La fraternità è stata la grande promessa mancata della Rivoluzione illuminista. Affacciatasi allora, è rimasta, non a caso, la parente povera di quel progetto. Oggi ritorna con tutti i suoi paradossi, ma con la stessa forza, dinanzi alla 'vecchia storia' della guerra e di un nuovo, contrastante, bisogno di cosmopolitismo. Impone così la riflessione su un diritto fraterno, capace di superare gli egoismi che si nascondono tra le pieghe dei globalismi arroganti.
L'intento del presente saggio è quello di rendere accessibile ai lettori uno degli argomenti più dibattuti e suggestivi del pensiero umano dal medioevo ai giorni nostri, fornendo loro gli strumenti indispensabili per capire il valore universale del ragionamento logico e come esso possa essere applicato ad una questione così decisiva per la vita umana come quella dell'esistenza di Dio. Tra le dimostrazioni più controverse, ma anche teoricamente più certe dell'esistenza di Dio, rientrano le cosidette "prove logiche", ossia quei tentativi di dedurre la presenza necessaria di un Essere perfettissimo con la sola forza del pensiero. La storia della filosofia e della scienza in Occidente è caratterizzata dal ruolo decisivo assegnato all'argomentazione logica. Vengono qui accomunati pensatori diversi e distanti nel tempo come Anselmo d'Aosta e Kurt Godel, Tommaso d'Aquino e Bertrand Russell. La prova ontologica rimane una sfida per l'intelligenza umana al di là della scelta di fede.
La Regola d’oro («Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te» o, in positivo, «Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te») merita oggi un’attenzione filosofica particolare, anche se si tratta di un’intuizione sapienziale, innanzi tutto, e non di un principio teorico, più o meno raffinato nella sua formulazione. L’intuizione sapienziale ha in questo caso il grande vantaggio di esprimersi genialmente intorno al rapporto giusto tra esseri umani. Non ad un rapporto giusto, ma proprio al rapporto giusto. Ciò significa che la Regola d’oro contiene virtualmente in sé tutte le forme di comando per altri, poiché essa dice della ‘qualità’ della relazione tra noi indipendentemente dal gesto singolare che dovesse incarnarla. Ed è proprio la ricerca di una qualità buona della relazione tra noi la fatica del nostro tempo che non può più permettersi la dicotomia politica amico-nemico. All’oscillazione amico-nemico c’è sempre meno riparo attraverso la proiezione dell’inimicizia all’esterno della comunità e la collocazione dell’amicizia al suo interno, come accade nella guerra di un popolo contro un altro. Siamo sempre più destinati a essere, insieme, tutti amici possibili e tutti possibili nemici; anche di noi stessi. Ma come essere possibili amici? La Regola d’oro porta a parola, nella sua bella formulazione, l’indicazione, semplice e radicale, delle dinamiche dell’umana amicizia, meglio di quanto non accada ad altri principi della ragion pratica. Perciò può essere considerata una cifra emergente dell’universalità etica, di cui è diventato altrettanto universale il bisogno.
Carmelo Vigna è ordinario di Filosofia morale presso l’Università degli Studi Ca’ Foscari di Venezia, dove ha diretto il Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze e ha fondato e attualmente dirige il Centro Interuniversitario per gli studi sull’Etica (C.I.S.E.). Insegna anche presso l’Università Cattolica di Milano. È direttore (con F. Botturi) dell’«Annuario di etica» (Vita e Pensiero). Per Vita e Pensiero ha curato: Multiculturalismo e identità (con S. Zamagni, 2002); Etica trascendentale e intersoggettività (2002); Libertà, giustizia e bene in una società plurale (2003); Etiche e politiche della post-modernità (2003); Etica del plurale (con E. Bonan, 2004).
Susy Zanardo è dottore di ricerca e borsista del Centro Universitario Cattolico (II livello). Collabora con la Cattedra di Filosofia morale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e con il Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica (C.I.S.E.). Ha pubblicato lavori sul pensiero contemporaneo di area francese.
Che ci fanno Woody Allen e Bob Dylan in compagnia di Socrate, Platone, Aristotele e Kant? Come possono gli interrogativi di un taxista mettere all'angolo le certezze di un filosofo di professione? In questo libro del 1991, Salvatore Veca c'invita a esaminare con lui le nostre personali e ricorrenti questioni di vita. Le sue scorribande filosofiche attraversano episodi ed eventi di fine anni Ottanta (la caduta del muro di Berlino, il massacro di piazza Tien An Men, i mondiali di calcio in Italia, le alghe nell'Adriatico, il ventennale dello sbarco sulla luna), e ci restituiscono riflessioni sull'identità, sulla giustizia, sull'amore, sul piacere, sulla felicità, sulla bellezza, sull'ecologia.
Questo libro espone le principali argomentazioni classiche elaborate dai filosofi a dimostrazione dell'esistenza di Dio: la tesi del supremo architetto sovrintendente del mondo e quella che individua in Dio la causa, necessariamente esistente, di tutti gli esseri contingenti. Il tema è affrontato lungo un arco storico-filosofico che spazia dal XIII al XVIII secolo, dalla formulazione originaria della Scolastica fino alla kantiana "Critica della ragion pura" che segna la crisi definitiva della teologia filosofica.
Scopo di questo volume è affrontare una coppia di termini (razionalità e nichilismo) che evoca subito il problema della sfiducia nella razionalità, cioè nello strumento che l'uomo ha a disposizione per orientarsi e prendere delle misure nel mondo. Tale sfiducia nella ragione si produce generalmente in momenti di crisi, sia a livello morale, sia sociale, sia a livello della struttura del sapere. Il libro intende porre la questione del nichilismo a confronto con la concezione occidentale della ragione, in cui ha influito il linguaggio giudaico cristiano e in cui non è solo importante la domanda, ma chi la fa e per chi la fa. Gianfranco Dalmasso è professore ordinario di Filosofia Teoretica presso l'Università di Bergamo.
Dopo il rifiuto del giuramento al partito fascista, Piero Martinetti optò per un volontario esilio nella tenuta di Spineto di Castellamonte per dedicarsi interamente alla stesura della sua trilogia filosofico-religiosa (Ragione e fede, Il Vangelo, Gesù Cristo e il cristianesimo) e allo studio dei suoi filosofi preferiti. Tra questi Schopenhauer occupa un posto a sé, fertile ponte tra la saggezza antica e l'impegno etico quotidiano. In quest'opera, lucida introduzione storiografica accompagnata da un'oculata scelta antologica e dalla brillante prosa moralistica, l'autore testimonia le ultime propaggini della querelle sul pessimismo, scatenata da Eduard von Hartmann e destinata ad essere travolta anch'essa dall'imminente crisi bellica.
Inteso in tutta la sua concretezza e assolutezza e nella forza conferitagli dalla sua incontrovertibilità, il Principio di Creazione è il Significato, è cioè il principio d'ordine dell'intera filosofia nella sua dignità di scienza. E' un'"invenzione razionale" e, come tale, deve essere sempre riscoperta e fatta valere in tutte le sue potenzialità filosofiche. Nel contesto filosofico debole e travagliato del nostro tempo, Cortese intende svelare e manifestare la condizione non trascendibile, sempre nuova e sempre identica, nella quale come uomini ci troviamo gioiosamente immersi: la nostra creaturalità.
La soggettività si presenta come tema centrale del pensiero di Kierkegaard. La soggettività esistente è l'unico modo per appropriarsi della verità, compito e cammino che non possono esseri considerati compiuti finché l'esistente è nel divenire. La tensione tra il finito e l'infinito porta a cogliere il valore eterno della soggettività e allo stesso tempo a comprendere la sua assenza come disperazione e povertà interiore. È l'incontro con Cristo che ri-crea la soggettività. Il punto fondamentale è: diventare soggettività esistenti. Ciò significa entrare nel circolo dell'amore assoluto, dove si arriva solo con il salto della fede, che nasce dall'incontro con il paradosso.
"Profanare significa restituire all'uso comune ciò che è stato separato nella sfera del sacro". Questa definizione è il filo d'Arianna che orienta il lettore nel suo viaggio attraverso le nove prose brevi, a metà fra la scrittura filosofica e la letteratura, in cui Agamben ha raccolto in una sorta di compendio ultimo i motivi più urgenti e attuali del suo pensiero. Dalla teoria del soggetto, riformulata come rapporto intimo fra Genio e lo al problema del tempo messianico, esibito in figure ed esperienze concrete; dalla parodia come modello della letteratura alla magia come canone dell'etica. Fino al testo più lungo, che dà il titolo alla raccolta, in cui la profanazione si rivela come il compito politico del nostro tempo.
"È più facile accettare il crimine sporadico che l'ottusità permanente" ha scritto una volta Guido Ceronetti. Ed è proprio per combattere contro questa ottusità con le armi del pensiero che l'autore si interroga ancora una volta sulla Scrittura, sulla irrimediabile mostruosità delle automobili, ripercorre la pagine vertiginose di Schopenhauer, affronta la filosofia di Spinoza da un punto di vista eterodosso, si lancia in un excursus erudito e paradossale sulla "pestis venerea" da Giobbe a Gaugin, per definire il tango la "più primitiva e la più raffinata di tutte le danze".