
La spedizione di un sultano alla conquista dell’Italia. Trame oscure che, intrecciandosi, conducono a una guerra terribile che rovescerà tutta la sua violenza su una popolazione ingannata da coloro cui era fedele e, per questo, massacrata. È Otranto, 1480.
Vito Bianchi fa luce sul massacro di ottocento prigionieri inermi canonizzati di recente come martiri della fede. In realtà, come puntualizza l’autore in queste pagine, emerge che l’ecatombe, per ammissione pressoché unanime, fu la conseguenza del rifiuto della cittadinanza di arrendersi, non di abiurare e convertirsi all’Islam. Paolo Mieli, “Corriere della Sera”
Con un libro bello, documentato, vivacissimo, Vito Bianchi mostra come la questione di Otranto e dei suoi martiri, ancora molto dibattuta, debba essere inquadrata nelle guerre che infuriavano nella penisola tra il papa e il re di Napoli da una parte, Firenze e Venezia dall’altra; un episodio che obbligasse i cristiani ad abbandonare le loro contese per unirsi contro gli infedeli sarebbe stato molto utile alla parte per la quale la guerra stava andando peggio: ch’era appunto la veneziano-fiorentina. Franco Cardini, “Avvenire”
Negli anni trenta del secolo scorso Asmara, Mogadiscio, Macallè, Tripoli, Adua erano nomi familiari agli italiani. La propaganda per l'impero voluta da Benito Mussolini era stata battente e ossessiva. Dai giochi dell'oca ai quaderni scolastici, per non parlare delle parate, tutto profumava di colonie. Di quella storia ora si sa poco o niente. Anche se in Italia è forte la presenza di chi proviene da quelle terre d'Africa colonizzate. Ci sono eritrei, libici, somali, etiopi. Il libro riprende la materia dell'oblio coloniale e la tematizza attraverso alcuni luoghi di Roma che portano le tracce di quel passato disconosciuto. I monumenti infatti, più di altre cose, ci parlano di questa storia, dove le ombre sono più delle luci. Prende vita così un'analisi emozionale dei luoghi voluti a celebrazione del colonialismo italiano, attraverso un testo narrativo e delle fotografie. In ogni foto insieme al monumento viene ritratta anche una persona appartenente a quell'Africa che l'Italia ha invaso e dimenticato. Una sorta di riappropriazione della storia da parte di chi è stato subalterno. Una riappropriazione per costruire finalmente un'Italia decolonizzata, multiculturale, inclusiva, dove ogni cittadino possa essere finalmente se stesso. Presentazione di Nadia Terranova, postfazione di Andrea Bianchi.
Il volume esplora le vicende istituzionali del Regno d'Italia, viste come una sorta di laboratorio delle trasformazioni che andranno poi a definire le modalità con cui il sistema economico e sociale si muoverà nel tempo. Emergono alcuni temi che accompagnano lo sviluppo italiano fin dall'Unità: centralismo versus autonomie locali, qualità delle istituzioni e loro ruolo, rapporto tra governabilità e rappresentatività. Già presenti nei tre Decreti Rattazzi che riguardavano la riforma dello Stato, della legge elettorale e della scuola, costituiscono altrettanti nodi ancora oggi al centro del dibattito politico, per l'importanza cruciale che rivestono nello sviluppo del sistema produttivo in una economia in crisi come quella del nostro paese.
L'itinerario ripercorre le tappe dell'Italia napoleonica lasciando in sottofondo i campi di battaglia e restituendo, piuttosto, la fitta rete dei luoghi della memoria: monumenti, edifici, ma anche tracce di civiltà materiale. Accanto all'Italia di Napoleone vi fu, però, anche un'Italia dei Bonaparte (i Napoleonidi, come furono chiamati), che popolarono l'Italia della Restaurazione assai più della Francia. Molte città furono luogo d'azione dei fratelli di Napoleone e dei loro figli, così come delle sorelle Elisa, Carolina e Paolina. Non solo Roma e Firenze, ma anche Trieste, Bologna, Macerata, Viareggio, Senigallia e altre città ancora videro nascere e morire ville e palazzi dei Bonaparte. Una presenza giunta sino agli anni Venti del Novecento e che rese l'Italia - dopo la Francia - il paese più napoleonico d'Europa.
Con l'avvento delle armi da fuoco, l'organizzazione degli eserciti permanenti, il ricorso a condottieri, mercenari e militari che fanno della guerra una professione, la costruzione degli stati si accompagna a un periodo di bellicosità nuovo. Le forze armate costano sempre di più, condizionano l'economia, la società e la cultura, lasciando tracce di devastazione, ma creando anche notevoli trasformazioni nei ruoli e nel coinvolgimento delle popolazioni. Nell'Italia moderna c'era tutto questo e altro: italiani in armi che si affrontavano non solo nei vari stati regionali o al servizio di eserciti stranieri, ma erano impiegati in pace nel controllo dell'ordine pubblico, o nel presidio di cittadelle e fortezze. L'accumulazione e dilapidazione di risorse per alimentare gli eserciti non era che uno degli aspetti legati alla complessità del «militare», come è possibile verificare anche attraverso i dibattiti sul concetto di guerra giusta o legittima.
Si raccolgono qui i risultati della seconda fase del progetto di ricerca di interesse nazionale dedicato alla costruzione dell'atlante storico dell'istruzione negli stati italiani dall'età delle riforme fino alle soglie dell'unità nazionale, che sono stati presentati al convegno "Per un atlante storico dell'istruzione maschile e femminile in Italia tra '700 e '8002 (Perugia, 28-31 maggio 2008), e si compie così un ulteriore passo nell'avanzamento dei lavori. Al volume dei saggi è allegato il tomo della cartografia, che raccoglie ottantuno nuove carte storiche, che si affiancano alle precedenti quarantasette, e che forniscono così i primi elementi iconografici omogenei di comparazione tra le diverse realtà politiche studiate.
I beni comunali, vale a dire le terre di uso collettivo, hanno storicamente costituito un elemento decisivo nella vita delle comunità rurali del Friuli. Questo patrimonio fondiario, rappresentato da boschi, prati stabili, pascoli e paludi, ha consentito un vitale supplemento di risorse per le masse diseredate delle campagne fino alla prima metà del XIX secolo, ed è stato, assieme alla chiesa locale, un potente fattore di radicamento e di identificazione territoriale che ha regolato le relazioni intra-comunitarie e quelle di vicinato e ha garantito la sopravvivenza e la conservazione del modello socio-economico che si era consolidato nel tempo. Il volume riporta la trascrizione dei "Privilegi', ovvero degli atti di concessione dei beni comunali in epoca veneta alle ville e ai borghi compresi entro il territorio di Udine e dei comuni ad esso circostanti, offrendo molteplici informazioni e indizi sulla vita quotidiana delle antiche comunità rurali.
ll vastissimo patrimonio dei beni comunali, cioè le terre di uso collettivo, è stato fino all'Ottocento un istituto decisivo per le diseredate masse rurali del Friuli, poiché ha rappresentato per esse un vitale supplemento di risorse e, insieme alla chiesa locale, un potente fattore di radicamento identitario e territoriale e di regolazione dei rapporti vicinali. Facendo seguito alla pubblicazione del 2004 (dedicata all''area metropolitana udinese') e a quella del 2010 (riguardante un territorio compreso tra Mortegliano, Codroipo, Dignano e Mereto di Tomba), questo volume propone la traduzione a stampa dei privilegi con cui Venezia concedeva in uso "per grazia" le terre pubbliche alle comunità rustiche comprese negli attuali comuni di Rive d'Arcano, San Daniele, Ragogna, Majano, Osoppo, Gemona, Venzone, Artegna, Buia, Treppo Grande, Tricesimo, Colloredo di Monte Albano, Moruzzo e Fagagna. Un articolato inquadramento al complesso tema dei beni comunali in Friuli è propedeutico alla lettura ragionata degli atti trascritti, che apre ad uno stimolante spaccato sulla vita quotidiana della società rurale premoderna.