di Bologna
Elena Lea Bartolini De Angeli è docente di Giudaismo ed Ermeneutica ebraica alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale
Erio Castellucci, teologo, è arcivescovo di Modena-Nonantola
Brunetto Salvarani è docente di Missiologia e Teologia del dialogo alla Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna.
Fino a non molti anni fa i diritti umani sembravano costituire l'orizzonte condiviso entro cui le differenti tradizioni religiose andavano progressivamente collocandosi. Oggi non è più così. Nelle parole di Christopher McCrudden "human rights have become a central site of normative contestation over the implications of modemity, with both sides claiming to interpret human rights in the 'right' way". Questo libro considera da un lato il contributo che ebraismo e cristianesimo hanno dato allo sviluppo dei diritti umani e dall'altro le sfide che questi ultimi, una volta affermatisi come diritti "secolari", hanno portato alla concezione dei diritti della persona propria di queste due religioni. L'indagine è svolta - oltre che sul piano giuridico - sul terreno storico, filosofico e teologico.
La lunga storia della comunità ebraica romana, la più numerosa e antica d'Italia, è segnata soprattutto dai rapporti con la maggioranza cristiana della Città Eterna: un'alternanza di fasi di inclusione ed esclusione, emarginazione e integrazione, con momenti di feroce discriminazione e persino sterminio. Le «leggi razziali» del 1938 e la deportazione ad Auschwitz di oltre 2000 ebrei romani ne costituiscono solo l'ultimo esempio. In questo libro Riccardo Calimani completa l'indagine sulla comunità ebraica romana, non limitandosi alle vicende otto-novecentesche già esplorate, ma andando alla ricerca delle origini, nei secoli, di quella relazione tra la minoranza giudaica e il resto della popolazione romana, spesso drammatica ma anche fertile di reciproco arricchimento culturale e spirituale. Dai consoli romani a Pio XII (a cui Riccardo Calimani dedica un'ampia e lucida analisi), passando per la nascita del cristianesimo, il lungo medioevo, le crociate, la fondazione del ghetto, i fulgori culturali del Rinascimento e l'oppressione controriformista, fino alla partecipazione degli ebrei al Risorgimento e alla Grande Guerra: è una storia avventurosa e, per molti aspetti, tormentata, ventidue secoli costellati di lotte per affermare il diritto alla propria identità e alla libertà e, in qualche caso, alla sopravvivenza. La speranza dell'autore è che questo racconto «sia fonte di ispirazione, affinché tutti i popoli, nessuno escluso, in ogni parte del mondo, sappiano trovare la via della concordia e della giustizia, e possano vivere insieme su questa terra, se non con gioia, almeno in pace fra loro».
Quattromila anni or sono
un popolo piccolissimo si
fece portavoce di una nuova tradizione religiosa: l’ebraismo. Nei millenni successivi, gli ebrei hanno assistito alla caduta e
alla nascita di molti imperi e
al sorgere di nuove tradizioni religiose. Essi hanno abitato
a contatto con molte società e culture e l’ebraismo stesso ne è stato in uenzato. Nonostante ciò, lungo i secoli, i suoi elementi portanti sono rimasti sempre gli stessi: in queste pagine Daniel Taub li espone con chiarezza e precisione.
"La Guerra giudaica", scritto prima in aramaico poi in greco, narra uno degli eventi più drammatici della storia universale, ambientato in quegli stessi luoghi in cui pochi decenni prima aveva predicato Gesù Cristo. La prima parte del libro è dedicata ai delitti che funestarono la famiglia di Erode. Ma il cuore dell'opera è la lotta del piccolo popolo ebreo contro le legioni di Vespasiano e di Tito: esempi di coraggio disperato, di straordinaria astuzia guerriera e di folle fanatismo rivoluzionario si susseguono davanti ai nostri occhi, fino al momento in cui il Tempio, simbolo della tradizione ebraica, viene avvolto dalle fiamme di un incendio inestinguibile. Un'appendice al testo propone i frammenti di un'antica versione russa della Guerra giudaica, dove appare la figura di Gesù Cristo.
Pur fra molte incertezze, la leggenda ci narra che Akiva ben Joseph nacque attorno all'anno 50 dell'era volgare, forse nella città di Lod, nell'odierna Israele, e morì martirizzato attorno al 135 per aver continuato a insegnare pubblicamente la Torah nonostante la proibizione delle autorità romane. Si dice che fece in modo di spirare prolungando la parola echad, «uno», che conclude la prima frase della preghiera ebraica Shemà: «Ascolta Israele, il Signore nostro Dio, il Signore è uno». Rabbi Akiva, tuttavia, è una storia prima ancora che un uomo, e questo libro non può dunque essere una biografia nel senso comune del termine. È piuttosto un affresco, che attraverso la figura dell'uomo più saggio e ammirato del Talmud, fotografa la cultura ebraica palestinese del i secolo, nel drammatico momento della sua riconversione da antica religione centralizzata - fondata sul Tempio e sulla casta sacerdotale - a moderna religione diffusa di «maestri» (l'etimo di rabbini), fondata sullo studio e l'interpretazione della Torah. Tanto più che di Akiva abbiamo solo riferimenti interni a quel mondo e nulla di lui ci è invece pervenuto da fonti non ebraiche. Nel Talmud - un'immensa opera letteraria, giuridica, filosofica e religiosa, composta tra il I e il V secolo - Akiva viene descritto come il «capo di tutti i saggi», l'uomo di umili origini che studiò la Legge in età già adulta, il commentatore arguto e inventivo, quasi sempre vincente nelle dispute tra saggi. È l'esempio da seguire, e come tale è considerato l'iniziatore del rabbinismo. A questo Akiva «canonico», Holtz aggiunge qui mille sfaccettature, in un testo denso e godibile, che ci restituisce il senso di un vero e proprio eroe della sapienza, una figura sulla quale si è costruito per diversi secoli l'esempio per eccellenza del buon maestro ebraico. Questo libro può essere letto come un'introduzione al Talmud. Holtz, infatti, analizza la vita di Rabbi Akiva con una metodologia che riflette i procedimenti che si trovano in quell'opera. Così, leggendo queste pagine potremo apprendere due cose: chi fosse Akiva e quanto importante sia ancora oggi la tradizione che ce ne ha tramandato le idee; e in che termini e con quale logica si affrontano i problemi nel Talmud.
Nel 70 d.C. Tito distrugge il Tempio di Gerusalemme radicalizzando gli animi delle comunità ebraiche di Antiochia, Cipro, Egitto e Cirenaica. Durante l’esilio gli scampati alla catastrofe coltivano la speranza, politica e messianica, di rientrare in terra d’Israele e ricostruire il santuario, in una sorta di nuovo Esodo.
In questo contesto, Traiano, dopo aver conquistato la Dacia, si prepara ad invadere l’Oriente ma ha bisogno del supporto delle comunità giudaiche fiorenti nell’impero partico. Per questa ragione concede loro un aiuto finanziario, autorizzando l’allestimento di una via presidiata per il ritorno in Giudea e di banche per finanziare la ricostruzione del Tempio. L’imperatore conquista cosí Armenia e Mesopotamia.
Tuttavia, l’operazione diplomatica scatena aspre ostilità fra gli ebrei e le popolazioni greche cittadine. Le comunità ebraiche dei territori appena conquistati insorgono e l’interludio di tolleranza cede presto il passo a una guerra sanguinosa e distruttiva le cui ricadute dureranno millenni.
Che cosa significa essere ebrei? Nel rispondere a questa domanda il volume ricostruisce la storia del popolo ebraico, della sua religione e della sua cultura. Una vicenda iniziata 2000 anni prima della nascita di Cristo con l'insediamento di una tribù semitica nella terra di Canaan. L'esperienza dell'esilio, la distruzione del tempio di Gerusalemme ad opera dei romani, la diaspora, l'Olocausto, le sfide attuali: momenti fondamentali di un percorso che gli autori seguono con acume ed empatia, organizzando il racconto sul doppio registro degli eventi storici e delle correnti di pensiero teologico e filosofico mettendoci così in contatto con una delle tradizioni culturali che più hanno impregnato la nostra civiltà.
Quattro dialoghi che invitano a riflettere sul senso della vita, un alternarsi di voci che difendono la propria idea su Dio, sul mondo e sulla libertà o meno dell'uomo. Si presenta così questo testo di Mendelsshn, pubblicato nel 1755 in pieno clima illuminista, che nasce dall'intento di intervenire sulla "questione spinoziana", di difendere i diritti della filosofia e di riabilitare quella tedesca dalle accuse francesi di astrattezza e pedanteria. L'autore celebra la capacità della metafisica tedesca di mostrare la verità delle idee di Dio, di Provvidenza e di anima.
In un mondo dominato dalla tecnica, che consuma il tempo per guadagnare spazio, il sabato rappresenta la rivincita del tempo sullo spazio e del sacro sul profano, l'occasione per deporre il giogo della fatica ed entrare in contatto con una dimensione che è presagio dell'eternità. Muovendo da una riflessione sul valore che questo giorno riveste nella cultura ebraica, Heschel affronta con straordinaria competenza teologica, filosofica e letteraria il tema del significato della festa nelle grandi tradizioni religiose. Ma "Il sabato" (1951) non è soltanto un classico della spiritualità del Novecento: è in primo luogo una meditazione offerta a tutti i lettori, credenti e non, sull'importanza di riscoprire il tempo come cuore dell'esistenza, un invito a coltivare l'arte del riposo come armonia tra il corpo e la mente, un'esortazione ad ascoltare il richiamo del trascendente per dissetare vite inaridite dalla frenesia, dal vaniloquio, dai falsi bisogni.
Cos’è l’anima? Come si manifesta? Com’è possibile sentire la sua flebile voce? Cosa le accade dopo la morte? Come influenza la nostra vita? E perché è importante compiere uno sforzo per prestarle ascolto? Lo scopo di questo libro è quello di evidenziarne natura e manifestazioni per stimolare riflessioni che conducano il lettore a un livello più alto, da cui sia possibile iniziare quel lungo e difficile cammino che impegna tutta la vita: essere in contatto con l’anima e averne cura.