
Cattivo tedesco. Barbaro, sanguinario, imbevuto di ideologia razzista e pronto a eseguire gli ordini con brutalità. Al contrario, bravo italiano. Pacifico, empatico, contrario alla guerra, cordiale e generoso anche quando vestiva i panni dell'occupante. Sono i due stereotipi che hanno segnato la memoria pubblica nazionale e consentito il formarsi di una zona d'ombra: non fare i conti con gli aspetti aggressivi e criminali della guerra combattuta dall'Italia monarchico-fascista a fianco del Terzo Reich. A distinguere fra Italia e Germania era stata innanzitutto la propaganda degli Alleati: la responsabilità della guerra non gravava sul popolo italiano ma su Mussolini e sul regime, che avevano messo il destino del paese nelle mani del sanguinario camerata germanico. Gli italiani non avevano colpe e il vero nemico della nazione era il Tedesco. Gli argomenti furono ripresi e rilanciati dopo l'8 settembre dal re e da Badoglio e da tutte le forze dell'antifascismo, prima impegnati a mobilitare la nazione contro l'oppressore tedesco e il traditore fascista, poi a rivendicare per il paese sconfitto una pace non punitiva. La giusta esaltazione dei meriti guadagnati nella guerra di Liberazione ha finito così per oscurare le responsabilità italiane ed è prevalsa un'immagine autoassolutoria che ha addossato sui tedeschi il peso esclusivo dei crimini dell'Asse, non senza l'interessato beneplacito e l'impegno attivo di uomini e istituzioni che avevano sostenuto la tragica avventura del fascismo.
Dieci milioni di morti, tre imperi secolari annientati, rivoluzioni, guerre civili, nuovi Stati, nuovi nazionalismi, nuove guerre. È la fine del primato europeo nel mondo. Sono queste le conseguenze dei due colpi sparati a Sarajevo il 28 giugno 1914. Un mese dopo esplode la guerra europea: in quattro anni, diventa la prima guerra mondiale. Nel continente che domina il mondo, la modernità trionfante della Belle Epoque si trasforma nella modernità massacrante di una guerra totale. La prima guerra mondiale lascia un marchio tragico nella coscienza umana: venti anni dopo, una seconda guerra mondiale, con cinquanta milioni di morti, lo rende indelebile. Gli storici interrogano la grande guerra: perché scoppiò, perché tanti milioni di soldati furono massacrati e perché altri milioni continuarono a combattere per tanto tempo? Conoscere la sua storia è la condizione per trovare una risposta. Emilio Gentile racconta con parole e immagini l'evento che ha dato origine all'epoca in cui viviamo.
Anticipatore del calcolo, investigatore dell’atmosfera planetaria, aspro critico del primo colonialismo in America, Giordano Bruno ha tutte le carte in regola per essere considerato un uomo totalmente ‘moderno’; eppure la sua riflessione è impregnata dell’immaginario neoplatonico rinascimentale, di cabala e arti mnemoniche, di visioni spirituali che esprime in densi componimenti in latino, o in vernacolare scatenato o in sublime poesia. Nato sotto l’ombra del Vesuvio, attraversò l’Europa cinquecentesca. Morì il 17 febbraio del 1600 in piazza Campo de’ Fiori a Roma come «eretico ostinato e pertinace».
Ingrid D. Rowland traccia un’agile biografia di Giordano Bruno, attenta agli aspetti ‘scientifici’ della sua ricerca: le conseguenze che l’esistenza di un universo infinito comporta per la fisica e la matematica, il giusto modo per l’uomo di stare nel mondo quando il mondo è un cosmo senza limiti.
È fuor di dubbio che Bruno venne al mondo per accendere un fuoco e vide quel fuoco come una raffigurazione dell’amore ardente che aveva creato sia il cosmo sia i cuori umani. Dalla sua cella nelle prigioni dell’Inquisizione veneziana avrebbe contemplato le stelle. Ingrid D. Rowland ricostruisce la vita di un filosofo cosmopolita, cittadino del mondo.
La spedizione di un sultano alla conquista dell’Italia. Trame oscure che, intrecciandosi, conducono a una guerra terribile che rovescerà tutta la sua violenza su una popolazione ingannata da coloro cui era fedele e, per questo, massacrata. È Otranto, 1480.
Vito Bianchi fa luce sul massacro di ottocento prigionieri inermi canonizzati di recente come martiri della fede. In realtà, come puntualizza l’autore in queste pagine, emerge che l’ecatombe, per ammissione pressoché unanime, fu la conseguenza del rifiuto della cittadinanza di arrendersi, non di abiurare e convertirsi all’Islam. Paolo Mieli, “Corriere della Sera”
Con un libro bello, documentato, vivacissimo, Vito Bianchi mostra come la questione di Otranto e dei suoi martiri, ancora molto dibattuta, debba essere inquadrata nelle guerre che infuriavano nella penisola tra il papa e il re di Napoli da una parte, Firenze e Venezia dall’altra; un episodio che obbligasse i cristiani ad abbandonare le loro contese per unirsi contro gli infedeli sarebbe stato molto utile alla parte per la quale la guerra stava andando peggio: ch’era appunto la veneziano-fiorentina. Franco Cardini, “Avvenire”
Nei secoli le Alpi sono state rifugio e megafono delle anime libere, contrarie e resistenti. Questo libro racconta la loro storia. *
La ribellione può declinarsi sotto forma di passione civile, di attacco a una parete inviolata, di movimento religioso, di giustizia sociale, e mira sempre alla conquista di una forma di libertà. Ciò che accomuna persone e movimenti in apparenza distanti come Fra Dolcino o Tina Merlin, per ricordare solo due delle figure disegnate con passione da Camanni, sta nella capacità di sfruttare le Alpi come luogo di riflessione in un percorso di rivolta costruttiva verso un ordine costituito. Fabio Minocchio, “L’Indice”
Camanni intreccia vari temi che hanno visto la montagna protagonista, ieri e oggi. Lo fa raccontando di montanari e di alpinisti che nei secoli hanno costruito sulle montagne rifugi di resistenza, avamposti di autonomia e laboratori di innovazione sociale. “Touring”
Le possenti mura di Costantinopoli hanno arginato per secoli le ondate di nemici che insidiavano l’Europa cristiana. Le armate dell’impero romano d’Oriente si erano trasformate nello scudo di Cristo: questa è la storia della loro lunga lotta, fino alla vittoria. L’impero romano d’Oriente visse suo malgrado per oltre mille anni in uno stato di guerra continua. La sua capitale Costantinopoli, la splendida ‘regina delle città’, non smise mai di attirare conquistatori avidi di preda dai quattro angoli del mondo: Goti, Unni, Slavi, Avari, Persiani, Arabi, Bulgari… L’impero, spesso sull’orlo della disfatta, riuscì sempre a trovare la forza necessaria per rialzarsi dopo le sconfitte. Aveva ereditato da Roma antica uno dei più potenti eserciti della storia: attraverso molti cambiamenti organizzativi, strategici e tattici, fu comunque in grado di mettere in campo armate capaci di respingere le continue invasioni. Il libro ripercorre i primi turbinosi secoli di questa storia, dalla disfatta di Adrianopoli del 378, che costrinse Teodosio I a riformare l’intero sistema difensivo imperiale, fino alle vittorie sugli Arabi e sui Bulgari, che nel IX secolo restituirono alla Nuova Roma uno spazio di dominio nei Balcani e in tutto il Mediterraneo orientale. Vengono analizzate sia la strategia dell’impero che le tattiche di combattimento, spesso all’avanguardia, delle sue armate, nonché la loro organizzazione, legata ad aspetti cruciali della vita sociale ed economica dello Stato. Al riparo dello scudo bizantino ebbe modo di prosperare e svilupparsi l’Europa latina: che però non riconobbe mai ai fratelli d’oriente il merito di aver difeso con il proprio sangue la pace di tutta la Cristianità.
Fino a che punto i tedeschi divennero nazisti? Furono carnefici o vittime del terrore? Per rispondere a queste domande, che negli ultimi anni hanno molto appassionato gli storici del Terzo Reich, Peter Fritzsche si immerge nella vita privata dei tedeschi, ne esamina le lettere, i diari, le conversazioni, mostrando quanto essi stessi fossero tormentati da questa trasformazione: molti si interrogano sull'importanza di allinearsi, sull'opportunità di stare al gioco, sul dovere di non tradire la nazione. Una lotta tra pulsioni, convincimenti e compromessi, che il nazismo riuscì spesso a trasformare in conversioni ideologiche. Se nel Terzo Reich "vita e morte furono profondamente intrecciate", perché l'ideale nazista di vita tedesca era legato alla "quasi-morte vissuta dalla Germania", dopo la prima guerra mondiale molti finirono per accettare il principio che la vita dei tedeschi significasse la morte per gli altri. Fritzsche esamina gli sforzi compiuti dei tedeschi per adattarsi alle nuove identità razziali, convincersi della necessità della guerra e accettare la dinamica della distruzione incondizionata di un altro popolo.
La storia dei Medici, famiglia-icona del Rinascimento italiano, è anche la storia di una successione quasi ininterrotta di congiure e complotti volti a eliminare i suoi esponenti più prestigiosi. Esiste però un momento cruciale, la 'congiura per eccellenza': quella che, nell'aprile 1478, doveva mettere fine al dominio della famiglia su Firenze e sopprimerne la guida, Lorenzo il Magnifico. Lorenzo è all'apogeo della sua fortuna. Incontrastato signore di Firenze, anche se la città ama definirsi una repubblica, ben accolto in tutte le corti italiane, ha in attivo un matrimonio prolifico e prestigioso con Clarice Orsini, erede di una delle più antiche e illustri famiglie di Roma. Alcuni errori, però, minacciano la sua stabilità: l'ostilità del nuovo papa Sisto IV, che toglie ai Medici il lucroso incarico di banchieri pontifici. L'odio di Volterra, tiranneggiata per impadronirsi delle sue risorse naturali. La vendetta della famiglia Pazzi, cresciuta in potenza e ormai temibile concorrente. L'invidia verso un uomo che sembra costantemente baciato dalla fortuna cementa il legame dei nemici e li determina all'azione. L'epilogo fu tragico.
La campagna di Russia e la disastrosa ritirata dell'Armir raccontate attraverso le vere storie di una ventina di uomini che vi hanno partecipato in unità e con gradi differenti. Seguiamo questo piccolo plotone nei mesi precedenti alla spedizione e poi durante la partenza; vediamo i protagonisti insediarsi sulle rive del Don, tra difficoltà logistiche e insensatezze strategiche. Conosciamo armi, dotazioni, uniformi dei nostri. Assistiamo alla progressiva demoralizzazione di fronte alla superiorità russa per uomini e mezzi e poi alla ritirata a piedi per centinaia di chilometri con quaranta gradi sotto zero. Il sapore è quello della verità cruda che mescola coraggio e codardia, crudeltà e umanità. Una visione capace di riassumere gli accadimenti della storia a un'altezza d'uomo che rende possibile percepirne i dettagli.
A 100 anni dalla nascita del movimento fascista, a oltre 70 dalla fine del regime, 'il fascismo è tornato'. In rete e nei media l'allarme è al massimo livello. Caratteristiche del nuovo fascismo sarebbero: la sublimazione del popolo come collettività virtuosa contrapposta a politicanti corrotti, il disprezzo della democrazia parlamentare, l'appello alla piazza, l'esigenza dell'uomo forte, il primato della sovranità nazionale, l'ostilità verso i migranti. Fra i nuovi fascisti sono annoverati Trump, Erdogan, Bolsonaro, Di Maio, Salvini. Insomma, all'inizio del XXI secolo, trapassato il comunismo, disperso il socialismo, rarefatto il liberalismo, il fascismo avrebbe oggi una straordinaria rivincita sui nemici che lo avevano sconfitto nel 1945. Ma cos'è stato il fascismo? È stato un fenomeno internazionale, che si ripete aggiornato e mascherato? Oppure il 'pericolo fascista' distrae dalle cause vere della crisi democratica?
Con il roboante annuncio della nascita dell'Impero, il 9 maggio 1936, Mussolini voleva fornire uno sbocco produttivo al fenomeno dell'emigrazione che stava dissanguando il Paese. Si cominci con la Libia, poi il cuore pulsante dell'Impero divenne l'Etiopia. Ma la realtà povera e desolata di quella terra appena conquistata a colpi di massacri e devastazioni deluse chi era partito. Un lavoro di prima mano su archivi e fonti dell'epoca. Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera La storia sociale dell'emigrazione italiana in Etiopia. David Bidussa, Il Sole 24 Ore Chi erano gli italiani che si trasferirono nelle terre del Negus? Cosa speravano prima di partire? Come vivevano? Che rapporto ebbero con gli etiopici e con il regime? Il duce aveva piani grandiosi: eliminare l'emigrazione all'estero popolando lEtiopia con milioni di italiani, che avrebbero dato vita a una società ideale, produttiva, razzialmente pura e perfettamente fascista. In decine di migliaia risposero all'appello, lasciarono le loro case e partirono, convinti dalla propaganda del regime che avrebbero potuto fare fortuna. La realtà sarebbe stata molto diversa.
Un giorno può avere il respiro di un’epoca: forse lo pensava anche Giulio Cesare, quando decise di varcare il Rubicone.
Andrea Giardina
Uno sguardo nuovo su uno degli episodi più noti della storia antica: il punto prospettico non è infatti l’avanzata inarrestabile di Cesare, ma la decisione inaudita di Pompeo, sull’altro fronte, che pochi giorni dopo ordina a tutti i senatori di abbandonare Roma.
Luciano Bossina, “La Stampa”
Nel gennaio 49 a.C., Cesare varcò il Rubicone alla testa di alcune coorti legionarie, pronunziando una celebre frase. Nello stesso giorno occupò Rimini, presidio strategico della terra Italia. Si spinse poi verso sud, minacciando la stessa Roma. Pompeo, incaricato di fermarlo, rispose con una mossa meno celebre ma altrettanto fatidica. Ordinò all’intera classe politica di abbandonare la città e di seguirlo, per contrattaccare dal meridione della Penisola o, addirittura, dai Balcani. Il panico fu inenarrabile. Mai i romani si erano trovati di fronte a una situazione del genere. L’Urbe, nella sua secolare storia, era stata sempre difesa. Che cosa avvenne in quei terribili giorni? Roma era davvero indifendibile? Quali furono le conseguenze della fuga pompeiana?