In questo libro la Ciociaria, provincia 'bianca' per antonomasia e da sempre legata a doppio filo con la DC più filo-vaticana, è presa in esame dalla Resistenza fino alla fine degli anni Settanta. In particolar modo si indaga il radicamento dei partiti nella società locale dal momento in cui il Frusinate rientra nel piano di trasformazioni socio-economiche innescate dalla Cassa del Mezzogiorno. Tommaso Baris studia i cambiamenti del quadro politico locale collegandoli alle scelte nazionali che vengono fatte in tema di sviluppo dell'Italia meridionale per capire in che modo quelle decisioni sono state poi usate localmente come strumenti di creazione del consenso elettorale. Al centro della ricerca è la Democrazia cristiana, primo partito grazie soprattutto al ruolo di Giulio Andreotti e della sua corrente. Il campione della destra DC a livello nazionale è stato infatti promotore in Ciociaria, suo feudo elettorale sin dal 1948, di una politica di forte intervento pubblico. Gli andreottiani vincendo la guerra interna con le altre correnti dello scudo-crociato e quella esterna con le sinistre e il Pci, propongono in Ciociaria una sorta di 'modernizzazione tradizionalista', in cui l'avvento dell'industria fordista e della società dei consumi, simboleggiati dalla costruzione nel 1972 di un importante stabilimento della Fiat nel Cassinate, si accompagnano al mantenimento dei valori tipici di una società agricola e legata all'universo religioso.
"A questo punto non avevo scelta. O rassegnarmi a diventare il megafono di Berlusconi. 0 andarmene. Me ne vado." Questo scriveva Indro Montanelli nel suo ultimo articolo per "il Giornale". Così, nel gennaio 1994, l'uomo che vent'anni prima aveva fondato quella testata lasciò la poltrona da direttore per imbarcarsi nella sua ultima grande battaglia: quella contro una destra nella quale non si riconosceva e che, a suo parere, era il nemico numero uno di chiunque avesse a cuore la libertà d'espressione. Questo libro raccoglie in modo organico gli interventi più accesi degli ultimi anni d'attività di Montanelli: editoriali, risposte ai lettori e articoli sferzanti che oggi suonano come una profezia della cronaca dei nostri giorni. Basta leggere cosa scriveva nel 1998, quando, preoccupato che il caso Berlusconi paralizzasse il Paese, proponeva un referendum con questa formula: "Volete voi l'abrogazione dei reati in base ai quali è stato condannato l'on. Silvio Berlusconi?" 0 ancora quando metteva alla berlina i difetti del Cavaliere: bugiardo congenito, con un'innata tendenza al vittimismo, circondato da un drappello di parassiti servili, eccessivo, ignorante, volgare. La metastasi del berlusconismo oggi è più evidente di allora e, anche se Indro non c'è più da dieci anni, questo suo atto d'accusa delinea il ritratto dell'Italia dei nostri giorni, un Paese che Montanelli non ha fatto in tempo a vedere, ma che si era perfettamente immaginato. Prefazione di Massimo Fini.
L'ultima sconfitta della destra alle amministrative 2011 apre scenari di speranza ma non definiti. Se è certo che, prima o poi, l'era di Berlusconi finirà, potrà continuare, in altre forme, il berlusconismo. Le forze della sinistra, e democratiche in generale, hanno un'enorme responsabilità. Goffredo Bettini, protagonista della nascita dell'avventura del Pd, riflette sulla definitiva crisi dei partiti, sulle possibili soluzioni e scenari futuri, non risparmiando critiche e analizzando gli errori commessi, ma mettendo in evidenza la carica positiva e propositiva emersa dall'ultimo confronto elettorale. Per farla divenire azione concreta bisogna dare delle risposte a quelle domande che Bettini individua come decisive: "Perché tante difficoltà a unire veramente in un solo pensiero tutti i democratici: laici, socialisti, cattolici, ex comunisti? Cosa non convince nel nucleo vitale del nostro messaggio?". Un campo unitario, largo, mobile al suo interno, privo di steccati partitici o ideologici, collaborativo e solidale, esiste già e si è ritrovato nei valori democratici di fondo riemersi in opposizione all'aggressività della destra. Si tratta di raccoglierne la sfida e renderlo efficace in direzione di un rinnovamento culturale e politico del Paese. Se nessuno può vantare rimedi certi e miracolosi, il libro vuole essere un contributo per recuperare un linguaggio e una politica reali e risollevare le sorti dell'Italia.
Alla fine degli anni ottanta, quando gli elettori lombardi sanzionano l'arroganza e la corruzione della classe politica votando per la Lega Nord, si fanno sedurre dall'intemperanza anche lessicale di Umberto Bossi. La sua "idiozia" politica, le maschere che di volta in volta indossa diventano la chiave del suo successo. Il suo stile verbale rievoca il buffone della tradizione medievale, non rispettando niente e nessuno, e deridendo a più riprese le istituzioni. Con lui la pratica politica smarrisce ogni riferimento di senso, diventando una giravolta di annunci, minacce, promesse e intenzioni, in una parola "spettacolo". Il suo linguaggio e le sue maniere rimandano ai personaggi della Commedia dell'arte: il politico Bossi si trasfigura nella maschera Bossi. Come emerge da questo approccio etnografico, la Lega Nord non si limita a rappresentare le maschere più profonde dell'immaginario collettivo attraverso l'invenzione di un linguaggio tutto "suo", ma ha campo libero per fare politica nel senso più classico del termine, cioè creando miti. La Lega si dimostra più gramsciana della sinistra, conquistando l'egemonia culturale e investendo in modo ramificato tutti i settori della società. La semplicità lessicale, popolare e dialettale agìta contro l'arroganza delle classi colte e urbane si trasforma nel suo contrario: l'arroganza della semplicità. Prefazione di Gad Lerner.
Fratelli d'Italia... ma sarà poi vero? Perché, festeggiati i centocin-quant'anni dall'Unità d'Italia, il conflitto fra Nord e Sud pare aver superato il livello di guardia. Per Pino Aprile, pugliese doc, la storia di oggi è ancora quella di ieri. Ripercorrendo gli eventi di quella che per alcuni fu conquista, per altri liberazione, l'autore porta alla luce una serie di fatti, volutamente rimossi nella retorica dell'unificazione, che aprono una nuova, sconvolgente finestra sulla facciata del trionfalismo nazionalistico.
Dopo l'acuta crisi economica del 2001 l'Argentina si è stabilizzata e, forte di un nuovo periodo di crescita, è oggi una delle nazioni più sviluppate dell'America Latina. Attualmente repubblica democratica federale con circa 40 milioni di abitanti, è stata teatro di vicende politiche che hanno avuto rilievo ed eco internazionali. Terra di forte immigrazione, dal 1946 al 1955 ha visto l'affermarsi del movimento peronista, singolare al punto da divenire una variante di scuola dei modelli autoritari. Vent'anni di tensioni politiche condussero poi nel 1974 al golpe del generale Videla. Sotto la dittatura, durata fino al 1983, anno della sconfitta nella guerra per le Falkland, le opposizioni vennero represse con metodi che la storia chiamerà "Guerra sporca": circa 30.000 furono le persone torturate, uccise o disperse nell'Oceano. Sono i desaparecidos, una ferita profonda ancora viva. L'Argentina, a differenza del Cile e del Sudafrica, non ha percorso infatti la strada del perdono e dell'amnistia e molti processi sono ancora in corso.
È possibile parlare di berlusconismo come di un oggetto di riflessione scientifica e, insieme, politica? E, se sì, che cosa lo contraddistingue, quali sono le sue radici storiche e le sue conseguenze nella società italiana contemporanea? E, infine: è possibile pensare un'alternativa? Rispondono a queste domande Paul Ginsborg, Marco Revelli, Marco Travaglio, Antonio Gibelli, Francesco Garibaldo e altri studiosi di storia, antropologia, diritto, scienza politica, firme importanti del giornalismo italiano e figure della società civile. Tutti, seppur da visuali diverse, sottolineano i nessi profondi del berlusconismo con le dinamiche proprie del neoliberismo e dell'evoluzione delle classi sociali, in particolare l'odierna crisi dei ceti medi, del lavoro operaio e gli inediti, inquietanti contorni assunti dalla povertà. Ma anche le radicali trasformazioni culturali connesse con il fenomeno della televisione commerciale, lo stato di soggezione della stampa e dell'informazione, la pesante eredità di una mancata riforma dell'amministrazione pubblica e quella di una longeva gestione corrotta del denaro pubblico e delle imprese private, i nodi irrisolti della parità di genere e dell'equità sociale sono alla base di questo fenomeno politico, culturale e sociale.
In politica le istituzioni assumono spesso l'impronta di chi le rappresenta. Questo è tanto più vero per la Presidenza della Repubblica così come è regolata nella Costituzione italiana. Il ruolo che i costituenti assegnarono al capo dello Stato nel nuovo sistema politico non è privo nella sua indeterminatezza di qualche ambiguità, ma proprio grazie a essa chi è stato investito dell'alta carica ha potuto esercitarla secondo la sua interpretazione della necessità degli interessi talvolta mutevoli del paese. In questo volume, un'analisi approfondita delle personalità di coloro che sono stati chiamati di volta in volta a occupare la massima carica dello Stato e della loro attività nell'arco dei rispettivi mandati, ma anche un'indagine e una riflessione sulle forze e sulle istituzioni che sono state o sono al centro delle vicende politiche del paese, giudicate dall'angolo visuale del Quirinale. Attraverso documenti d'archivio spesso inediti, memoriali e testimonianze dei protagonisti si ripercorrono tutte le tappe salienti delle varie presidenze: dalle "prediche inutili" di Einaudi agli anni di Gronchi e della crisi Tambroni; dal "mandato breve" di Segni e dai retroscena del "piano Solo" alle clamorose dimissioni di Leone; dalle esternazioni irrituali di Pertini ai misteri del settennato di Cossiga; dalle aspre polemiche degli anni di Scalfaro fino al delicato e complesso settennato di Napolitano.
Un capitalismo corporativo e in cerca di protezioni è sempre l'altra faccia della medaglia di uno stato dirigista, opprimente e inefficiente. La combinazione di questi due fattori è la causa principale della scarsa crescita dell'economia italiana. Da Ministro per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione, Renato Brunetta ha quindi sviluppato un preciso disegno di politica economica che vede nella riforma delle istituzioni e dello stato, nel suo concreto agire attraverso la pubblica amministrazione, la condizione necessaria per rompere le strutture corporative che frenano la nostra capacità di competere efficacemente sui mercati interni e internazionali. Gli articoli che compongono questo volume testimoniano il percorso attraverso il quale si è articolata in questi tre anni la sua azione di governo: le battaglie per la riduzione della spesa pubblica, l'avvio di riforme a costo zero, gli scontri con i condizionamenti internazionali e con le antiche incrostazioni nazionali che vincolavano la politica economica, gli attacchi frontali, le strategie messe in atto e gli strumenti per realizzarle.
In Italia è attiva la Laogai Research Foundation Italia che collabora con l’omonima associazione di Washington con la quale condivide gli obiettivi e gli scopi. La Laogai Research Foundation Italia è impegnata in una campagna di informazione sui laogai, i campi di concentramento, dove sono costretti al lavoro forzato diversi milioni di persone a vantaggio economico del regime comunista cinese. Nei Laogai spariscono, con i criminali comuni, sacerdoti e vescovi cattolici, monaci tibetani, religiosi di ogni confessione, uomini, donne, bambini, oppositori politici, figure invisibili, condannate con iniqui processi. Il loro lavoro è a costo zero. La Laogai Research Foundation Italia organizza mostre fotografiche, conferenze stampa e convegni per sensibilizzare i mass media e le autorità politiche italiane ai laogai e alla continua violazione dei diritti umani nella Cina comunista, come le esecuzioni pubbliche di massa, la vendita degli organi dei condannati a morte e la criminale politica del figlio unico. La sua azione è stata determinante per l’approvazione di tre risoluzioni di condanna del sistema carcerario cinese nell’ottobre 2007 da parte del Parlamento italiano. Attualmente si batte contro la piaga del lavoro forzato dei laogai e dei laboratori clandestini in Italia. A questo scopo è stata presentata in Parlamento una proposta di legge bi’partisan contro l’importazione ed il traffico dei prodotti del lavoro forzato.
All'alba dell'11 settembre gli americani aprono gli occhi su un mondo che dominavano e nel quale si sentivano perfettamente sicuri. Subito dopo, l'apocalisse su New York e Washington. Lucio Caracciolo non indulge nella tentazione di classificare quel giorno come l'ora zero di una nuova epoca. "Non vogliamo indagare le modalità di quella tragedia, la cui meccanica non verrà mai concordemente chiarita. Né ci appassionano le diatribe fra complottisti e custodi delle verità ufficiali. Ai fini della nostra analisi, non è importante stabilire quali e quanti individui abbiano pianificato l'attacco all'America, né quali fossero le loro intenzioni. Molto più ci interessano le conseguenze di quelle intenzioni. Non ci interessa stabilire com'è scoccata la scintilla di quel corto circuito. Cerchiamo semmai di capire perché abbia provocato così devastanti incendi, nei quali sono bruciate alcune fra le certezze più care all'America e all'Occidente ancora inebriato dal trionfo sull'Unione Sovietica. Senza pretendere di allestire scenari futuribili che la cronaca s'incaricherebbe di demolire. Alla fine del nostro breve viaggio, scopriremo che l'11 settembre è stato meno rilevante di quanto all'epoca credessimo e di quanto molti tuttora inclinano a ritenere. Soprattutto, molto meno imprevedibile. Non un'assurda curvatura della storia, un lampo diabolico nel cielo a stelle e strisce. Semmai, una fase nuova nella parabola geopolitica aperta nel biennio 1989-91 dal crollo dell'impero..."
II tratto più caratteristico del dibattito pubblico dell'ultimo trentennio è stata la tendenza a una progressiva spoliticizzazione. Un processo che ha investito tanto il piano dei fatti, delle strutture sociali e istituzionali, quanto quello delle teorie e delle narrazioni. Cause e sintomi non mancano: la progressiva demolizione di tutto ciò che è pubblico; lo sdoganamento del qualunquismo più becero; l'inaridimento delle radici della vita democratica, delle sue precondizioni, che ha trasformato la sfera pubblica in fiction, il popolo in 'pubblico'; la sempre più frequente abdicazione delle istituzioni agli interessi e alla legge del più forte; la paura del conflitto e la criminalizzazione del dissenso (anche il più democratico e legalitario); la colpevole chiusura della politica tradizionale in una logica separata e autoreferenziale da piccoli apparati; la fuga degli intellettuali nel formalismo o nel cinismo. Un processo che si è potuto affermare perché preparato e accompagnato culturalmente. La crisi delle ideologie novecentesche ha infatti alimentato una serie di luoghi comuni (ideologici): che la politica non dovesse più proporre grandi idee né occuparsi della costruzione delle identità; che l'azione politica si riducesse essenzialmente a tecnica, nella migliore delle ipotesi a buona amministrazione; che la stessa dimensione politica in quanto tale fosse in qualche modo esaurita, e con essa le speranze e le ambizioni connesse al progetto moderno....