
Diritti umani e loro tradimento nella società multiculturale. Ricorre quest'anno il 60° anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti dell'Uomo, proclamata il 10.12.1948 dall'assemblea generale delle Nazioni Unite. Per quanto riguarda l'Europa, i diritti umani sembrano presentarsi in ottimo stato di salute e perfetta forma. Tuttavia non di rado l'apparenza inganna e si rivela mera apparenza. Come quando un albero gigantesco viene roso da una putrefazione interna, destinata a rendersi manifesta solo quando sarà troppo tardi.
La Repubblica Romana, breve episodio rivoluzionario che coinvolse la città di Roma nel 1849, è a tutt'oggi uno dei pochi Miti risorgimentali che paiono reggere alla crescita della critica storica e al superamento della retorica nazionalista del XIX secolo. Garibaldi, Mazzini, Armellini e Saffi costituiscono ancor oggi delle figure storiche che non di rado vengono elevate ad esempi e modelli di una vera e propria liturgia laica. Alla prova dei documenti storici, anche rappresentazione aulica diviene più concreta e complessa. "Lo studio di un momento storico polarizzante quale fu l'esperienza della Repubblica Romana può fornire un contributo importante alla comprensione delle contraddizioni che ancora affliggono una Nazione che, pur avendo radici storiche tra le più antiche del mondo, stenta a definirsi in maniera coesa, condivisa e unitaria come tale. (...) E' vero che l'identità italiana è in qualche modo plurale, perchè la nostra più di altre è una nazione connotata da una multi-culturalismo ante litteram. La creazione di una memoria comune costituisce quindi una conquista imprescindibile per la salvaguardia del nostro paese." Dalla Prefazione di Giovanni Alemanno
La lunga "coda" delle celebrazioni del 150º della proclamazione del Regno d'Italia (1861-2011) ha portato con sé una recrudescenza della polemica delle "ragioni del Sud" contro il Nord (essenzialmente piemontese) invasore cui ha fatto da contraltare un rinnovato "partito piemontese". Fra le voci più serie di questo schieramento c'è senz'alcun dubbio lo storico Alessandro Barbero, che in un fortunato saggio polemico, "I prigionieri dei Savoia" (Laterza 2012) ha radicalmente criticato i fondamenti storici della deportazione sabauda di migliaia di soldati borbonici sconfitti e "non cooperanti" al forte di Fenestrelle. L'autore, "encomiasticamente" citato nel saggio di Barbero, ricostruisce qui l'intera vicenda, che al di là di "meridionalismo" e "partito piemontese" mira ad un solo obbiettivo: la riscoperta della verità storica.
Gli autori analizzano, con dovizia di documenti e di particolari, le responsabilità storiche che i cattolici hanno avuto nell'affermarsi nella cultura sessantottina. ...Questo indaffararsi a riplasmare il mondo è una tendenza prometeica, che oppone la libertà come ribellione alla rassegnazione fiduciosa. "Liberazione" diviene così la parola d'ordine dei movimenti beat, hippy, e di tutto il sessantotto: liberazione dei tabù sessuali, dalla religione, dalla natura, dal pensiero... Sono molto chiari, al riguardo, gli slogans dell'epoca... "
Il Novecento è una storia ancora in parte viva, con le sue ferite, i suoi drammi, le sue suggestioni politiche e culturali. È stato un secolo unico: senza dubbio il più violento e sanguinario della storia umana. Ha visto lo scoppio della Prima guerra mondiale, con i suoi 10 milioni di morti, i milioni di mutilati e di invalidi; e un secondo conflitto mondiale, che ha cosparso il pianeta di ben oltre 50 milioni di deceduti. Il Novecento è stato l’epoca dei totalitarismi: il fascismo, ma, soprattutto, il comunismo e il nazional-socialismo. Con i loro dittatori, le polizie segrete, gli stermini di massa e i campi di concentramento. Che non sono finiti per sempre, visto che ne esistono tutt’oggi, e non pochi, in Cina, Corea del Nord e forse altrove. Potremmo dire che il Novecento è stato « il secolo senza croce »: l’epoca in cui si è deciso di creare «il regno dell’Uomo», di scacciare definitivamente Dio dalla storia del mondo, dai governi dei potenti, dalla vita degli individui. Per sostituirlo con nuove divinità, ben rappresentate dalle immense statue dei dittatori disseminate per ogni dove, ad esempio, nell’ex Urss. Il Novecento è stato l’epoca delle ideologie che sono diventate dottrine escatologiche di salvezza; dei politici che sono stati acclamati come dei « messia»; della Chiesa di Cristo sostituita, per quanto possibile, dalle chiese-partito. L’epoca in cui la croce di Cristo è stata violentemente avversata, affinché lasciasse spazio alla croce uncinata e alla falce e martello. Non senza che grandi uomini, da Solzenicyn ai ragazzi della «Rosa bianca», sino a Harry Wu ed Armando Valladares, lottassero, come leoni, contro ogni speranza», contro i
moderni Moloch.
Francesco Agnoli, docente a Trento, collabora con Avvenire, il Foglio e il Timone ed è autore di vari libri di storia, filosofia e bioetica. Per Sugarco ha pubblicato Dio questo sconosciuto; Chiesa, sesso e morale (con Marco Luscia) e Santi e rivoluzionari (con Marco Luscia e Alessandro Pertosa).
Luigi Russo, in occasione della commemorazione di Antonio Gramsci a dieci anni dalla sua scomparsa, lamentava come la sua generazione fosse stata tormentata e mutilata quale altra mai. «Falcidiata dalla prima guerra mondiale e poi resa più sottile o captata e svuotata dalla corruzione di un regime dispotico, o vessata e stroncata e dispersa dalle carceri, dall'esilio, dalle malattie e dalle morti; sicché la sorte di essa, assai grave, pesa non soltanto su di noi che ne fummo per ragioni cronologiche partecipi, ma su tutta la vita intellettuale e politica del paese». Si riferiva a Giovanni Amendola, Piero Gobetti, Carlo e Nello Rosselli, Giacomo Matteotti, lo stesso Gramsci, ma anche ai tanti meno noti che dettero un contributo eroico, sacrifico, accomunati dalla stessa battaglia antifascista. Rappresentarono un discorso che poi riaffiorò come un fiume carsico confluendo nel dialogo interpartitico della Costituente. Furono i maestri e i compagni di coloro che poi cooperarono alla Carta costituzionale. Ricordare il loro contributo morale non significa solo comprendere meglio il "Preludio alla Costituente", ma anche arricchire le generazioni successive. Prefazione di Valdo Spini. Postfazione di Giuliano Amato.