La sofferenza è un’esperienza universale e l’umano è “homo patiens”, conosce la sofferenza e da essa non può fuggire. La sofferenza, fisica, psichica o morale, è il caso serio della nostra esistenza; sentiamo la nostra vita fragile, minacciata e limitata dal male, e non cessiamo di interrogarci: “Perché?”. In verità non c’è spiegazione al problema del male, della malattia, della morte; anche per chi ha fede in Dio, la sofferenza resta un enigma che può oscillare tra scandalo e mistero.
Ma alla sofferenza si può dare un senso quando, negata ogni rassegnazione, senza cadere nella rivolta che contesta la vita o Dio, senza disperare, ci si sottomette con un “amen”. Allora si può dire: “Io sono più grande della sofferenza che vivo, perché trovo il segreto della mia esistenza nell’amare e nell’essere amato”. Gesù ha tracciato per noi una via riguardo alla sofferenza, un cammino di mitezza e di umiltà. “Ecce homo!” (Gv 19,5). Egli è l’uomo, debole, precario, che ha vissuto fino all’estremo l’amore, e nella sofferenza ha dato la vita per noi, vincendo con l’amore la morte.
Nessuna povertà ci è estranea. Nasciamo nella nudità, viviamo nella precarietà, moriamo nella solitudine. L’uomo è radicalmente povero, sempre bisognoso dell’altro.
I testi dell’Antico Testamento dipingono il povero con i volti degli orfani e delle vedove, degli stranieri, degli schiavi e dei malati. Figure diverse, ma tutte accomunate dalla consapevolezza di un bisogno che solo Dio può colmare. Sono questi poveri a insegnare a Israele ad attendere il Messia, il re giusto e liberatore. Ma la Bibbia rivela anche un Dio che è dalla parte dei poveri, che ascolta il loro grido anche quando non ha voce, e che li ama più di ogni altro. È questo stesso Dio che in Gesù si fa povero, fino ad assumere la condizione di schiavo. Gesù ha incontrato i poveri e si è messo alla scuola del loro magistero di umanità. A noi è chiesto di seguirne le tracce, perché la comunione è il cuore del cristianesimo.
Querido Diego: (...) Siempre he creído que el «celo apostólico» es la gran gracia del Espí- ritu a la Iglesia y a sus pastores: la de salir con coraje a la calle, a las periferias, donde tantos hermanos necesitan experimentar la alegría del Evangelio, que Dios es Padre Misericordioso y que de verdad no quiere que se le pierda ni uno solo de sus pequeñitos. Que «Las diez cosas» puedan hacer el bien y el Señor lo multiplique, suscitando nuevas vocaciones sacerdotales en medio de su pueblo, que hambrea pastores que lo cuiden y lo sanen, que lo alimenten, lo consuelen y conduzcan por los caminos del Espíritu. (De la carta de agradecimiento del papa Francisco al autor).
Wittenberg, 31 ottobre 1517. Martin Lutero, un oscuro monaco e teologo tedesco, affigge alla porta di una chiesa 95 “tesi” di durissima critica alle indulgenze. Per i manuali scolastici come per l'opinione comune è l'inizio di una ribellione alla Chiesa di Roma che sfocerà nella Riforma protestante. Ma le cose non andarono esattamente così. Tanto per cominciare, le famose 95 “tesi” verosimilmente non furono mai esposte in pubblico. E soprattutto, Lutero non era un irriducibile ribelle, ma un uomo di fede intensa che, dopo anni di incomprensioni e attacchi pretestuosi da parte dei suoi avversari “romani”, ritenne impossibile rimanere in quella Chiesa che, fino a quel momento, era stata anche la sua: o Roma o Cristo.Una magistrale ricostruzione degli eventi che portarono Lutero, suo malgrado, allo scontro con Roma, ma anche una intensa riflessione sul senso attualissimo di eventi storici che parlano all'oggi della Chiesa e del mondo.
Una riflessione serrata, travolgente, spiazzante sugli atteggiamenti e i gesti che la Chiesa raccomanda nel tempo quaresimale. «Per fortuna che c’è la Quaresima! Per fortuna, o per Grazia, c’è un tempo in cui siamo invitati a ritornare in noi stessi. Hai voglia a cercare di illuderti o ingannarti, hai voglia a dare la colpa al mondo che è cattivo, alla famiglia che ti ha educato o a quel che ti pare; alla fine, se sei onesto con te stesso, non puoi che ammetterlo: io, io ho sbagliato. Può sembrare una parola dura, ma è il presupposto della salvezza, perché se io sono responsabile significa che io posso cambiare». Scritta come una lettera inviata a «Marco», cui don Bartoli si rivolge affettuosamente come a «uno dei miei ragazzi più brillanti, anche se dopo la laurea ti sei allontanato un po’…», questa riflessione sul significato della Quaresima ci fa riscoprire i “fondamentali” della fede cristiana.
Sette storie di oggi, sette stazioni, come sette sono le settimane che precedono la Pasqua. Un aiuto per i più piccoli ad accostare il mistero della Croce e della Risurrezione.
Sussidio interamente illustrato a colori.
«La Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche. Fate sentire il vostro grido, lasciatelo risuonare nelle comunità e fatelo giungere ai pastori... Anche attraverso il cammino di questo Sinodo, io e i miei fratelli Vescovi vogliamo diventare ancor più "collaboratori della vostra gioia"»: così scrive Papa Francesco nella Lettera ai giovani per la presentazione del Documento preparatorio del Sinodo dei Vescovi, che si svolgerà nell'ottobre 2018. Oltre alla Lettera ai giovani, questo volumetto contiene: il Documento preparatorio, il Questionario per la redazione del Documento di lavoro sinodale, un invito alla lettura dei "Lineamenta" e infine due riflessioni, una a cura di mons. Erio Castellucci, vescovo di Modena-Nonantola, e l'altra di mons. Nico Dal Molin, direttore dell'Ufficio Nazionale per la Pastorale Vocazionale della CEI.
Noi siamo pagine incancellabili. Lacerati dal dolore, portati via dal vento, sperduti in incomprensibili labirinti di solitudine, nella sofferenza possiamo smarrire il cammino e il senso delle cose. Eppure, ecco l'uomo. Il suo nucleo indelebile. La sua resistenza. Nel tra-noi. Nel silenzio. A partire dai vissuti, uno psicologo e un religioso riflettono sulla Passione di Cristo e su ciò che essa offre alla comprensione e al superamento della sofferenza. Questa, con una sua struttura e dinamica, può divenire atrio che introduce alla caduta psicopatologica, se non si incontra l'altro e i nostri vissuti. Se si soffre perché si ama, soltanto la capacità di amare e l'incontro poetico con l'altro possono consentire di raggiungere la radicalità dell'uomo e di oltrepassare indenni i rovi del dolore.
«Ricordare» è uno degli imperativi fondamentali della coscienza credente. Da questo punto di vista, il Salterio costituisce il tesoro di preghiera dell'Israele credente e anche uno dei repositori della sua memoria. Come si articola, nei salmi, il rapporto tra memoria e preghiera? Come l'esigenza del ricordare ha plasmato la selezione e la forma poetica di questi testi? Lo studio cerca di offrire una risposta a queste domande analizzando il terzo libro del Salterio (Sal 73-89) e, in particolare, al suo interno, uno dei più importanti «salmi della memoria»: il Sal 78. Dall'analisi emerge come il ricordo costituisca uno degli elementi portanti della preghiera e della scrittura dei salmi, dato che la relazione stessa di alleanza tra Dio e il popolo - e le relazioni tra i membri che lo compongono - viene rappresentata come una «comunità di memoria», forgiata dalla lotta contro la tendenza umana all'oblio e dall'esperienza oscura del venire dimenticati da Dio.
A duecento anni dalla nascita, la figura di monsignor Paolo de Sanctis (1816-1907) emerge integra dalle carte d'archivio e dai documenti materiali, temprata dai tempi difficili in cui trascorse la sua lunga, feconda esistenza. Nato a Rigatti, in Diocesi di Rieti, fu a lungo Rettore del Seminario più antico del mondo cattolico durante i decenni segnati dalla nascita travagliata del Regno d'Italia. Quando ormai si preparava a dedicarsi agli amati studi storici, papa Leone XIII lo elesse vescovo della Diocesi di Poggio Mirteto, che resse per otto anni prima di riturarsi a Roma presso la basilica di San Giovanni in Laterano, onorato dal titolo di Arcivescovo di Sardica.
L’Autore ha voluto intitolare quest’opera Don Bosco, storia e spirito. “Storia”, perché la vita e l’opera di don Bosco si sono svolte in un contesto di eventi da cui è scaturita una nuova realtà socio-culturale e religiosa, locale e mondiale, che ha influenzato il suo pensiero e le sue scelte. “Spirito”, perché attraverso un processo interiore di docilità agli impulsi della grazia, di discernimento e attiva cooperazione egli ha saputo cogliere la novità emergente e rispondere nel dono incondizionato di sé. L’opera è nata, per così dire, in classe. Il contenuto è il prodotto di letture e di materiali elaborati per le lezioni, ma lo spirito che l’anima è frutto di una riflessione critica scaturita dall’interazione tra insegnante e allievi. Per questa edizione italiana i materiali sono stati completamente rivisitati, allo scopo di una maggiore chiarezza espositiva, e distribuiti in tre volumi:
Vol. 1. Dai Becchi alla Casa dell’Oratorio (1815-1858)
Vol. 2. La Famiglia Salesiana (1859-1876)
Vol. 3. Ampliamento di orizzonti (1875-1888)
Questo primo volume presenta la vita e l’opera di san Giovanni Bosco fino al 1858. Si sofferma sulla sua formazione, sulle prime esperienze pastorali, sulla fondazione e il consolidamento dell’Oratorio, sull’attività editoriale e sugli elementi spirituali e pedagogici del suo modello formativo. Particolare attenzione è stata riservata al contesto storico del secolo XIX e alle fonti archivistiche e letterarie della vita del Santo.
Per educare in famiglia a scuola si richiede intelligenza del cuore, che non sta solo nei manuali, ma nella capacità di aprirsi all'altro dell'educatore, cioè nel suo volere amare l'altro in quanto soggetto e non in quanto oggetto della sua azione educativa. Si pone al servizio di un soggetto dotato di libertà e quindi di un progetto. Rivoluzione copernicana che ogni educatore sa di dover affrontare e senza la quale riceverà solo frustrazioni dal suo ruolo, perché tenderà al controllo, che è il contrario dell'amore: chiude, addestra, invece di aprirsi e servire. Gli oggetti si controllano, i soggetti si amano. La fede cristiana e la visione dell'uomo che essa comporta non esalta un tempo della vita a scapito di un altro, ma vede in ogni stagione la possibilità di essere quell'uomo che è inscritto nella mia carne e di usare quelle potenzialità che sono mie e che sono chiamato a sviluppare in modi divezzi.