
"A salvare il Tempio non valsero né gli sforzi dei Giudei, subito accorsi a combattere le fiamme, né l'intervento di Tito in persona, che si precipitò alla testa del suo stato maggiore ordinando ai soldati di spegnere l'incendio. Ormai la violenza dello scontro era cresciuta a dismisura e gli ordini non venivano più ascoltati da uomini che, sentendo di avere finalmente in pugno la vittoria, erano in preda ad un furore incontenibile e ad una smodata brama di saccheggio. Anziché estinguere le fiamme, le alimentarono. Il Tempio era perduto." Il conflitto tra Romani ed Ebrei fu una guerra ai limiti del genocidio, segnata dalla totale incomunicabilità tra le due parti: lo zelo ebraico verso la Legge divina da un lato, la devozione romana per le umane leggi dell'impero dall'altro. Un disastro per Roma, che nello scontro dissipò buona parte della sua forza militare e disperse un patrimonio non rimpiazzabile di energie vitali, quasi quanto per gli sventurati Ebrei. Una vicenda i cui cupi rintocchi continuarono a lungo a risuonare, non solo in Oriente.
Alla Società dei Giacobini di Parigi, sul finire del 1791, Brissot propose una guerra all’Europa intera in nome della libertà dei popoli, ma venne prontamente contrastato da Robespierre, che temeva da quella scelta un drammatico contraccolpo sui precari equilibri della Francia rivoluzionaria.
Brissot avrebbe vinto il duello oratorio, la Francia sarebbe andata in guerra e avrebbe scoperto la Repubblica: ma il tribunale dei posteri sarebbe stato sempre con Robespierre, riconoscendogli il merito di avere resistito alla violenta deriva del patriottismo.
Su questa lettura fan tuttavia premio gli avvenimenti successivi, quando il rovescio delle operazioni militari portò al precipizio Brissot e la Gironda e aprì la via al governo rivoluzionario dominato dal suo avversario. Nella congiuntura politica di fine 1791 il senso delle posizioni dei due era infatti diverso: entrambi favorevoli a una guerra di libertà, si differenziavano giusto per le priorità che intendevano assegnare all’azione politica rivoluzionaria.
Il volume restituisce quel duello oratorio alla propria originale dinamica, proponendo, in uno stretto ordine cronologico, il serrato contraddittorio tra i due, costruito su tre discorsi per parte, dove le argomentazioni dell’uno son puntualmente riprese e criticate dall’altro. In tal modo, le parole di Brissot, mai tradotte in italiano, molto attutiscono l’avventurismo politico sempre addebitatogli e consentono al tempo stesso di rileggere quelle di Robespierre su altro registro rispetto al pacifismo rivoluzionario troppo spesso riconosciutogli.
Com'è morto Hitler? Che cosa sapeva Stalin delle circostanze del suo suicidio? Perché, se ne aveva le prove, continuò a sostenere con i suoi alleati occidentali che Hitler fosse fuggito? Per la prima volta, dopo oltre settant'anni, il governo russo ha consentito a due giornalisti e documentaristi, nonché a uno dei più illustri medici legali francesi, Philippe Charlier, di consultare gli archivi segreti sull'incredibile caccia al cadavere di Hitler da parte delle spie sovietiche: gli interrogatori dei testimoni degli ultimi giorni del Fuhrer, la pianta del bunker dove Hitler ed Eva Braun si sposarono e poi si suicidarono, a quanto si ritiene, il 30 aprile 1945, un piano di fuga, una grande mole di verbali, ma soprattutto resti umani: un pezzo di cranio che presenta il foro della pallottola che lo uccise, un frammento di mandibola, alcuni denti attribuiti a Eva Braun. All'indomani dell'armistizio, riuscirono o no i russi a identificare il cadavere di Hitler, nonostante fosse stato probabilmente bruciato? Nell'assenza del cadavere, i dubbi che Stalin istillò si propagarono come una cancrena e continuano ancora oggi ad alimentare ogni genere di fantasma. Esaminando archivi inediti e utilizzando le metodologie più moderne, gli autori ci consegnano un'inchiesta che riscrive gli ultimi giorni della seconda Guerra Mondiale, l'inizio della Guerra Fredda: e getta una luce definitiva sul giallo storico più discusso del Novecento: il giallo della scomparsa del cadavere di Hitler.
Una tangente non è mai solo una questione di costi e benefici; ogni comportamento, più o meno lecito, è influenzato dal luogo e dall'epoca, dalle leggi in vigore e dalle norme morali: in una parola dalla nostra stessa cultura. Anche per questo leggere una commedia di Aristofane, un dramma di Shakespeare o un romanzo di Balzac può aiutarci a indagare sulla corruzione nella storia almeno quanto cronache, studi e documenti. A ben guardare, governanti e uomini d'affari accusati di malversazione nel corso del tempo sono altrettanti personaggi romanzeschi: dal latino Verre ai «barattieri» descritti da Dante, dal sovrintendente del Re Sole, Fouquet, al lobbista Jack Abramoff, dai venditori di cariche pubbliche nell'Italia spagnola ai gerarchi fascisti prezzolati, da Bonifacio VIII a Francis Bacon, dai boss della criminalità organizzata ai protagonisti dell'Iraqgate. Questo libro ne ripercorre le storie e le mette a confronto spaziando dalle civiltà mesopotamiche, dove ungere le ruote era considerato lecito, alla Roma di Giulio Cesare, in cui il favore interessato era un costume condannato ma ampiamente diffuso, dall'Europa di Lutero, che denunciò la decadenza della Chiesa, all'irrisolta questione morale dei giorni nostri. Una cavalcata tra i secoli che intreccia politica e letteratura, storia dei fatti e delle idee, e che illumina l'origine e l'evoluzione della «cultura della mazzetta» attraverso saggi e satire, testimonianze, favole e film, dal Principe di Machiavelli al Pinocchio di Collodi: per ricostruire la trama del grande romanzo della corruzione e comprenderne le mutazioni e i devastanti effetti ma anche per ribadire la necessità di continuare a opporvi la più cocciuta resistenza.
Dalle origini del piccolo villaggio ai primi conflitti in politica estera, alla crisi della repubblica, alla nascita dello stato imperiale, ai suoi problemi organizzativi, economici, sociali e religiosi, per giungere sino ai tentativi di riforma della tarda antichità, il libro traccia in maniera sintetica le linee fondamentali della storia di Roma. Sono poi affrontati i temi relativi alla cristianizzazione, alle migrazioni dei popoli, al crollo dell'impero in Occidente e ai tentativi di restaurazione in Oriente. Infine viene gettato uno sguardo sulla perdurante eredità di Roma.
Impareggiabili mercanti di sogni, i viaggiatori hanno riportato dall'Oriente paesaggi abbacinanti di luce, architetture grandiose, abbigliamenti bizzarri e pittoreschi, fragranze di rarissime spezie, voluttuose figure femminili. Essi hanno stipato l'immaginario occidentale delle raffigurazioni di un mondo esotico ed intensamente erotico, dispotico e crudele, elusivo ed enigmatico: una profusione di forme e di immagini di cui si approprieranno l'arte, la letteratura, il melodramma, la moda. L'harem, il bagno turco, il serraglio sono diventati sinonimo di lussuria, di sensuale indolenza, di uso capriccioso e arbitrario del potere. In questo genere di viaggio trova inoltre espressione l'anelito dell'uomo moderno a liberarsi dalle spire del conformismo, a ricongiungersi con le proprie origini, a ritrovare la culla delle religioni monoteiste, e, in una ricerca della fase aurorale delle civiltà, a rigenerarsi a contatto con l'immenso emporio dei miti. Ma vi è implicita anche la violazione di un universo chiuso, interdetto agli occidentali dalle barriere culturali e dalla natura dei luoghi, che si tratti dei deserti dell'Arabia e delle inviolabili città sante della religione musulmana, oppure dell'intrusione voyeuristica nell'harem del sultano o nella comune intimità domestica. Nella sua affascinante ricostruzione il libro attinge ai racconti dei protagonisti, fonti tanto preziose quanto poco conosciute attraverso le quali si è formato nel mondo occidentale il sogno del favoloso Oriente.
Migrazioni, invasioni, esodi, anabasi, deportazioni: la storia dei popoli è segnata dal procedere collettivo dei viaggi. Al di là di questi cataclismi umani, sono singoli personaggi ad assumersi il compito di andare oltre l'orizzonte conosciuto. Nell'interminabile percorso terrestre di Marco Polo verso il Catai, in quello marittimo di Cristoforo Colombo che s'imbatte nel continente imprevisto, nelle peregrinazioni dei mercanti avventurieri veneziani, genovesi, fiorentini ritroviamo una stessa visionaria temerarietà. Ma proprio le loro vicende valgono a ricordarci che spirito ardimentoso di avventura e volontà di dominio nell'Europa dei potentati sono inscindibili. A Oriente come a Occidente con l'apertura delle grandi rotte oceaniche il viaggio d'esplorazione si fa subito viaggio di conquista, fatto di avidità e conoscenza, scoperta e sfruttamento, richiamo dell'ignoto e brama di ricchezze. E oggi? Oggi che i viaggi non offrono più i loro tesori, ripercorrere quelle avventure significa attingere alla formidabile risorsa dell'immaginario e, in compagnia di navigatori, pirati, cannibali, eruditi, sultani, gioiellieri e gesuiti, appassionarsi a inedite trame narrative, consapevoli delle irriducibili contraddizioni di quella eredità in divenire che chiamiamo civiltà.
Il Grand Tour, consuetudine delle classi colte europee nei secoli passati, trovava il suo culmine nel Bel Paese, in omaggio al quale diventava il Viaggio in Italia. Come si svolgeva ce lo racconta la messe di diari, memorie, guide, epistolari a cui il libro attinge, restituendoci le vicende di uomini e donne d’ingegno, di nobili, di artisti, di poeti, di studenti e di quanti si dettero con entusiasmo alla scoperta della penisola. Ripercorriamo così gli itinerari più battuti, sperimentiamo l’equipaggiamento e i mezzi di trasporto, riviviamo gli incidenti e le avventure, ma anche i sogni e a volte lo scoramento di quei primi turisti. Ma c’è dell’altro, perché grazie a quelle testimonianze potremo fare l’unica, autentica esperienza di viaggio ancora possibile oggi: tornando sui passi degli antichi visitatori, in loro compagnia, fare nostre le loro mete favolose.
Attilio Brilli è fra i massimi esperti di letteratura di viaggio. Tra i suoi numerosi libri per il Mulino segnaliamo «Il grande racconto del viaggio d’esplorazione, di conquista e d’avventura» (2015), «Il grande racconto delle città italiane» (2016) e «Gli ultimi viaggiatori nell’Italia del Novecento» (2017).
Nel 1899, ricordando i suoi soggiorni in Italia, Lev Tolstoj scriveva alla moglie: «Firenze, è vero, anche a me piace per la modestia e la gradevolezza. Al mio tempo - tuttavia - d'improvviso si cominciò a sciupare: era diventata capitale». Molti dei viaggiatori stranieri che in quegli anni intraprendevano il grand tour lungo le strade italiane rimanevano interdetti davanti ai cantieri che affollavano il centro storico. Osservando gli sventramenti degli stretti vicoli fiorentini, Ruskin rimpiangeva la Firenze immobile di alcuni anni prima, quando era ancora possibile attraversare le stesse strade percorse da Dante. La trasformazione aveva preso il via con l'unità d'Italia, quando i politici sabaudi avevano deciso di spostare temporaneamente la capitale da Torino a Firenze, nella speranza di stabilirla un giorno a Roma, ancora da conquistare. Il ruolo di capitale, seppure provvisoria, aveva reso necessari cambiamenti strutturali che minacciavano l'antica pianta della città: le mura medievali furono abbattute e al loro posto nacquero ariosi boulevard e interi quartieri sorsero a ridosso della città vecchia. Le trasformazioni di Firenze tuttavia non sono paragonabili a quelle che coinvolsero Roma. Dal 1871 le vie dell'Urbe sono invase di calcinacci e ponteggi, mucchi di pozzolana rossa e muraglie di detriti, lastre di travertino e polvere. I borghi del centro demoliti o ridisegnati, gli enormi spazi verdi delle ville patrizie all'interno delle mura - caratteristica peculiare della geografia urbana di Roma - venduti e edificati. Quella che era la provinciale e immobile città dei papi cominciò a crescere a dismisura, senza controllo. Utilizzando le testimonianze e i diari dei viaggiatori del tempo, Attilio Brilli insegue la capitale nel suo viaggio da Torino a Roma, attraverso Firenze, e ci restituisce la cronaca avvincente di un momento decisivo della storia italiana: la nascita di una società moderna, espressione di una nuova classe sociale, che avrebbe cambiato nel profondo la fisionomia delle grandi città italiane.
Sapevate che Pandora ha scoperchiato il celebre vaso perché era una maniaca della pulizia e voleva spolverarlo? E che Achille è stato un bambino cagionevole e si è preso tutte le malattie esantematiche, pure quelle che non esistono? Per non parlare di Ulisse, che per smascherare Achille e arruolarlo si è travestito da venditore ambulante di borse taroccate. La mitologia classica come non l'avete mai letta, rivisitata dal talento irresistibilmente comico di Enrico Brignano. Da quando sua figlia ha imparato a memoria le fiabe più conosciute, Enrico Brignano ha dovuto architettare nuovi modi per intrattenerla e per farla addormentare. Ha cominciato allora ad attingere dal serbatoio infinito di storie della letteratura greca, pescando tra le reminiscenze scolastiche e lavorando di fantasia per colmare le lacune ed evitare le domande scomode della sua piccola ascoltatrice. Nasce così questa divertentissima raccolta di miti classici reinventati, in cui la sua scatenata immaginazione ci mostra dèi, eroi e personaggi tragici in una veste inedita ed esilarante. «Può sembrare niente, ma l'Olimpo era il condominio divino con guardia alla reception h24, un luogo molto esclusivo dove non è che potessero entrare pizza e fichi, ma solo gente selezionata, un po' come nel backstage dei Maneskin! E a Zeus, il capoccia di tutto il cucuzzaro di divinità, stava talmente simpatico Prometeo che a un certo punto lo convocò e gli disse: Prome', senti, qui si sta bene per carità, il vicinato è ottimo, si mangia bene, le case sono belle e non ci manca niente. Però un po' ci si annoia. Allora avrei pensato, no?, perché non ti occupi di impastare degli esseri a nostra immagine e somiglianza, così li piazziamo sulla terra e vediamo un po' che combinano? Ci mischiamo a loro, gli mandiamo qualche maledizione... insomma, passiamo il tempo».
Il 25 ottobre 1854, durante la guerra di Crimea, la Brigata leggera della Divisione di cavalleria britannica, in difesa della base di Balaklava, fu protagonista della più celebre carica della storia militare. Seicentosessantaquattro uomini si lanciarono per quasi due chilometri contro le bocche da fuoco dei cannoni russi, piazzati di fronte a loro e su entrambi i fianchi. Cavalcarono dentro la bocca di un vulcano. Molti di loro caddero, ma, come disse un ufficiale russo, "neppure un solo uomo si arrese". Nel resoconto particolareggiato della carica e della sanguinosa mischia che seguì, Terry Brighton si è basato su anni di ricerche per raccontare per la prima volta la drammatica vicenda attraverso le parole dei superstiti. E rivela che la carica non fu quel che avrebbe voluto Lord Raglan, comandante dell'esercito britannico in Crimea. Il suo ordine scritto fu portato da un aiutante di campo a Lord Lucan, comandante della Divisione di cavalleria, che lo trasmise poi a voce a Lord Cardigan, comandante della Brigata leggera. Nel passaggio da Raglan a Cardigan, il significato dell'ordine venne frainteso. L'autore sgombra il campo da molti miti popolari riguardanti l'evento, dimostrando come la carica sia stata in realtà uno stupefacente successo perché, pur "nelle mandibole della Morte, nella bocca dell'Inferno", secondo le parole di una celebre poesia di Tennyson, la Brigata leggera catturò infine la batteria e la cavalleria russa fuggì.
Questo saggio, in controtendenza rispetto al conformismo ufficiale, completa la nuova critica storiografica sul Risorgimento, e si propone di dimostrare come l'Unità Piemontese, ben lungi da essere stata una unificazione, abbia invece prevaricato il pluralismo dei poteri istituzionali e la ricchezza delle prassi amministrative pre-unitarie. Forte dell'insegnamento di storici dell'amministrazione quali Gianfranco Miglio e Roberto Ruffilli, che fu assassinato dalle Brigate Rosse nel 1988, l'autore prende in considerazione la realtà burocratico-amministrativa degli Stati Italiani prima del 1861, con l'intento di proporne una visione oggettiva. Il fine dell'opera vuole essere il superamento delle polemiche a cui si assiste ancora, dopo centocinquant'anni, nel momento in cui questa pagina di storia viene affrontata in modo non convenzionale, dandone una lettura difforme da quella fatta proprio dai vincitori e indotta nei vinti, che ha teso ad imporsi più che a proporsi anche attraverso l'uso propagandistico della memorialistica e la reiterazione di racconti di comodo in migliaia di pubblicazioni e manuali scolastici.