Siamo il paese della libertà fragile. Le libere repubbliche del tardo Medio Evo non hanno saputo proteggersi dalla tirannide e dal dominio straniero; lo Stato liberale nato dal Risorgimento nel 1861 è stato distrutto cinquant'anni dopo dal fascismo; la Repubblica democratica nata il 2 giugno 1946 è degenerata nel sistema berlusconiano. Perché tutto ciò è accaduto e accade? Perché in tutte queste occasioni sono mancati gli oppositori determinati a combattere con tutte le forze contro queste tirannie, qualunque forma abbiano assunto, e perché in troppi sono disposti ad aprire loro le porte e a cedere il passo. La libertà italiana è sempre stata fragile perché troppo pochi sanno essere intransigenti.
Il volume contiene un gruppo di saggi, scritti da autori latino-americani, dedicati alla figura di Antonio Gramsci: si tratta della prima antologia che offre, al lettore italiano, una scelta di testi rappresentativi della ricerca gramsciana sviluppatasi in anni recenti in America centrale e meridionale. Questa area del mondo ha infatti ormai assunto, per gli studi su Gramsci, una posizione di primo rilievo nel quadro della vasta bibliografia contemporanea: l'interesse per il politico italiano prese l'avvio già negli anni Sessanta, ma si intensificò notevolmente durante gli anni delle dittature militari, sino a conoscere una grande fioritura con il ritorno della democrazia nel continente. Oggi si dedica a Gramsci una vasta comunità scientifica latino-americana, che ha avuto un ruolo non marginale nella formazione delle culture politiche protagoniste dell'attuale rivoluzione democratica. Il volume è stato allestito assieme ad alcuni tra i maggiori specialisti latinoamericani di Gramsci, ai quali è anche affidata l'introduzione delle quattro sezioni in cui si divide, dedicate rispettivamente all'Argentina, al Brasile, al Cile e al Messico.
Un fatto è certo: la crisi che stiamo vivendo non nasce dal nulla, ma è stata causata da decenni di scelte irresponsabili in cui si è lasciato che il mercato finanziario divorasse nel nome del profitto il benessere delle nazioni e i risparmi dei cittadini. In questo saggio Giulio Tremonti denuncia i colpevoli di questa letale degenerazione dell'economia e spiega le misure da prendere al più presto per salvare l'Italia dal fallimento: ristabilire il primato delle regole sull'anarchia finanziaria; separare l'attività produttiva dall'attività speculativa; imporre trasparenza ed equilibrio ai rapporti tra politica e mercato; e soprattutto pensare a investimenti pubblici mirati al bene comune e al rilancio dell'economia reale. Perché è solo così, riportando lo Stato sopra la finanza e l'ordine al posto del caos, che troveremo la traccia per raggiungere insieme l'uscita di sicurezza da questo meccanismo speculativo di cui siamo prigionieri.
I partiti sono strumenti indispensabili alla democrazia. Quando diventano ostacoli al libero svolgimento della vita democratica, come accade in Italia, significa che qualcosa non funziona. I finanziamento pubblico ai partiti italiani - chiamato "rimborso delle spese elettorali" per aggirare il referendum abrogativo del 1993 e la tagliola della Corte Costituzionale - è il più elevato d'Europa. Le oligarchie politiche si alimentano di enormi quantità di denaro pubblico che percepiscono e gestiscono senza controlli. I fondi elettorali - che per legge devono andare ai partiti - possono, ad esempio, essere riscossi per conto del partito da associazioni controllate da poche persone o dirottati altrove senza che nessuno abbia qualcosa da eccepire. Questi sistemi di potere sono tanto più odiosi dato che si tratta di soldi che dovrebbero incrementare la partecipazione democratica e che, di fatto, ottengono l'effetto opposto. Reti di interesse assai ramificate possono prosperare sulla mancata diffusione delle informazioni e spostando abilmente il dibattito su temi sempre diversi e marginali. Questo libro svela i principali trucchi con cui si realizza l'accaparramento dei fondi, analizza alcuni casi eclatanti, ripercorre le radici storiche del fenomeno, individua le occasioni mancate e gli errori che hanno portato al declino.
Nel 1992-93, sotto la spinta degli avvenimenti, Tangentopoli appare una rivoluzione. La fine della Repubblica dei partiti, nata con la Costituzione del 1948, degenerata e affondata nella paralisi e nella corruzione. Un potere che sembrava eterno entra all'improvviso in agonia e cade in modo drammatico, tra arresti, cappi sventolati in Parlamento, attentati sanguinosi. Un crollo senza paragoni nelle democrazie occidentali che nei decenni successivi trova due narrazioni contrapposte. La prima recita: c'era un sistema che ben governava, un colpo di Stato architettato da forze oscure tramite le inchieste dei pm lo ha ferito a morte... La seconda replica: c'era un regime corrotto, arriva un pool di giudici buoni con un pm venuto dalle campagne a spazzarlo via... Oggi, a vent'anni dall'inizio di Mani Pulite, è possibile finalmente uscire dalle aule di tribunale e provare per la prima volta a scrivere la storia politica di quella classe dirigente e della sua rovina. Ripercorrere le scelte dei protagonisti dell'epoca: Graxi, Andreotti, Forlani, Gossiga, Agnelli, Gardini. Le voci dei testimoni, da Antonio Di Pietro a Carlo De Benedetti. I giornali, le trasmissioni, i film, la satira, le canzoni che accompagnarono la rivolta. Gli eroi, i barbari, i suicidi, i gattopardi. Per capire perché la rivoluzione giudiziaria non sia stata accompagnata da un vero cambiamento politico, istituzionale, morale. E perché abbia lasciato il posto all'avvento di Silvio Berlusconi.
"Come nella musica della lira e dei flauti e nello stesso canto vocale occorre mantenere un'armonia tra suoni distinti, la cui monotonia o dissonanza non può essere sopportata da orecchie esperte, e questa armonia è resa appunto concorde e regolare per l'accordo di suoni estremamente differenti, così con l'intreccio delle classi superiori e medie ed infime secondo un criterio di contemperamento la città armoniosamente risuona dell'accordo di differenti suoni; e quella che dai musici è chiamata armonia nel canto, quella è, nella città, la concordia, garanzia solidissima ed ottima di integrità in ogni Stato, la quale non può sussistere a nessun patto senza la giustizia". (Cicerone, De re publica, II 69).
Alla fine dell'Ottocento, in anni di profonde lacerazioni all'interno dell'Opera dei Congressi, Giuseppe Toniolo matura il suo pensiero politico e affronta la questione più delicata dell'epoca, quella della democrazia e della sua accettazione da parte dei cattolici. E lo fa spostando l'attenzione sugli aspetti etico-sociali della teoria democratica, partendo da una visione dell'uomo e della storia, che a ragione giudicava il vero fulcro di tutte le dispute della modernità. Il suo obiettivo polemico è quel positivismo materialistico e meccanicistico che tanta fortuna ebbe in quegli anni. Le accuse di scarso realismo, ancorché comprensibili alla luce della successiva evoluzione in senso istituzionale del pensiero democratico-cristiano, non potevano negare la validità del suo contributo. La sua è una vera e propria metafisica della democrazia, una coerente teoria dell'obbligazione politica e della legittimazione dell'ordinamento civile in chiave teleologica.
"Re Giorgio": così, il 3 dicembre 2011, dopo il varo del governo Monti, il "New York Times" definisce il presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano. In quei giorni concitati di crisi economica e di governo, il capo dello Stato è infatti "emerso come Tanti-Berlusconi, e con la moglie Clio ha incarnato un'Italia diversa, un'Italia di virtù civiche". Nella sua biografia politica, il prudente e diplomatico Napolitano è stato varie volte "primo": il primo ad aver avuto ragione sul tema del riformismo (lo dice Fassino nel 2001), il primo ex comunista nominato ministro dell'Interno (1996), il primo ex comunista eletto al Quirinale. E il primo esponente del Pci a essere ricevuto in pompa magna negli Stati Uniti. Questo libro ne ripercorre la crescita politica, il rapporto con il partito, i suoi esponenti (da Giorgio Amendola a Enrico Berlinguer), la sua storia e le sue correnti - di cui egli ha sempre incarnato quella riformista e moderata - ma anche con la sua Napoli e con l'amatissima moglie Clio, compagna nella vita e negli ideali. Per darci un ritratto veridico quanto appassionato dell'uomo che, Costituzione alla mano, ha saputo tenere le redini del Paese.
Il diario politico del 2011 raccontato dal più corrosivo e implacabile tra i giornalisti italiani. Un appuntamento che ogni lunedì tiene incollate al video migliaia di persone, in diretta sul seguitissimo blog di Beppe Grillo. In molti l'hanno capito, è l'occasione unica per informarsi davvero, rompere con il sistema addomesticato dell'informazione televisiva ed entrare direttamente dentro la cronaca, gli scandali e l'attualità politica. Finalmente senza filtri. Ruby e i festini di Arcore; P2, P3 e P4; Berlusconi e i processi; i referendum e il crollo dei partiti; le elezioni regionali e la sconfitta del Pdl; lodi e leggi ad personam... Tutto quello che dovevate sapere e che nessuno ha raccontato. Anzi, in molti l'hanno nascosto. Ogni intervento di Marco Travaglio è una ricostruzione minuziosa dei fatti e un atto d'accusa contro il potere che pensa solo a se stesso, mai ai cittadini e ancora meno al bene comune.
Non c'è partito, schieramento o personaggio politico che ne sia immune: quello di dire le bugie in Italia è un virus più che un vizio, un modo di essere più che un'abitudine. Nell'epoca dei mezzi di comunicazione di massa e dei talk show, l'argomentazione ha ceduto il passo alla declamazione, e i fatti sono stati sostituiti dalle opinioni. Non importa cosa si dice: l'importante è dirlo forte, in una sorta di gara a chi la spara più grossa. "Bugiardi" non ha la pretesa di raccogliere tutte le menzogne e le false promesse dei politici di turno - del resto, sarebbe un'impresa impossibile - ma ce ne offre un'antologia ricca e aggiornata in cui, con tagliente ironia e impeccabile imparzialità, l'autrice smaschera l'ipocrisia della Casta, che troppo spesso crede di poter prendere in giro impunemente i propri elettori.
Busto Arsizio, 1986: Marco Reguzzoni ha 15 anni quando assiste al comizio del fondatore di un neonato movimento politico che vuole promuovere l'autonomia, il federalismo, il recupero delle tradizioni locali. Il leader è Umberto Bossi, il movimento la Lega Lombarda (destinata a diventare Lega Nord), e il quindicenne inizia un percorso che gli cambia la vita. Oggi che quel ragazzo è capogruppo alla Camera, Reguzzoni ripercorre la propria esperienza riflettendo sulla storia del movimento, sul ruolo decisivo di Bossi, gli obiettivi da raggiungere e quelli ottenuti, le piccole imprese e le prospettive globali e locali, l'immigrazione, la rivoluzione federale contro il potere dello Stato centralista.
Attraverso la ricostruzione dell'itinerario critico avviato nel 1922 con la Terra desolata e culminato nella dichiarazione "anglo-cattolica, monarchica e classicista" del 1928, il libro porta in primo piano le motivazioni, le finalità e la genesi del pensiero politico di Eliot. Animata dall'intento di ristabilire il valore intellettuale del Cristianesimo e imperniata sulla distinzione tra l'"Eterno" e il "Transitorio", l'attività di Eliot si traduce in un impianto teorico sorretto dal primato attribuito alla fede religiosa, articolato sull'adesione ai principi del conservatorismo e incentrato sull'intento di privilegiare le idee politiche rispetto alla politica. In tale prospettiva, le analisi storiche di Eliot si impongono come il presupposto fondante di un discorso politico finalizzato a istituire una diretta congiunzione tra i compositi scenari della modernità e le contraddizioni ideologiche del proprio tempo.