
Un tramonto e un'aurora, un declino e un'affermazione. La fine di Roma assomiglia a due figure che si rispecchiano l'una nell'altra, ora opposte ora strettamente connesse, come lo sono due lottatori che si stringono reciprocamente nel tentativo di sopraffarsi. In questo nuovo, affascinante affresco storico, Corrado Augias ci presenta la Roma cristiana, raccontando le storie di uomini, donne, luoghi e monumenti che caratterizzarono la fine del vecchio mondo, e annunciarono l'inizio e il trionfo di una nuova epoca. All'inizio del IV secolo l'Impero romano contava circa settanta milioni di abitanti, e si stima che meno del dieci per cento della popolazione aderisse alla religione cristiana. Una minoranza, ma in crescita. Adottare dunque quella religione, ammetterla tra le fedi consentite e dichiararsene membro, fu, da parte di Costantino, un gesto di immensa audacia. Dopo aver annientato il penultimo dei suoi concorrenti, Marco Aurelio Valerio Massenzio, nella famosa battaglia di Ponte Milvio, Costantino entrò trionfalmente a Roma percorrendo per l'intera lunghezza la via Lata (attuale via del Corso). Era il 29 ottobre del 312, giorno che può essere scelto come la data ufficiale di passaggio tra mondo antico e mondo cristiano. Ma nei fatti non è proprio cosí. Le date che indicano i grandi passaggi della storia umana sono sempre convenzionali. È difficile dire da quanto tempo quei nuovi modi di sentire e di vivere avessero realmente avuto inizio, quali e quanti fattori li avessero determinati e quali altri provocarono invece il declino e la scomparsa di riti, simboli, credenze, costumi sui quali milioni di individui avevano basato la propria esistenza. Resta che nel 324, diventato imperatore unico Costantino, la religione cristiana aveva assunto un'importanza e una dimensione mondiali e che sul finire del secolo l'imperatore Teodosio, detto il Grande, con il suo Editto di Tessalonica, la rendeva unica e obbligatoria. Era solo un primo passo; sarebbe stato via via completato proibendo culto e sacrifici pagani con la minaccia di punizioni severissime, compresa la pena di morte. In pochi anni i cristiani si erano trasformati da perseguitati in persecutori, e il mondo si apprestava a conoscere una nuova fase della sua storia. Tra sapere e meraviglia, Corrado Augias ci guida sui luoghi che furono protagonisti della rivoluzione cristiana, svelando monumenti e rovine che continuano a dare potente testimonianza della fine di un mondo. Ne risulta un'avventura affascinante - e un modo nuovo di vedere Roma - che dà alle pagine l'incanto che sempre deriva dal piacere della scoperta.
Leopardi l'ha percorsa a disagio, sballottato in una carrozza, Shelley ci ha lasciato la vita, Garibaldi la salute: è l'Italia, da tempo immemorabile vituperata e ammirata, un Paese che pensiamo di conoscere ma che nasconde in ogni città, in ogni suo angolo un segreto. Compreso il più sconcertante: come mai le cose sono andate come sono andate? Come ha potuto diventare, questa penisola allungata di sbieco nel Mediterraneo tra mondi diversi, allo stesso tempo la patria dei geni e dei lazzaroni, la culla della bellezza e il pozzo del degrado? Questo libro tenta una spiegazione in forma di racconto, accompagnandoci dalle cupe atmosfere della Palermo di Cagliostro all'elegante corte di Maria Luigia a Parma, dalla nascita del ghetto di Venezia alla eroica fiammata dell'insurrezione napoletana contro i nazisti. Nel suo racconto dell'antropologia italiana, Augias mette a confronto due libri antitetici come "Cuore" di De Amicis e "Il piacere" di D'Annunzio, ricorda le truci storie di briganti che affascinarono Stendhal, celebra la resurrezione postbellica di Milano attraverso le glorie della Scala e del Piccolo Teatro, ma constata anche la decadenza di una classe dirigente... Il risultato è il romanzo di una nazione, i cui protagonisti sono i luoghi, le opere, i monumenti, gli angoli oscuri del nostro Paese, le pagine della sua letteratura ma anche le storie esemplari terribili nascoste nelle pieghe della cronaca. Perché è la memoria della storia, dell'arte e del sangue - che fa degli italiani quello che sono.
Un'inchiesta storica Corrado Augias ricostruisce l'incredibile piano ideato dai servizi segreti tedeschi per spingere il nostro Paese a non intervenire nella Prima guerra mondiale: un progetto, semplice e ambizioso allo stesso tempo, che puntava a corrompere parlamentari e ad acquistare la proprietà di giornali come "La Stampa" e "Il Tempo" per organizzare una grande campagna in favore della neutralità. Attingendo a cronache, documenti della polizia e atti processuali, Augias racconta un oscuro intrigo che intreccia i destini di avidi faccendieri, donne equivoche e giornalisti prezzolati, e i cui contorni appaiono tragicamente simili agli scandali che colpiranno l'Italia a un secolo di distanza. E nell'indagare i retroscena di un sistema politico e giudiziario che - allora come oggi - si dimostrò del tutto inadeguato alla gravità dei fatti, ci riporta alle origini della corruzione che avvelena il nostro Paese.
La storia dell'archeologia dalle origini ai nostri giorni, raccontata attraverso le vite di alcuni tra i più importanti studiosi: uomini e donne che hanno dato forma e sostanza alla disciplina, nel corso del tempo e in modi diversi. Da Johann Winckelmann, che getta le basi dell'archeologia come storia dell'arte, a Mortimer Wheeler, a cui si deve uno dei primi manuali di scavo; da Gertrude Bell, instancabile studiosa dell'Oriente, a Thomas Lawrence, militare e spia, ma anche archeologo con la passione del Medioevo e dei castelli dei crociati. E poi Rodolfo Lanciani, autore di una straordinaria mappa di Roma antica, Mary Leakey e le sue grandi scoperte sui nostri antenati, e molti altri ancora. Un viaggio nell'evoluzione del pensiero archeologico, nelle vicende, nelle menti e nelle emozioni dei personaggi che grazie al loro lavoro hanno scritto pagine fondamentali della storia. La scrittura chiara e scorrevole, assieme alle immagini degli scavi, degli oggetti e dei taccuini di appunti, permette al lettore di tuffarsi nel passato, per scoprire la meraviglia di un mestiere davvero affascinante.
I primi tentativi di far decollare l'archeologia medievale in Italia, nell'arco di tempo che va dalla nascita della nazione al secondo dopoguerra, sono tentativi falliti. Si è definita l'archeologia medievale "uno specialismo mancato". Come mai? Perché mentre nel resto dell'Europa inizia ad affermarsi un'archeologia dedicata al Medioevo, da noi questo non succede? La risposta è piuttosto semplice: mentre nelle altre nazioni fare archeologia medievale significa indagare le proprie origini, da noi il Medioevo è stato a lungo percepito soprattutto come un periodo oscuro, negativo, durante il quale l'Italia venne assoggettata e invasa da vari popoli stranieri. Solo a partire dagli anni Settanta l'archeologia medievale è definitivamente decollata e recentemente, tra scavi e progetti, ha fatto passi da gigante. Città, castelli, torri, chiese, monasteri, manufatti, sepolture e molto altro ancora: "Archeologia dell'Italia medievale" è un manuale, ma anche un saggio rigorosamente documentato e aggiornato, con un ampio apparato di illustrazioni, per dar conto dello stato dell'arte e delle prospettive future di questa disciplina.
La Grande guerra continua a occupare un posto di primissimo piano tanto dal punto di vista della storiografia quanto da quello della memoria collettiva. Essa fu la prima manifestazione sistematica della combinazione tra tecnologia e produzione di morte, la prima espressione di una mobilitazione totale delle masse, fu, in breve, la prima rivelazione compiuta e folgorante della modernità, della sua natura, dei suoi dilemmi e dei suoi rischi. L'ambizione di questa enciclopedia della prima guerra mondiale è di fondere sensibilità e interessi propri della storiografia tradizionale più attenta all'oggettività dei processi, alle dimensioni diplomatiche, politiche, militari, ma anche economiche e sociali dell'evento, con i nuovi orizzonti aperti da una storia che si suole definire culturale e che riporta in primo piano le dimensioni della soggettività, dell'esperienza vissuta, dell'immaginario e della memoria anche grazie all'uso di fonti mai prima esplorate.
Si tratta del primo volume dell'edizione italiana dell'"Encyclopédie de la Grande Guerre" curata dagli storici francesi Jean-Jacques Becker e Stéphane Ardoin-Rouzeau. Le linee guida dell'opera sono quelle di fondere sensibilità e interessi propri della scuola tradizionale attenta all'oggettività dei processi, alle dimensioni diplomatiche, politiche e militari, ma anche economiche e sociali dell'evento, con i nuovi orizzonti aperti da quella che si suole definire storia culturale, e che riporta in primo piano le dimensioni della soggettività, dell'esperienza vissuta, dell'immaginario e della memoria anche grazie al ricorso a fonti finora poco esplorate. La Grande Guerra, in particolare in Francia, continua a occupare un ruolo di primissimo piano tanto dal punto di vista storiografico che da quello della memoria collettiva: un evento carico di intensa emotività, il primo esempio di "evento senza soggetto", la prima rivelazione compiuta e folgorante della modernità, della sua natura, dei suoi dilemmi e dei suoi rischi.
Un'opera che salda sensibilità e interessi propri della storiografìa tradizionale più attenta all'oggettività dei processi, alle dimensioni diplomatiche, politiche, militari, ma anche economiche e sociali dell'evento, con i nuovi orizzonti aperti da una storia che si suole definire culturale e che riporta in primo piano le dimensioni della soggettività, dell'esperienza vissuta, dell'immaginario e della memoria anche grazie all'uso di fonti mai prima esplorate. Non solo la vita politica dunque, ma anche il ruolo, attivo o passivo, delle donne e dei bambini, degli intellettuali e degli scienziati, dei giornalisti e dei cineasti. Anche il secondo volume integra ampiamente l'edizione francese con voci che mettono l'accento sulla specificità dell'Italia, con saggi sulle regioni di confine, su Vittorio Veneto e l'armistizio, sul territorio e la memoria della guerra, sulle scritture dei soldati, sulla violenza squadristica, sul cinema e la letteratura.
Il volume affronta i complessi aspetti della storia risorgimentale della Sardegna: dal sottosviluppo economico alla nascita del sistema bancario, dall'unificazione del mercato alla crescita della popolazione, dalla fine degli usi collettivi alla nascita della proprietà privata della terra, dalle strade ai porti, dalle scienze alla letteratura, dalle istituzioni al diritto. Da queste pagine emerge nitidamente come la Questione sarda e la istanza autonomistica siano nate, pochi decenni prima dell'Unità, con la cosiddetta "fusione perfetta" del 1847, attraverso la quale aveva termine la lunga parabola del Regnum Sardiniae e l'isola diventava una provincia periferica degli Stati sabaudi di Terraferma, di cui recepiva gli ordinamenti politico-amministrativi e giudiziari. Si accentuava così la dipendenza economica col Piemonte e soprattutto con Genova. L'insieme dell'opera costituisce una significativa riflessione sul recente passato, uno strumento che, ritrovando il filo delle vicende emblematiche della storia sarda dalla fine del XVIII secolo all'unificazione nazionale, ci aiuta a leggere i problemi del nostro tempo e a costruire le basi di una più consapevole progettazione dell'avvenire.

