
17 marzo 1861: a Torino, in seduta straordinaria, il Parlamento subalpino proclama la nascita del Regno d’Italia, a compimento di un ciclo di vicende che dai moti costituzionali nei decenni della Restaurazione postnapoleonica, giunge alla conquista garibaldino-piemontese della Sicilia e del Mezzogiorno, con l’appoggio decisivo della Gran Bretagna. In queste pagine Massimo Viglione sviluppa un’analitica ricostruzione del processo risorgimentale, con sguardo privilegiato alle correnti di pensiero che l’hanno caratterizzato, sottolineando come i nodi irrisolti dell’unificazione politica abbiano pesato su tutta la successiva storia italiana del diciannovesimo e ventesimo secolo, culminata nell’enfasi del nazionalismo e del fascismo, nella guerra civile e nella morte stessa del concetto di patria.
08/03/2011
È in libreria «1861. Le due Italie» di Massimo Viglione
«1861. LE DUE ITALIE»
Identità nazionale, unificazione, guerra civile
di Massimo Viglione
IL LIBRO
17 marzo 1861: a Torino, in seduta straordinaria, il Parlamento subalpino proclama la nascita del Regno d’Italia, a compimento di un ciclo di vicende che dai moti costituzionali nei decenni della Restaurazione postnapoleonica, giunge alla conquista garibaldino-piemontese della Sicilia e del Mezzogiorno, con l’appoggio decisivo della Gran Bretagna. In queste pagine Massimo Viglione sviluppa un’analitica ricostruzione del processo risorgimentale, con sguardo privilegiato alle correnti di pensiero che l’hanno caratterizzato, sottolineando come i nodi irrisolti dell’unificazione politica abbiano pesato su tutta la successiva storia italiana del diciannovesimo e ventesimo secolo, culminata nell’enfasi del nazionalismo e del fascismo, nella guerra civile e nella morte stessa del concetto di patria.
L'AUTORE
Massimo Viglione insegna Storia Moderna e Storia del Risorgimento presso l’Università Europea di Roma ed è ricercatore dell’Istituto di Storia dell’Europa mediterranea del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Si è specializzato sul tema delle conseguenze della Rivoluzione Francese in Italia, in particolare sulle insorgenze controrivoluzionarie e sulla problematica risorgimentale. Numerose sono le sue pubblicazioni a riguardo, fra le quali ricordiamo: Rivolte dimenticate. Le insorgenze degli italiani dalle origini al 1815 (Città Nuova, 1999); Le insorgenze. Rivoluzione & Controrivoluzione in Italia. 1792-1815 (Edizioni Ares, 1999); «Libera Chiesa in libero Stato». Il Risorgimento e i cattolici: uno scontro epocale (Città Nuova, 2005); L’identità ferita. Il Risorgimento come Rivoluzione & la Guerra Civile italiana (Edizioni Ares 2006). Ha inoltre curato il volume collettaneo La Rivoluzione Italiana. Storia critica del Risorgimento (Il Minotauro, 2001).
Che cosa è stato il Risorgimento? Nella vulgata recepita nei testi scolastici diversi conti non tornano. Uno per tutti: com’è possibile che, in nome della libertà e della Costituzione, i governi liberali decidano la soppressione di tutti gli ordini religiosi della Chiesa di Roma, quando il primo articolo dello Statuto dichiara il Cattolicesimo «religione di Stato»? Sta di fatto che 57.492 persone vengono messe sul lastrico, cacciate dalle proprie case, private del lavoro, dei libri, degli arredi sacri, degli archivi, della vita che hanno scelto. Non a caso i papi Pio IX e Leone XIII individuano nel Risorgimento un tentativo di «sterminare la religione di Gesù Cristo», messo in atto dalla massoneria.
A centocinquant’anni dall’unità in Italia non solo si stenta ad ammettere questi fatti, documentati nell’evidenza delle fonti, ma si continua, da Nord a Sud, a combattere la comune identità cattolica quasi fosse l’ostacolo che preclude a un’autentica coesione nazionale.
L’Autrice – coraggiosa antagonista di ogni ideologia, come spiega mons. Luigi Negri nella sua introduzione – si muove da concezioni opposte: perché l’Italia possa riacquistare l’unicità che la caratterizza nella storia ha bisogno di riconoscere il peccato originale da cui è stata originata: l’attacco frontale alla tradizione cristiana e alla Chiesa cattolica.
Furono molti i cosiddetti antifascisti che, durante il Ventennio, bussarono alla porta del dittatore per i più svariati motivi. Quasi tutti per incensare il Duce, generalmente in cambio di prebende e di favori, salvo poi brigare per cancellare le tracce delle loro compromissioni. Ci sono i salamelecchi di Arturo Labriola, l'inconfessabile amicizia di Nenni con Mussolini, c'è la vicenda di Norberto Bobbio e della sua supplica al Duce scritta per rivendicare la sua "coscienza di fascista". Perfino Luigi Einaudi, futuro Presidente della Repubblica, scrive a Mussolini per impetrare aiuto, nel tentativo di rimediare alle intemperanze antifasciste dei figli. E ci sono anche Missiroli, Ricciardetto, Vittorini, Sibilla Aleramo e molti altri. Su tutti, però, si staglia Alberto Moravia, che giunse a rinnegare la memoria dei suoi cugini, i fratelli Rosselli, uccisi dai fascisti in Francia. Fare i conti con il passato degli italiani è maledettamente complicato, tanto i vizi nazionali paiono ridondanti nella loro cartacea e tonitruante magniloquenza. Ma setacciare gli archivi fa scoprire verità scomode che i lettori devono sapere.
Il 10 giugno 1940 l'Italia entrava nella Seconda guerra mondiale, il più rovinoso conflitto della storia umana. Dopo aver subìto il martirio di durissimi bombardamenti, il suo territorio venne invaso dagli Alleati il 10 luglio 1943: da quel momento l'intera Penisola, da Capo Pachino a Domodossola, diventò una sconfinata arena di battaglia, in cui si affrontarono centinaia di migliaia di combattenti provenienti da ogni angolo del globo. Per la prima volta uno storico italiano ricostruisce ogni singolo tassello di quella interminabile campagna, non confinando la prospettiva al campo della politica o della guerra civile, ma approfondendo l'analisi dei protagonisti militari di quel conflitto, ossia delle macchine da guerra alleate e naziste. È una narrazione del volto sporco della guerra fatta dalla prospettiva dei soldati, che furono prima di tutto uomini, dei loro slanci come delle loro paure. In ogni pagina di questa "storia di storie", Leoni riscopre la Resistenza come valore unificante della Nazione e come risposta morale nello sfacelo dell'8 settembre 1943, ma ha saputo anche andare controcorrente ricordando, per esempio, il coraggio e l'abnegazione dei tanti combattenti che scelsero l'"altra" guerra militando nelle truppe della Repubblica Sociale italiana.
Nel Pci, in cui erano vietate le correnti e il gruppo dirigente doveva sempre apparire unito, il dibattito interno e le divisioni in seno alla Direzione che aveva sede a Roma in via delle Botteghe Oscure rimanevano segreti. Sulla base dei verbali finora inediti delle riunioni della Direzione il libro ricostruisce i mutamenti della politica del Pci e nel gruppo dirigente seguendo le "vite parallele" di Enrico Berlinguer e di Giorgio Napolitano che sin da giovanissimi aderirono al Pci di Togliatti avendo presto incarichi rilevanti. Napolitano, cresciuto all'ombra del leader della "destra" comunista, Giorgio Amendola, appare ora il principale collaboratore ora il principale antagonista di Berlinguer, erede del "centro" togliattiano. Vediamo così come l'accordo e il dissenso tra i due leader comunisti animano le principali scelte del Partito dal "compromesso storico" all'"eurocomunismo", dal periodo in cui il Pci è stato nella maggioranza di governo (culminato con l'assassinio di Moro) al ritorno all'opposizione in contrasto soprattutto con il Psi di Craxi. Dai verbali emergono la coralità del vertice comunista (con aspetti e interventi finora sconosciuti dei suoi protagonisti, da Nilde Iotti a Pietro Ingrao, da Luciano Lama ad Achille Occhetto) e il modo nuovo in cui la sinistra italiana cominciò ad affrontare temi oggi attuali come le riforme istituzionali, il sistema elettorale maggioritario e il finanziamento dei partiti.
Sulla morte di Benito Mussolini e di Claretta Petacci restano ancora solo nuvole nere. Che cosa accadde veramente tra Dongo e Bonzanigo nella giornata del 28 aprile 1945? Chi ha materialmente premuto il grilletto? Chi fu l'effettivo mandante? Questo libro fa il punto sulla «vulgata» ufficiale, evidenziandone le contraddizioni sia nelle argomentazioni sia negli stessi fatti. Gli unici elementi certi sono che insieme con Mussolini scompaiono l'ingente tesoro e i documenti riservati che portava con sé; e che chiunque abbia abbozzato un tentativo di intervento a salvaguardia o recupero dell'uno o degli altri ha pagato nel sangue. Su tutti il valoroso «capitano Neri», capo di stato maggiore della brigata che arrestò Mussolini, e la «Gianna», sua inseparabile compagna d'armi. Fu a lei che toccò di catalogare il cosiddetto «oro di Dongo» al seguito del convoglio fascista, che autorevoli fonti finora sottaciute attribuiscono alla proprietà degli ebrei, spogliati dalla polizia prima della deportazione in Germania. Un patrimonio che, nell'ipotesi suggestiva dell'autore, suffragata da una molteplicità di testimonianze convergenti in un'unica logica ricostruzione, potrebbe essere finito nelle casse dell'allora Pci; col tacito benestare dei servizi segreti inglesi, ma in cambio della documentazione sui contatti se-greti che il capo del fascismo intrattenne con Winston Churchill fino a poco prima della fine. Un'ipotesi che ha affascinato Massimo Caprara, segretario per vent'anni di Palmiro Togliatti, il quale nel saggio conclusivo La pista inglese vista da Botteghe Oscure consegna importanti rivelazioni.
Seconda edizione. Reduce dalle ultime battaglie risorgimentali, Patrick K. O’Clery ricostruisce gli avvenimenti politico-militari che condussero all’unità della nazione italiana. Ripensando, all’indomani della breccia di Porta Pia, l’intera trama del Risorgimento, l’autore ne demitizza valori e protagonisti, lasciando emergere i difetti strut turali che connotarono la formazione del regno d’Italia: il rifiuto di ogni istanza federalistica, l’odio ideologico al Papato e alla tradizione cattolica del Paese, l’opportunismo cinico della classe dirigente, la manipolazione del consenso come prassi di legittimazione, la presenza malavitosa nei partiti politici, la dipendenza dallo straniero, il disprezzo per i vinti della rivoluzione. O’Clery si pone così come pioniere del revisionismo storiografico al quale guardano con diffidenza le vestali di un certo Risorgimento, tramandato a generazioni di italiani come religione civile in sostituzione del cattolicesimo. È giudizio ampiamente condiviso che il sapere storico debba giovare alla comprensione del presente. Tradotto da Alberto Leoni, il volume, in cui si accolgono entrambi gli studi di O’ Clery sul Risorgimento (The revolution of the barricades e The making of Italy, il primo inedito in Italia), soddisfa a pieno tale esigenza, additando le lontane radici della debole identità nazionale, che rende oggi l’Italia, più di altri Paesi, inadeguata ad arginare l’ideologia sovranazionale delle oligarchie economico-finanziarie.
Patrick Keyes O’ Clery nasce a Limerick, nel 1849. Studia presso il Trinity College di Dublino, ma quasi subito si arruola negli Zuavi pontifici combattendo a Mentana e a Porta Pia. Rientrato in Inghilterra, inizia da parlamentare una lunga battaglia per l’autogoverno dell’Irlanda. Nel 1880 si ritira dall’attività politica per dedicarsi alla professione legale e allo studio della recente storia d’Italia, strettamente congiunta a quella britannica. Muore nel 1913.
Come una folgore improvvisa che taglia in due un paesaggio, come un terremoto inaspettato che apre voragini e scuote ogni cosa costruita dall'uomo, cosi siamo abituati a immaginare l'inizio del genocidio degli armeni, quella notte del 24 aprile 1915, quando furono arrestati uno dopo l'altro nella capitale Costantinopoli i principali esponenti della comunità armena nell'impero ottomano. Le ombre degli scrittori assassinati sono riemerse un poco alla volta: sono diventati personaggi reali, protagonisti del racconto infinito di quella tragedia incombente che venne realizzata giorno dopo giorno, con l'astuzia di tenere i prigionieri all'oscuro del loro destino. In questo libro per la prima volta in Italia sono raccolte le loro voci, assai differenti fra loro, come e giusto che sia: diverse sono le date e i luoghi di nascita, la provenienza famigliare, i loro studi, vocazioni e carriere: poeti e scrittori di romanzi e novelle, giornalisti, medici, farmacisti, uomini di chiesa, uomini politici. C'è di tutto, ma unico è l'amore per una patria divisa, drammaticamente minacciata, con forti differenze sociali al suo interno, eppure unita da un maestoso, articolatissimo linguaggio dalle antiche radici indoeuropee, da un alfabeto unico e originale e da una superba tradizione culturale, che si sviluppa con grande ricchezza a partire dal quarto secolo d.C.
“Sto leggendo Stendhal, devo leggere Proust... queste ultime letture sono necessarie, se devo tornare ai miei diletti Omero-Virgilio-Dante attraverso l’assorbimento e il superamento della cultura posteriore... Presto dunque mi metterò al lavoro, e intanto già penso che, uscito il nuovo libro, inizierò un nuovo periodo di vita più mescolata alla vita comune, meno isolata. Certo,
poi, tornerò a scrivere. L’ambiente non mi è molto favorevole...”. Eugenio Corti sentì prestissimo la vocazione alla scrittura come alla ricerca della verità e della bellezza: ne sono una straordinaria testimonianza queste pagine inedite
dei suoi Diari, da cui apprendiamo la sua formazione letteraria, l’amore per la natura, la fede cristallina, come le vicende drammatiche dei suoi anni di guerra, che saranno il motivo ispiratore della sua scrittura.
Il Diario del capitano dei bersaglieri Giuseppe De Carli inizia il 10 luglio 1943, il giorno dello sbarco in Sicilia delle truppe alleate. L’«Operazione Husky» fu colossale: circa 1.400 navi con migliaia di mezzi da sbarco e circa 150mila uomini. Contrariamente a quanto si pensa, sia lo sbarco sia l’avanzata anglo-americana non furono agevoli. Le forze tedesche e i reparti italiani opposero una tenace resistenza, impegnando gli Alleati in duri combattimenti con notevole spargimento di sangue. Questo Diario inedito racconta con cruda verità il dramma di quei giorni, manifesta con impressionante evidenza lo sconvolgimento della coscienza di un capitano dopo l’8 settembre 1943 e, estendendosi il testo sin quasi alla fine della guerra, descrive la difficile con­dizione dei militari italiani nelle mani degli angloamericani dopo l’Armistizio e la dichiarazione italiana di guerra alla Germania.
Enrico Cattaneo è un ragazzo di 19 anni chiamato a portare le armi e spedito in Grecia quando lo Stato fascista aveva già arruolato tutte le classi militari idonee e da ultimo si era visto costretto a richiamare dei ragazzi che non avevano fatto il servizio militare e la cui istruzione fu rabberciata in pochi giorni. Disperso con altri pochi nella lotta coi partigiani greci, spinto dalla fame si consegna a un reparto tedesco. Poi dopo l’otto settembre, rifiutatosi di combattere con loro come militare dell’esercito fascista della Repubblica di Salò, viene fatto prigioniero e deportato in Russia ove attraversa vicende di ogni genere fino a che, miracolosamente, riesce a tornare a casa.
L’Introduzione è di Edoardo Bressan, storico, professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università degli studi di Macerata.
La Presentazione del Diario di Enrico Cattaneo è di Luigi Trezzi, storico economico, professore ordinario presso l’Università degli studi di Milano Bicocca.
Le Note storiche sono di Paolo De Carli, giurista pubblicista, professore ordinario presso l’Università degli studi di Milano.
Le guerre di religione del XVI e XVII secolo tra cattolici e protestanti sono, ancora oggi, un argomento imbarazzante per i cristiani di ogni confessione. Un tabù che non si può nemmeno sfiorare, senza che i toni si alzino con reciproche e rinnovate scomuniche. Inoltre, questa storia sanguinosa viene spesso adoperata dall'ideologia laicista per attaccare un cristianesimo che, a fronte di simili orrori, non riesce a costruire un'apologetica realmente efficace e obbiettiva.
Une storia delle guerre di religione sarebbe, tuttavia, incompleta senza uno sguardo alle guerre contro la religione: una serie di atrocità, dalla Rivoluzione francese ai totalitarismi, per le quali ben poche volte si è assistito a un mea culpa laico.
Alberto Leoni riprende la cruenta materia della storia militare in un viaggio che parte dalla crociata contro i catari e arriva fino alla guerra civile irlandese degli anni Settanta, passando per la notte di San Bartolomeo, la guerra dei Trent'Anni, il Terrore giacobino, il Risorgimento italiano, la rivoluzione dei cristeros in Messico. Il tutto approfondendo motivazioni e istanze degli uomini di allora, per capire meglio loro e noi stessi.
Il libro, pubblicato in occasione del sessantesimo anniversario della Liberazione, è l'avvincente racconto dell'eroica vita e della tragica e misteriosa morte di Aldo Gastaldi «Bisagno», comandante della leggendaria Divisione Cichero che combatté contro fascisti e tedeschi sull'Appennino ligure-emiliano, di Ugo Ricci «il capitano», l'eroe della Resistenza in Val d'Intelvi, e di Edoardo Alessi «Marcello», comandante della Prima Divisione Alpina Valtellina. Tutti e tre ufficiali del Regio Esercito, erano uniti da una comune e intensa fede religiosa e ispirati a un progetto di pronta riconciliazione con il nemico sconfitto. Se fossero vissuti dopo la Liberazione, avrebbero sicuramente impedito che fosse sparso il «sangue dei vinti». Ma due di essi furono uccisi nel momento culminante della loro battaglia. Da chi? Dai fascisti o dai comunisti? E il terzo, la medaglia d'oro Aldo Gastaldi, ruzzolò o fu fatto ruzzolare sotto le ruote di un camion, che ne stritolò il corpo, mentre riportava a casa i ragazzi che avevano combattuto al suo fianco sulle montagne? Su questi autentici «gialli» della recente storia d'Italia, rapidamente archiviati dalla storiografia ufficiale, indaga il libro di Luciano Garibaldi, che si avvale delle testimonianze raccolte da Riccardo Caniato, Luigi Confalonieri e Alessandro Rivali.