In Francia, all'inizio degli anni '60 del secolo scorso, le opere di Heidegger erano ancora poco conosciute. Nel 1964, Jacques Derrida inaugura il suo insegnamento all'École normale supérieure con il corso, rimasto fino ad oggi inedito, interamente dedicato al pensatore tedesco: nove intensissime lezioni in cui il corpo a corpo con Heidegger si sviluppa soprattutto a partire dalle ampie parti di "Essere e tempo" che all'epoca non erano state ancora tradotte in francese. La lettura serrata e paziente compiuta da Derrida disvela, lezione dopo lezione, il progetto filosofico heideggeriano: non la fondazione di una nuova ontologia ma la sua «distruzione» (termine che, nel nuovo conio «decostruzione» che appare in questo corso per la prima volta, ha prodotto non pochi fraintendimenti dell'opera derridiana) in nome della critica radicale al concetto stesso di «fondazione». I lettori e gli studiosi di Derrida sanno che il confronto con l'opera di Heidegger attraversa come un filo rosso l'intera opera del filosofo algerino, ma in questo corso, per i vecchi come per i nuovi lettori, viene presentata per la prima volta la radice di tale confronto, anticipatrice di molte opere successive. La «questione dell'Essere» e la «Storia» vengono discusse nel corso di lezioni che affrontano spesso anche la traduzione del complesso lessico di Heidegger, e in questo caso cominciano ad affacciarsi termini come «scrittura», «testo», «innesto» che, al di là di Heidegger, svolgeranno un ruolo di fondamentale importanza nel cammino di pensiero di Derrida. Questo corso dedicato ad Heidegger rappresenta dunque, nello stesso tempo, uno spaccato della sua ricezione in Francia e la matrice di alcuni temi e motivi operativamente centrali nell'opera di Derrida: un confronto tra due cammini di pensiero radicalmente diversi ma ugualmente fondamentali per la filosofia del nostro tempo, in cui «la questione dell'Essere e la Storia» vengono attraversate da domande coraggiosamente nuove e oltremodo necessarie.
Se dicessimo: «Piovono gatti e cani», riusciremmo diffcilmente a farci capire dal nostro interlocutore. Eppure avremmo semplicemente tradotto alla lettera un modo di dire inglese che indica una pioggia abbondante. Quando si traduce, è fondamentale prestare attenzione non solo alla lettera ma anche al senso di ciò che si intende comunicare. Sbagli clamorosi nelle traduzioni hanno persino cambiato il corso della storia. Un esempio tra tutti è il bombardamento nucleare su Hiroshima, frutto dell'equivoco sulla parola giapponese mokusatsu. E che dire degli errori nel dispaccio prussiano di Ems (1870), nel trattato di Uccialli (fine Ottocento) o in quello dell'Ebro (fine III secolo a.C.), che portarono a guerre sanguinose e al crollo di imperi? O della svista di un ufficiale inglese che, nel 1944, indusse alla decisione di distruggere l'antica Abbazia di Montecassino? Sono innumerevoli gli esempi di come traduzioni eseguite con superficialità e ignoranza abbiano portato a sviluppi sconvolgenti, tali da imprimere agli eventi un corso differente: sono i casi in cui una sola parola ha cambiato la storia.
Ci sono molti romani e anche molti turisti che non si accontentano di ammirare i monumenti di Roma più importanti, che con la loro presenza maestosa sono i protagonisti indiscussi di qualunque itinerario. E che scelgono allora di addentrarsi nelle profondità cittadine: luoghi poco noti e affascinanti che alimentano la curiosità ma offrono anche risposte ad alcuni interrogativi su Roma: dove vivevano i romani? Dove pregavano i fedeli delle varie religioni? Come venivano seppelliti i morti? E come erano fatte le prigioni? Per scoprire la vera anima della città bisogna scendere nel sottosuolo della Capitale, dove la Roma antica, quella medievale e quella moderna si incontrano e si ricompongono come in un affascinante puzzle. Questo libro propone dieci itinerari che, partendo da Piazza Venezia, accompagnano il lettore fino alle pendici dei Castelli Romani o sulle sponde di Ostia antica, per fargli scoprire gli emozionanti misteri e i segreti della Città Eterna.
Gian Antonio Stella racconta la storia della disabilità, una storia di orrori, crimini, errori scientifici, incubi religiosi fino alla catastrofica illusione di perfezionare l’uomo e al genocidio nazista degli «esseri inutili», attraverso le vite di uomini e donne che hanno subìto di tutto.
Agli sgoccioli d’una vita davvero speciale, Stephen Hawking poteva muovere solo la palpebra dell’occhio destro ma continuava a fare conferenze e rinnovò fino all’ultimo la prenotazione per un volo nello spazio. Dodicimilacinquecento anni prima il suo avo preistorico «Romito 8», paralizzato per una brutta caduta, riuscì a vivere e a essere utile agli altri grazie a ciò che gli era rimasto di intatto: i denti. Lontanissimi nel tempo e nello spazio, li legava l’amore per la vita, la forza di volontà, la fantasia. È lunga la storia dei disabili. Segnata, da un capo all’altro del pianeta, da millenni di silenzi, mattanze, ferocia, abbandoni. Ma anche da vicende umane straordinarie. Di «deformi» acclamati imperatori come Claudio, narratori immensi anche se ciechi come Omero, raffinati calligrafi senza braccia come Thomas Schweicker, geniali pianisti nonostante la cecità e l’autismo come lo schiavo nero «Blind Tom», poliomielitici eletti quattro volte alla Casa Bianca come Franklin D. Roosevelt, artiste capaci di sfidare paure millenarie mostrando la propria disabilità come Frida Kahlo, giganti «nani» come Antonio Gramsci, Henri de Toulouse-Lautrec, Giacomo Leopardi… Ma più ancora milioni di anonimi figli d’un dio minore che sono riusciti in condizioni difficilissime a tirar fuori, per dirla con papa Francesco, «la scatoletta preziosa che avevano dentro». Gian Antonio Stella racconta la storia della disabilità, una storia di orrori, crimini, errori scientifici, incubi religiosi fino alla catastrofica illusione di perfezionare l’uomo e al genocidio nazista degli «esseri inutili», attraverso le vite di uomini e donne che hanno subìto di tutto resistendo come meglio potevano all’odio e al disprezzo fino a riuscire piano piano a cambiare il mondo. Almeno un po’.
Dopo una ampia introduzione che ripercorre la storia personale, politica e istituzionale di Sergio Mattarella, e i suoi intrecci con la storia della Repubblica, "Il Presidente" propone una selezione dei suoi interventi, con una particolare attenzione alle "lezioni di democrazia" rivolte ai più giovani. Ne risulta un elogio della bella politica, un vocabolario che si declina seguendo il dettato costituzionale. La cultura, l'Europa, le migrazioni, la Resistenza, la lotta alla mafia, l'esercizio della memoria, la Costituzione: tutte parole chiave della sua esperienza al Colle. Schivo e riservato, dalle parole misurate e sempre attente, il Presidente Sergio Mattarella rappresenta una figura-antidoto rispetto alle derive della politica attuale. Un riferimento al di sopra delle parti, dalla parte della Repubblica.
Peppo è un gatto, nato e cresciuto ad Aleppo, in Siria, durante la guerra. Attraverso le sue parole ripercorreremo la fantastica storia del gattile di Aleppo - una storia vera, raccontata dai principali media internazionali e nazionali. Mohammad, il padrone di Peppo, ha aperto questo gattile in memoria di un gatto "italiano", Ernesto, e qui ha dato rifugio, oltre a innumerevoli gatti, a decine di animali (anche una gallina!). Il gattile di Aleppo, grazie a una straordinaria mobilitazione social, ha ricevuto e riceve tuttora considerevoli donazioni che gli hanno permesso di soccorrere e aiutare animali e umani: una bellissima storia di solidarietà raccolta in un albo illustrato per bambini. Età di lettura: da 7 anni.
Nadia Toffa (Brescia, 1979- 2019), inviata e conduttrice della trasmissione Le Iene, per anni ha condotto inchieste coraggiose su temi difficili e scabrosi, senza mai tirarsi indietro. Dal 2017 lottava con il cancro non nascondendo la malattia, anzi raccontandola come "occasione di rinascita" e motivo di speranza, infondendo coraggio a tutti.
Il libro intende analizzare le etiche del care prendendo in considerazione la loro strutturazione in quanto teorie morali e mettendo a fuoco i principali argomenti addotti a loro supporto. Le etiche del care vengono così dibattute dal punto di vista dei fondamentali settori della metaetica (soprattutto la psicologia e l'epistemologia morale), dell'etica normativa e dell'antropologia che è in qualche modo presupposta. Questa analisi propone anche un confronto con i principali avversari teorici delle etiche del care, definibili globalmente come etiche della giustizia, con lo scopo di mostrare pregi e difetti tanto delle prime quanto delle seconde. Infine, largo spazio è lasciato allo studio delle conseguenze pratiche e dei comportamenti che si ispirano alle etiche del care.
Le scienze cognitive e le neuroscienze inaugurano un settore di ricerca nelle scienze delle religioni? Che tipo di comprensione hanno e possono avere del fenomeno religioso? Quali sono le affinità e differenze nel meto- do sperimentale - e nei risultati empirici - rispetto alle scienze umane? Evitando contrapposizioni e assumendo la prospettiva dei cognitivisti per fare chiarezza sul loro metodo nello studio del "sacro" - più di quanto loro stessi abbiano compiuto finora - 1'autore, in prospettiva fenomenologica, cerca di descrivere e confrontare le diverse modalità di ricerca, senza stabilire un ordine gerarchico tra gli esiti ma limitandosi a osserva- re elementi comuni e categorie ricorrenti.
Quando non cade in una deriva del tutto naturalistica, incapace di dar conto della trascendenza, anche lo studio della mente può servire a com- prendere il manifestarsi del sacro nell'uomo, e svela inaspettate assonanze con quell'apriori religioso vissuto ed esperito - di Rudolf Otto, cui l'intero arco della storia e delle scienze della religione novecentesca più o meno velatamente rinvia. Assonanze che invitano ancora a riflettere e in più modi - sull'esperienza religiosa.
Caro lettore,
mentre leggi queste pagine, un vento leggero sta accarezzando i rami frondosi di un pesco. Perché non ti stai rinfrescando alla sua ombra? E perché rimandi da settimane la telefonata che vorresti fare a un amico lontano? Perché non ti concedi abbastanza spesso una notte di follia, o una lunga camminata solitaria? La risposta, probabilmente, è che sei troppo immerso nel tempo quotidiano: fai sempre le stesse cose, percorri sempre le stesse strade, dai troppa importanza a problemi che non meritano davvero la tua attenzione.
Non preoccuparti, non sentirti giudicato, sei in buona compagnia. Questo manuale (cioè io) nasce dal desiderio di esplorare insieme a te alcune delle infinite dimensioni temporali che lottano con la quotidianità per avere la tua attenzione. In un certo senso, io sono l’esatto opposto di un’agenda. Se mi porterai sempre con te, utilizzandomi un po’ alla volta e senza badare alla sequenza delle pagine (fin troppo simile alla sequenza dei giorni di un calendario), scoprirai cose inaudite sul tempo: che le tue dita sono eterne e immutabili; che un sasso ha mille cose da raccontare; che ieri sera, mentre dormivi, qualcuno ti ha lasciato uno strano messaggio; che mille misteriose personalità convivono in te nello stesso istante.
Ti devo avvertire che seguendo le mie istruzioni perderai molto tempo e rischierai spesso di sporcarti le mani; a volte ti capiterà di rovistare nelle cianfrusaglie che hai stipato nei cassetti, e potrebbe prenderti una leggera malinconia riguardando le tue vecchie foto.
Sono sicuro che ne varrà la pena.
Con affetto,
il tuo manuale
Come i suoi lettori ben sanno, il tratto che accomunava le varie facce di quella personalità unica che è stato Oliver Sacks era la passione. Una passione destinata ancora una volta a contagiarci, giacché in questo libro ritroveremo tutta la vitalità dell’uomo curioso, l’acutezza dello scienziato, l’empatia del medico, la brillantezza dello scrittore. Risaliremo, sul filo dei ricordi, alla genesi di tante sue inclinazioni: quella per il nuoto, trasmessa dal padre; quella per la storia naturale, maturata nel corso delle visite al Museo di Storia naturale a South Kensington; quella per le biblioteche, innescata dagli scaffali del salotto di casa. Ammireremo la sua non comune capacità di auscultare le neuropatologie e le psicopatologie come fossero irruzioni di antropologie aliene, dalla « figura di cera » congelata nell’immobilità per un « coma ipotiroideo » ad alterazioni percettive quali gli « arti fantasma », dai sintomi terribili dell’encefalite letargica ai più eccentrici disturbi della cognizione o dell’umore. Rimarremo colpiti dalla molteplicità di temi e interessi coltivati in un’esistenza fatta di molte esistenze sovrapposte, dalla vita extraterrestre alle varietà zoologiche – elefanti, oranghi, pesci – ai giardini e agli orti botanici. E ancora una volta ci faremo trascinare da quella voce perturbante e partecipe, ironica e intensa che connotava – « non importa se nella contemplazione di un’opera d’arte, di una teoria scientifica, d’un tramonto o del volto di una persona amata » – la sua inesauribile voracità conoscitiva.
Il 3 ottobre del 1996 l’Accademia di Svezia comunica a Wislawa Szymborska che le è stato assegnato il premio Nobel. Da quel momento, lei così schiva, è costantemente sollecitata: arrivano lettere, telegrammi, manoscritti, richieste e proposte spesso del tutto incongrue. Il telefono squilla anche di notte. Si impone il supporto di un segretario. Quando Michal Rusinek, neolaureato ventiquattrenne, si presenta in casa sua, la trova sgomenta. «Allora» racconta «chiesi cortesemente un paio di forbici e tagliai il cavo. Il telefono smise di squillare. La Szymborska esclamò: “Geniale!”. E fu così che venni assunto». Le resterà accanto per più di quindici anni. In questo libro – basato su ricordi di prima mano – Rusinek getta un fascio di luce su aspetti della grande poetessa rimasti finora in ombra: le sue a volte stravaganti passioni (per i limerick e per il Kentucky Fried Chicken, per Vermeer e per gli oggetti kitsch, per Woody Allen e per Il Circolo Pickwick – e soprattutto per le sigarette); il suo bisogno di solitudine; il modo in cui nascevano le sue poesie («Sosteneva che l’utensile più importante nella casa di un poeta fosse il cestino della cartastraccia») e quello in cui creava i suoi collage; i suoi (complessi) rapporti con l’altro grande premio Nobel polacco, Czeslaw Milosz; i rituali della scrittura e quelli che precedevano qualunque spostamento. Ma inanella anche decine di aneddoti esilaranti, di battute fulminanti e di osservazioni acuminate, in cui ritroviamo l’esprit settecentesco, la sottile ironia e la capacità di stupirsi di una delle poetesse più fervidamente amate dai lettori di tutto il mondo.