
A dieci anni dalla prima uscita in lingua italiana dello Strategikon, un testo fondamentale per lo studio dell'esercito romano e quasi ignorato fino a pochi anni fa, nasce una nuova edizione riveduta e corretta dell’opera, arricchita con il testo a fronte in lingua greca. Si tratta di un completamento di grande importanza per gli studiosi e gli appassionati della materia, perché consente di approfondire la conoscenza, anche a livello filologico e linguistico, di una fonte storica importante per la comprensione degli usi e delle consuetudini degli eserciti romani di ogni tempo, del modus cogendi dell’epoca, e in ultima analisi dell’essenza dell’arte militare antica.
Questo trattato di arte militare bizantina del VI secolo, che ha costituito fino all'alto medioevo un punto di riferimento letterario, storico e documentale per generali, comandanti e imperatori, raccoglie in modo organico e sorprendentemente moderno le nozioni di arte militare dell'epoca, e costituisce forse il primo esempio nella storia occidentale di vero e proprio manuale militare pratico; vi vengono descritte nei minimi dettagli l'organizzazione, l'armamento e l'equipaggiamento delle truppe imperiali, le tecniche di marcia, di schieramento e di combattimento, e contiene inoltre una interessante e inedita descrizione degli usi e dei costumi militari dei principali nemici dell'Impero d'Oriente di quegli anni, soprattutto Persiani, Slavi, Avari e Longobardi. Tradotto per la prima volta dal greco in italiano, lo Strategikon è un documento prezioso anche per la comprensione degli usi e della mentalità del mondo romano più antico, di cui l'esercito dell'Impero d'Oriente si considerava legittimo e orgoglioso erede: i comandi in latino, rigorosamente conservati, la severa disciplina e le prestigiose tradizioni descritte da Maurizio aiutano a ricostruire "a ritroso" molti aspetti finora sconosciuti e inattesi dell'esercito più potente della storia.
È stato il primo genocidio del Novecento. Più di un milione di armeni cristiani dell'Impero ottomano sono stati uccisi, in massacri e marce della morte, durante la Prima guerra mondiale, a partire dal 1915, esattamente cento anni fa. Ritorsione per la collaborazione con la Russia nemica o attuazione di un disegno nazionalista, per il quale la nuova Turchia doveva essere etnicamente e religiosamente omogenea, tutta turca e tutta musulmana? Sempre negato da parte turca, il genocidio degli armeni è stato dimenticato per decenni. Di recente, nuove indagini e ricerche hanno fatto luce su una vicenda tragicamente moderna e fornito risposte a domande importanti: chi diede l'ordine di uccidere? Come fu attuata una strage di così incredibili proporzioni? Agile e aggiornato, opera di uno dei primi storici italiani ad occuparsi della questione armena, questo volume si rivolge in particolare ai giovani e ai lettori che vogliono conoscere, comprendere, ricordare.
"Accadono a Roma cose incredibili". E l'inizio dell'ultima pagina del diario che un ebreo romano, ufficiale delle Regie Forze Armate, scrive all'alba del 16 ottobre 1943, poco prima di essere catturato e avviato al campo di sterminio di Auschwitz. "Cose incredibili", infatti: nel giro di pochi anni le leggi razziali, e poi le deportazioni, sconvolgono e distruggono la vita della più antica comunità ebraica italiana. Gli ebrei della capitale vivono la discriminazione razziale con incredulità e amarezza, ignari tuttavia della tragedia che si va preparando. Protagonisti delle storie raccontate in questo libro sono, all'epoca, ragazzi, poco più che adolescenti. Sono sopravvissuti a volte per caso, a volte perché la solidarietà e l'amicizia dei loro concittadini - spesso dei religiosi - sono stati più forti della paura delle rappresaglie, I loro ricordi, che pacatamente intrecciano insieme eventi drammatici e piccole vicende della vita quotidiana, testimonianze dai campi di sterminio e vivaci ritratti del popolo del Portico d'Ottavia, sono consegnati ai giovani di oggi perché non si perda la memoria del più grave crimine contro l'umanità di cui deve rispondere il nostro secolo.
"Questo libro vuol essere un contributo a una cultura politica di ampio respiro, non appiattita sull'emozione del momento o sugli archetipi del nemico, nomade e straniero. È una rimeditazione di un dramma - quello dello sterminio degli zingari a opera dei nazisti, dopo una secolare persecuzione la discussione di un caso, ma anche la proposta di un ripensamento delle politiche per gli zingari a partire dalla scuola, cioè dall'investimento sui più giovani. È, anche, un richiamo al pericolo dell'antigitanismo, che viene da una storia antica e si fa disprezzo verso un intero popolo. L'antigitanismo ci rassicura che il nemico della nostra sicurezza è lì, davanti a noi, nei campi, sudicio, accattone, infido, ma in fondo debole, facilmente schiacciabile. L'antigitanismo è un prodotto della paura delle nostre società e si alimenta di stereotipi antichi oltre che dell'esperienza di un contatto, non sempre facile, molto particolare, con gli zingari". (Dall'introduzione di Andrea Riccardi)
Utopia e realismo sono categorie politiche che compaiono nel Cinquecento. Per Machiavelli compito della politica era riflettere sulla realtà effettuale, per Moro, invece, idearne una nuova. In modi opposti, entrambi reagirono all'esperienza di Savonarola: il suo rogo (1498) aveva segnato la fine del mito della profezia. Da quella triangolazione nacque il pensiero politico moderno, del quale l'utopia rappresentò un elemento fondamentale. La storia che qui si traccia non è perciò quella del genere letterario fantastico, ma segue l'intreccio tra progetti ideali e volontà politica di trasformare la realtà. Nel Cinquecento l'utopia fu collocata nello spazio immaginario; nel Seicento toccò terra nel tempo storico, sotto la forma di teocrazia; nel Settecento l'Illuminismo la secolarizzò e proiettò nel futuro. A farne la teoria fu Montesquieu, e dopo di lui i philosophes si chiesero se l'utopia avesse la forza di cambiare la realtà. La risposta venne dalla rivoluzione: dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 alla Congiura degli Eguali, per costruire la società ideale i rivoluzionari ripresero tutte le tradizioni utopistiche della storia moderna. La condanna a morte di Babeuf (1797) chiuse in maniera drammatica la parabola dell'utopia politica moderna.
Il libro tratta gli aspetti essenziali della storia europea del XVIII secolo. A grandi linee, le tematiche sviluppate sono: la società nelle sue articolazioni; la politica (storie nazionali, conflitti, equilibri internazionali); l'Illuminismo e i suoi sostenitori; le aperture dell'Europa verso il resto del mondo; la radicalizzazione dell'Illuminismo e la reazione ad essa, con accenni agli sviluppi del XIX secolo.
Un'approfondita analisi delle origini e degli sviluppi dell'Illuminismo, che è contemporaneamente un ampio quadro storico della società europea del Settecento. Ulrich Im Hof (1917-2001) ha insegnato per molti anni Storia moderna all'Università di Berna. Le sue pubblicazioni comprendono opere sulla storia della Svizzera e sul XVIII secolo.
Il 1913 è l'anno chiave del ventesimo secolo, dove nulla sembra impossibile, l'anno in cui ha inizio il nostro presente. Tanto la letteratura quanto l'arte e la musica sono ancora estranee alla perdita dell'innocenza che l'umanità avrebbe sperimentato di lì a poco, con lo scoppio della prima guerra mondiale. In questo affresco, Florian Illies rende vivo un anno che racchiude in sé un momento di massima fioritura e il preludio dell'abisso. Così l'incontro con Felice Bauer libera la potenza creativa del trentenne Franz Kafka; Stravinskij e Schönberg danno scandalo con le loro composizioni; a Milano fa la sua comparsa il primo negozio di Prada; Marcel Duchamp avvitando la forcella rovesciata di una ruota di bicicletta su uno sgabello da cucina compie la grande rivoluzione concettuale del Novecento; Sigmund Freud e Rainer Maria Rilke passeggiano per le vie di Monaco; un arguto quindicenne di nome Bertolt Brecht scrive su una rivista studentesca ad Ausburg ed Ernst Ludwig Kirchner dipinge la sua personale visione di Potsdamer Platz a Berlino. E a Monaco, in Baviera, un uomo venuto dall'Austria colora cartoline illustrate cercando di vendere le sue ingenue vedute della città. Si chiama Adolf Hitler.
Nei testi che qui presentiamo Illich, paziente e instancabile archeologo del sapere, scava alle radici dei luoghi comuni della modernità per riesaminarli in una prospettiva storica. "Solo nello specchio del passato risulta possibile riconoscere la radicale alterità della topologia mentale del ventesimo secolo e divenire consapevoli dei suoi assiomi generativi, che normalmente rimangono oltre l'orizzonte dell'attenzione dei contemporanei". Affrontando questi temi, Illich ci stimola a pensare il presente e il futuro con una consapevolezza nuova: "La mia é una ricerca della politica dell'autolimitazione, grazie alla quale il desiderio possa fiorire e i bisogni declinare".