
L'esilio rappresentò un'esperienza comune durante il Risorgimento, e fu parte integrante nella costituzione dell'identità nazionale italiana. Maurizio Isabella esplora il contributo al patriottismo italiano di numerosi rivoluzionari italiani che dovettero abbandonare la penisola all'inizio della restaurazione, a seguito del fallimento delle cospirazioni e dei moti del 1820-21. A Londra, Parigi o a Città del Messico, esuli noti come Ugo Foscolo o Santorre di Santarosa, e altri meno conosciuti, entrarono in contatto con patrioti e intellettuali stranieri e discussero questioni politiche che influenzarono la loro cultura e il loro modo di concepire la questione italiana. Il coinvolgimento degli emigrati italiani in dibattiti con intellettuali britannici, francesi e ispano-americani dimostra quanto liberalismo e romanticismo politico fossero ideologie internazionali condivise da una comunità di patrioti che si estendeva dall'Europa alle Americhe. Il volume rappresenta il primo tentativo di inserire il patriottismo italiano in un ampio contesto internazionale. Facendo suoi gli strumenti e le metodologie della world history, e della storia intellettuale internazionale, Maurizio Isabella rivela l'importanza e l'originalità del contributo italiano a dibattiti transatlantici sul federalismo democratico. Risorgimento in esilio ha ricevuto il secondo premio per il miglior libro di storia non britannica di storico esordiente per il 2009 dalla Royal Historical Society...
Un libro classico e attuale insieme. È un classico in quanto primo studio rivoluzionario sulla nascita del sistema di pensiero dell'antigiudaismo. È attuale in quanto queste false idee tendono oggi a ripresentarsi, sia in alcuni paesi, sia nei rigurgiti di nazionalismo e di tradizionalismo, così come nelle polemiche contro il rinnovamento della chiesa cattolica e contro il dialogo interreligioso. Isaac dichiara che è «un libro di passione»: fu iniziato infatti nel 1943, nel pieno della furia nazista, e scritto «di rifugio in rifugio». Si occupa delle origini, gli anni che vanno dal paganesimo alle Crociate dell'anno Mille, epoca in cui l'antisemitismo si è definitivamente radicato nel mondo cristiano. L'autore affronta il suo tema (come mai «cristianesimo e giudaismo, nati dallo stesso nucleo biblico, siano arrivati a quest'asprezza di odio reciproco»?) da più punti di vista: storico, teologico, scritturale e anche, diremmo, mass-psicologico. È oggi unanimemente riconosciuto che Gesù era un ebreo, e agiva nell'ambito di quella cultura e quella religione cui apparteneva. Parimenti è riconosciuto come falso che gli ebrei, e non i romani, fossero stati artefici della passione e della morte di Gesù. Eppure, secondo Isaac, l'antisemitismo si basa su queste falsità: Gesù antiebraico, ebrei nemici di Gesù. Una ostilità inesistente nei primi anni giudeo-cristiani e costruita tempo dopo forzatamente. Indagando storia e testi, Isaac scopre che l'antisemitismo cristiano ha un'origine ecclesiale e non popolare. I padri della Chiesa tra III e V secolo hanno contro gli ebrei parole di una violenza anticipatrice delle offese future. È così che cominciano a essere diffusi tra le masse i due fattori su cui per sempre si costituirà l'odio antigiudaico: «l'insegnamento del disprezzo» e il «sistema dell'umiliazione»; saranno questi due elementi a fondare una specie di subconscio antisemita dei cristiani, ceppo di tutte le persecuzioni. Un saggio agile con una scrittura polemica e piena di vivaci variazioni stilistiche.
Riemersi da un millenario oblio nel Rinascimento, gli etruschi hanno rappresentato negli ultimi secoli una materia di studio tanto affascinante quanto sfuggente. Questioni ancora in parte insolute, quali le origini di questo popolo o la sua lingua, si affiancano alla tangibile bellezza dei dipinti e delle sculture, provenienti soprattutto dalle necropoli, e agli innegabili contributi culturali e artistici ereditati dalla civiltà romana. L'autore ci guida nell'esplorazione di un mondo che già i contemporanei avevano giudicato con un misto di meraviglia e riprovazione, in particolare per uno stile di vita non esattamente conforme ai canoni "classici" di stampo greco-romano, basti pensare all'emancipazione della donna. L'uno dopo l'altro sfilano gli aspetti salienti della civiltà etrusca, dall'arte alla religione, dall'economia alla politica, dalla società ai costumi; ambiti nei quali riscontriamo piccole o grandi singolarità da cui emerge una chiave di lettura alternativa dell'Antichità. Sospesi fra una vitalità e una passione per la natura senza eguali, e una fatale attrazione verso la morte, individuale e di tutta la loro civiltà, gli etruschi risultano un soggetto quanto mai attuale.
Nell'ultimo ventennio, soprattutto in seguito all'opera di Edward Said e al suo libro "Orientalismo", gli studiosi dell'Oriente sono stati accusati di lavorare, più o meno consapevolmente, a sostegno della causa imperialista e del colonialismo occidentale. Una visione che ha appiattito su una dimensione geopolitica la ricchezza di un campo di ricerca animato sin dall'antichità greca, da una sete di conoscenza e da una attrazione verso popoli e civiltà percepiti come "altri" e capaci di una forza di seduzione irresistibile. Robert Irwin riscrive, la storia dell'attrazione verso Oriente, passando da Erodoto a Euripide, da Platone e Aristotele alla Scolastica al Rinascimento, dal secolo dei Lumi a quello delle industrie, fino ad arrivare alle dispute del presente. E questa nuova storia tocca gli ambiti più diversi del sapere: letteratura, religione, filologia, politica, cultura scientifica. Lontano da ogni preconcetto ideologico, si dipana lungo queste pagine il filo di un'ossessione che ha accomunato una molteplicità di uomini, prima ancora che di studiosi. E in filigrana, compaiono anche le vicende dei tanti nemici che l'orientalismo da sempre fronteggia: coloro che interpretano l'ineludibile alterità di quelle civiltà come ostacolo alla conoscenza e all'incontro, ma anche coloro che più subdolamente impediscono qualsiasi discorso sull'Oriente dicendosene paladini contro le distorsioni dell'Occidente.
«I vinti, le forze cioè della sinistra, sconfitte il 18 aprile, hanno, più dei vincitori, contribuitoad offrire una immagine complessiva di quegli anni,una immagine che è diventata elemento di cultura media che è filtrata fin nei rapidi accenni che si leggono alla fine dei manuali scolastici nelle poche pagine dedicate all'Italia del secondo dopoguerra». (Pietro Scoppola)
«Noi comunisti ci siamo accorti che saremmo stati probabilmente sconfitti alle elezioni del 18 aprile quando, nel mese di febbraio, abbiamo visto scendere in campo i Comitati Civici e svolgere quel lavoro capillare che fino ad allora avevamo fatto soltanto noi». (Massimo Caprara)
Queste due citazioni, rispettivamente di un cattolico democratico, storico e senatore dc, e dell'ex segretario di Palmiro Togliatti, per decenni deputato comunista prima di approdare alla fede dopo un lungo itinerario spirituale e intellettuale, danno la misura di quanto è avvenuto dopo il 18 aprile 1948, quando in Italia si svolsero le elezioni politiche più importanti nella storia del Paese, che segnarono la volontà del popolo di appartenere alla civiltà occidentale, democratica e cristiana.
Ma il libro curato da Marco Invernizzi - che riunisce gli atti di un convegno organizzato a Milano dall'Istituto per la Storia dell'Insorgenza e per l'Identità Nazionale - ci porta all'interno dell'evento, esaminandone le forze protagoniste, sia religiose e culturali, sia politiche, offrendo la possibilità al lettore di farsi una prima impressione del significato di quella giornata elettorale e aprendo uno squarcio su alcune verità taciute per decenni da una storiografia succube degli interessi politici, come il ruolo dei Comitati Civici, l'opera svolta dal cardinale Schuster, le vicende del mondo azionista (pp. 360).
Dopo il volume 18 aprile 1948. L’«anomalia» italiana (Edizioni Ares, 2007), l’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale (Isiin) continua nella sua opera di rivisitazione della storia dell’Italia moderna e contemporanea con questo Dal «centrismo» al Sessantotto, che affronta il ventennio successivo alla svolta del 18 aprile 1948, tanto importante quanto dimenticata, quei vent’anni che precedono e preparano la rivoluzione culturale del Sessantotto.
È il periodo dei governi centristi, della «legge truffa», delle «missioni» popolari dell’Azione Cattolica, del boom economico e della «dolce vita», della «Lambretta» e della Seicento, della comparsa della Tv; ma sono anche gli anni che preparano il Sessantotto con la violenza della «piazza rossa» a Genova, nel luglio 1960, con l’omicidio politico e morale del governo Tambroni e del suo Presidente, con i primi governi di centro-sinistra, con la penetrazione della mentalità laicista nella cultura e nel costume; infine, è il tempo in cui si verifica l’avvenimento più importante nella vita della cristianità del XX secolo, il Concilio ecumenico Vaticano II, con la sua duplice e contrastante interpretazione.
Il volume affronta tutti questi temi e molti altri e permette di cogliere quanto radicale sia stato lo scontro culturale nel periodo ’48/’68 e quanto profonda sia stata la scristianizzazione della vita pubblica del nostro Paese.
Quando il Sessantotto esploderà, per comprenderne le origini e la portata, sarà necessario tornare indietro nel tempo, e soffermarsi a riflettere su questo ventennio della storia italiana.
Un antico pregiudizio incombe sulla vita culturale di Roma nel Trecento. Abbandonata dai papi, in questo periodo stabili ad Avignone, la città è considerata dai più come un luogo decadente, privo di fermento; a volte come una sorta di centro minore rimasto ai margini delle più rinomate Firenze e Padova, culle dell'Umanesimo, altre volte persino come un deserto, rinverdito dai due soli nomi di Francesco Petrarca e Cola di Rienzo. Ripartendo dalle fonti coeve e dialogando con la storiografia più recente, questo libro si propone di restituire all'Urbe la vivacità culturale che le apparteneva, portando alla luce gli eventi, i gruppi, gli individui, i libri, le letture e le scritture che andavano a comporre un panorama complesso, variegato e in fondo non così distante da quello dei più noti centri di cultura dell'Italia comunale e signorile.
Il volume racconta la storia del corpo dei kamikaze giapponesi, dalla nascita fino allo scioglimento con l'harakiri del comandante, l'ammiraglio Takijiro Onishi, il 15 agosto 1945. Ideati per supplire all'inferiorità delle forze navali e aeree avevano come obiettivo la missione suicida di ogni pilota contro una portaerei nemica. La spaventosa intensità delle missioni suicide contò alla fine oltre 1900 attacchi, la maggior parte dei quali ebbe luogo tra il 6 e il 7 aprile 1945, con ben 355 aeroplani distrutti. Raccolte a fine volume le struggenti lettere di congedo alla famiglia di tanti giovani piloti, mandati a morire per una guerra già persa.