
Braudel dispiega la sua insuperata capacità di tracciare le grandi linee di uno sviluppo storico individuando le nervature dei processi. Si dedica al "lungo Cinquecento", i quasi due secoli che vedono il primo sviluppo del capitalismo europeo e la formazione di un'economia mondiale: processo interrotto a metà Seicento e riavvito un secolo dopo. Braudel illustra dapprima le tendenze generali del periodo, poi analizza gli episodi particolari, infine il lungo e frastagliato riflusso che frena lo sviluppo europeo nella prima metà del Seicento.
Il volume raccoglie quanto fu scritto da Braudel per un libro che preparò sul finire della prigionia in Germania, nell'autunno 1944, a partire da un ciclo di lezioni tenuto in campo di concentramento. Sono lezioni sul senso della storia dedicate non a un pubblico di studiosi o studenti, ma di uomini comuni riuniti da una vicenda storica non comune. L'edizione italiana si correda di una introduzione redatta dalla moglie di Braudel, che sulla base di testimonianze e carte inedite ricostruisce le vicende della prigionia dell'autore in Germania.
L'attenzione che oggi richiama in tutto il mondo l'opera di Fernand Braudel, il grande storico francese scomparso nel 1985, va indubbiamente al di là della tradizionale accoglienza che gli é sempre stata riservata dalla comunità degli storici. Allievo e successore di Lucien Febvre alla guida della scuola delle «Annales», autore di opere centrali della storiografia di questo secolo, Braudel ha visto crescere intorno al suo lavoro, soprattutto negli ultimi anni, l'interesse degli uomini di cultura e del pubblico e vi ha preso parte attiva con numerosi interventi (annotazioni, interviste, libri di fotografie, trasmissioni televisive). Il lettore potrà trovare nel volume saggi importanti e anticipatori delle tematiche tipiche del «modello braudeliano» d'indagine storiografica.
Il periodo tra Antichità e Medioevo, ormai comunemente denominata Tardoantico, gode oggi negli studi di una particolare fortuna. Considerato tradizionalmente un periodo di decadenza, l'epoca cosiddetta "tardoantica" ha ormai acquisito una propria dignità in quanto sostrato dell'Europa moderna. Il volume di Brandt traccia, secondo tale nuova prospettiva, la storia di questo momento di trapasso fra il terzo e il sesto secolo d.C., segnato da numerosi contrasti e rivolgimenti. L'autore mette in luce quanto vasti siano l'eredità e gli impulsi che da quell'età discendono: basti pensare alla diffusione del Cristianesimo, alla tensione fra potere ecclesiastico e potere secolare, alla codificazione del diritto.
Dopo anni di carcere, ancora braccato dall'FBI e ormai costretto su una sedia a rotelle, Frank Sheeran confessa, per la prima volta al suo avvocato Charles Brandt, il mistero che ha ossessionato l'opinione pubblica statunitense per quasi trent'anni a partire dall'estate del 1975: la sparizione di Jimmy Hoffa, mitico protagonista del sindacalismo americano tra gli anni Cinquanta e Settanta, un caso rimasto irrisolto poiché nessuno è stato mai condannato né il corpo di Hoffa ritrovato. Per certo, è stato un personaggio scomodo a molti uomini, politici e criminali, e che il caso non sia mai stato chiuso fa pensare alla responsabilità di poteri molto in alto. Ma perché Sheeran ha scelto di parlare a trent'anni dai fatti, fuori da un'aula di tribunale? Frank "l'Irlandese" Sheeran a metà degli anni Cinquanta è stato dirigente della più grande unione sindacale americana, l'International Brotherhood of Teamsters (che rappresenta la categoria degli autotrasportatori), al fianco del suo fondatore e leader, Jimmy Hoffa. Ma Frank è stato anche l'uomo delle "commissioni" che la mafia gli affidava in nome della sua leggendaria freddezza. Com'è riuscito questo gigante dai capelli rossi e dal pugno di ferro a diventare il braccio armato del padrino Russell "McGee" Bufalino e insieme la spalla del sindacalista più potente degli Stati Uniti? "L'Irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa" risponde a questa e a molte altre domande...
Il volume di Hugo Brandenburg, pubblicato per la prima volta da Jaca Book nel 2004, è diventato un'opera di riferimento internazionale sulle prime chiese di Roma, straordinario fenomeno edilizio che, a seguito dell'editto di Milano del 313 emanato da Costantino e dal coreggente Licinio, rese Roma il primo centro di espressione e diffusione di quella nuova arte che definiamo «paleocristiana». La lettura delle Scritture, la salmodia, l'omelia e il banchetto divino che caratterizzavano le riunioni e le pratiche di culto delle prime comunità - e anche dopo l'età apostolica - si svolgevano in ampi ambienti privati, o altri edifici messi a disposizione da un membro della comunità, non costituendo ancora un'associazione religiosa riconosciuta, dotata di proprio status giuridico, e non potendo possedere beni immobili. Diversamente dai templi o dagli edifici di culto pagano, sacralizzati dalla presenza del dio, il cui culto si svolgeva per lo più all'esterno, il servizio divino dei cristiani aveva sempre luogo in ambienti chiusi. Dalla fine del II secolo, con l'accrescersi delle comunità si rese necessario avere specifici spazi destinati al culto, luoghi che verranno definiti domus dei o domus ecclesiae, dal termine greco che in origine designava la comunità stessa, l'assemblea dei credenti, ai quali via via verrà attribuita la sacralità che ne farà il «tempio di Dio». Ma bisognerà attendere l'epoca costantiniana perché questi luoghi inizino a presentare una particolare fisionomia architettonica e acquisiscano nella Chiesa cristiana la fisionomia monumentale che possiamo ancora ammirare.
Il volume è il catalogo della mostra di Roma (Archivio di Stato, 2 maggio - 4 giugno 2005). La mostra illustra, attraverso un ricco corredo iconografico e documentale, le trasformazioni subite dal paesaggio naturale ed urbano del litorale laziale, nel periodo compreso tra il XVI e il XIX secolo. Un'area di estrema importanza storica che ricomprende le più importanti città marinare della provincia di Roma: Civitavecchia, Fiumicino, Anzio, Nettuno, cui si aggiungono altri centri di consolidata vocazione turistica, quali Ladispoli e Santa Marinella.
"Siamo nani sulle spalle di giganti", mi è venuto da ripetere con Bernardo di Chartres, rileggendo quei miei elzeviri-incontri con protagonisti nella vita politica e religiosa, sociale e culturale di tre continenti nell'ultimo secolo (oggi tutti ormai scomparsi eccetto Giovanni Paolo II). La mia piccolezza contribuisce, mi pare, a far grandeggiare - anche nell'episodio e nell'aneddoto - la loro importanza nella e per la vita del Novecento. Una vita alla quale io ho partecipato molto modestamente (come ricordano le ultime pagine), operando lungo settant'anni, nella ricerca di verità e di libertà: una ricerca che quei maestri e protagonisti avevano posto generosamente come fine ideale della loro vita e della loro azione. (Vittore Branca)
La rimarcabile unità geografica da sempre caratteristica dell'Egitto è il primo fondamento della sua eccezionale continuità storica, che si è costruita nell'alternarsi e nel confronto tra diverse dimensioni di espansione e influenza: quelle asiatica e africana sul piano continentale, quelle nilotica e mediterranea sul piano regionale. Il libro introduce a questa molteplicità di dimensioni e piani - storico, politico e culturale - che hanno via via contribuito a trasformare e arricchire l'identità dell'Egitto. Si apre con due contributi sulla civiltà dei Faraoni e le sue espressioni religiose; si svolge poi attraverso la diffusione del cristianesimo e l'elaborazione di forme artistiche proprie, tardo-antiche e cristiane, fino ai cambiamenti portati dalla conquista araba e dalla diffusione dell'Islam. I secoli medievali e quelli del governo dei Turchi, prima mamelucchi poi ottomani, rappresentano per il paese un'alternanza di luci e ombre, una complessità della quale rende conto anche un capitolo sulla società e la cultura del Cairo medievale. La modernità, giunta con l'esercito napoleonico, affascina molti esponenti della società egiziana e, attraverso essi, si irradia in altre regioni del Vicino Oriente. I temi propri del Risorgimento arabo e poi dell'individuazione di quali dimensioni privilegiare tra le tante proprie del paese - islamica, araba, egiziana, mediterranea - hanno fatto dell'Egitto nel Novecento un vero laboratorio di riflessioni e decisioni politiche cariche di conseguenze.
Se si leggono le ricostruzioni che storici e giornalisti fanno degli anni di piombo, sembra che i brigatisti rossi e i loro stretti parenti siano sempre stati considerati dei folli, isolati da tutto il resto del Paese. Sembra che il progetto di una società comunista, da realizzare attraverso una rivoluzione, sia stata una pazza idea nelle menti di pochi. Ma non andò così. Per una decina d’anni, diciamo dal 1968 in poi, l’estremismo di sinistra poté godere della benevolenza, del consenso, e a volte della complicità della maggior parte dei giornali e del mondo della cultura ufficiale. Ci volle il cadavere di Moro fatto trovare a metà strada fra le sedi della Dc e del Pci per interrompere una mistificazione che i mass media conducevano dal tempo della scoperta dei primi covi delle Brigate Rosse. Per dieci anni gli italiani furono ingannati dai nove decimi della stampa nazionale, che chiamò «sedicenti» le Brigate Rosse e nascose e negò qualsiasi episodio di violenza e di estrema sinistra. Perché accadde tutto questo? Molti giornalisti agirono per fede politica. Ma molti altri, più semplicemente, si accodarono seguendo il vento, che in quel momento sembrava portare a un immancabile trionfo del marxismo. Così, legioni di cronisti «borghesi» si misero l’eskimo, confermando una vecchia battuta di Leo Longanesi, e cioè che lo stemma al centro della bandiera italiana dovrebbe essere la scritta: «Ho famiglia».
Questo libro, il cui titolo è entrato a suon di edizioni nell’immaginario collettivo come la sintesi più efficace di un dato periodo di giornalismo italiano, riporta fra virgolette che cosa scrissero i giornali sui principali episodi di violenza dell’estrema sinistra. Il lettore della presente nuova edizione rivista e aggiornata, a distanza di tanti anni dalla prima del 1990, continuerà a stupirsi, incredulo.