
La guerra partigiana in Jugoslavia, combattuta tra 1941 e 1945, viene raccontata in questo volume dal punto di vista di chi la visse da protagonista. È il diario di Milovan Djilas, figura chiave del movimento di Liberazione e della scena politica jugoslava nel secondo dopoguerra. L'autore rievoca con grande efficacia eventi di alta drammaticità, approfondendone la lettura con un sapiente lavoro di introspezione psicologica unito a una lucida analisi politica.
Ormai da diversi secoli la legge del taglione e il criterio dell'"occhio per occhio" vengono considerati espressioni di una cultura barbarica e orripilante, per fortuna quasi ovunque superata. Una volta esorcizzato, il fenomeno è però lontano dall'essere compreso, sia storicamente che teoricamente. L'"antiteoria della giustizia" proposta da William lan Miller abbandona le mere astrazioni alle quali ci aveva abituato la filosofìa politica degli ultimi decenni e considera "occhi, denti, mani e vite" come concrete e precise unità di misura per pareggiare i conti, per ristabilire gli equilibri personali e sociali violati e per evitare l'anarchia dello scatenarsi di rappresaglie indiscriminate ed eccessive.
Alla fine dell'estate del 1683 il sultano Maometto IV decide di dare l'assalto a Vienna, capitale del Sacro Romano Impero. Non è il primo assedio ottomano alla città: già 154 anni prima il sultano Solimano il Magnifico e i suoi 120.000 uomini avevano attaccato la città, ma non erano riusciti nel loro intento. Nel settembre del 1683 le schiere islamiche ritornano sotto le mura di Vienna e conquistano subito le fortificazioni esterne. Il 12 settembre Jan III Sobieski e Carlo Sixte di Lorena, alla testa di un esercito cristiano di liberazione, affrontano gli Ottomani sui monti di Kahlenberg e li sconfiggono in una drammatica battaglia. Questo libro racconta i particolari della campagna che segnò l'inizio della decadenza ottomana nell'Europa.
Roma, 1° novembre 1922. Sono passate solo poche ore dalla marcia su Roma, e il neo-presidente del Consiglio Benito Mussolini promette l'immediata smobilitazione di tutte le squadre in nome del ripristino più rigoroso dell'ordine pubblico. In realtà, la conquista del potere non segna affatto la fine dello squadrismo né della violenza. Sia che vengano arruolati nelle unità della nuova Milizia Volontaria oppure che agiscano sotto le spoglie dei circoli rionali o dei gruppi sportivi, gli squadristi continuano a giocare un ruolo decisivo nella scena politica italiana. E quando il regime, anche per merito delle sue camicie nere, sarà abbastanza forte da imporre una dittatura a viso aperto, squadrismo e violenza non verranno mai meno. Attraverso il ricorso a nuove fonti, questo libro propone una visione innovativa del ruolo dalla violenza squadrista negli anni centrali della dittatura mussoliniana. Le vicissitudini dei protagonisti dello squadrismo sono indagate a tutto tondo: dalle camicie nere condannate al confino di polizia, al pari dei tanto odiati antifascisti, a coloro che sulla pratica della violenza e sul mito dello squadrismo hanno scommesso tutta la loro vita.
In una ricostruzione che si avvale di lettere, diari e documenti inediti, Raffaela Milano attraversa i primi decenni del Novecento per raccontarci la vita di una donna rivoluzionaria che ha sfidato il suo tempo in nome di un unico principio - "Salvarne il più possibile".
Nel 1919 in Europa si muore di fame. La guerra è finita, ma il blocco degli aiuti alimentari imposto dai vincitori ai Paesi dell'Europa centrale prosegue. Solo in Germania si contano settecentomila morti per denutrizione, e ovviamente i bambini sono i più colpiti. "Non posso avere nemici che abbiano meno di sette anni" dichiara George Bernard Shaw quando quello stesso anno aderisce al Fight the Famine Council, il comitato inglese che nasce per aiutare i Paesi sconfitti. L'anima del comitato è Eglantyne Jebb, una giovane insegnante che di lì a poco fonderà Save the Children. La "fiamma bianca", la chiamano i suoi amici: "Un viso che fa parlare l'anima e la voce delicata, senza clamore, che si fa ascoltare da tutti, e che non sa dire altro che la verità". All'evento di presentazione della nuova organizzazione, il pubblico arriva armato di mele marce da tirare in faccia ai "traditori": l'Inghilterra ha perso nella Grande Guerra mezzo milione di uomini sotto i trent'anni, non è il momento di occuparsi dei nemici, né dei loro figli. Eglantyne però è una combattente straordinaria e, nonostante il patriottismo cieco che prevale su tutto, raggiunge dei risultati che ancora oggi appaiono impensabili. "Le donne sono in grado di cambiare l'intero corso della storia del mondo" ha scritto Eglantyne. E lei ci ha davvero provato. In una ricostruzione che si avvale di lettere, diari e documenti inediti, Raffaela Milano attraversa i primi decenni del Novecento per raccontarci la vita di una donna rivoluzionaria che ha sfidato il suo tempo in nome di un unico principio - "Salvarne il più possibile" - e che nel 1924 getterà le basi della Dichiarazione dei diritti del fanciullo: non per il suo buon cuore, ma perché è un investimento per il futuro. Con un occhio al presente, perché molto di quello che racconta ha a che fare con le emergenze del mondo di oggi.
Il 10 ottobre 1941, nel corso della Conferenza di Praga voluta da Reinhard Heydrich, Reichsprotektor di Boemia e Moravia, i nazisti istituiscono il ghetto di Terezín, che con il tempo verrà a costituirsi quale «laboratorio diabolico» a servizio della propaganda di regime. Nei quattro anni di funzionamento vengono internate circa 140.000 persone, tra loro 15.000 bambini. Al momento della liberazione gli adulti sopravvissuti sono 3800, i bambini 142. Nel «ghetto modello» creato dai nazisti si tengono 2430 conferenze, 600 spettacoli teatrali e musicali e si allestiscono i laboratori d'arte per bambini. Leggere l'universo Terezín, definito «fucina di cultura» da Chaim Potok, significa conoscere una realtà di fame, violenza, morte e orrore, ma soprattutto riscoprire la forza vitale della dignità umana, della cultura come valore, dell'educazione come responsabilità.
In un'epoca come la nostra, che vede il ritorno di espressioni che apparivano ormai consegnate ai libri di storia come le "guerre di religione", gli "Stati canaglia", le "centrali internazionali del terrore", gli "attacchi preventivi" e il conseguente moltiplicarsi dei più disparati fronti di guerra in ogni parte del mondo, ha senso interrogarsi con più determinazione sul nostro passato chiedendo consiglio a quanti, prima di noi, hanno personalmente conosciuto il disastro delle ideologie e dei conflitti armati. Mario Rigoni Stern e Hermann Heidegger hanno vissuto da protagonisti uno dei momenti decisivi della seconda guerra mondiale: la campagna di Russia, la ritirata e la sconfitta dell'Asse. La loro voce si mescola a quella di altri reduci, soldati qualunque travolti dalle dimensioni epiche della tragedia che stavano vivendo, per riportarci in presa diretta nel pieno della storia. Storie vere che raccontate da testimoni profondamente diversi per cultura, formazione e sensibilità hanno prodotto memorie "non condivise" pur combattendo sullo stesso fronte contro lo stesso nemico. Questo libro ci parla dunque della memoria, di come debba essere coltivata e tramandata, ma anche della sua complessità. Il lettore potrà ascoltare il rumore dei passi nella neve sia di "grandi solitari" che ha imparato ad amare in racconti e romanzi, sia di uomini semplici travolti da eventi destinati a segnare la storia umana.
26 gennaio 1943. A Nikolaevka, sul fronte russo, si svolge una battaglia memorabile: per riportare a casa ciò che resta dell'armata italiana in Russia, il corpo degli alpini deve superare undici sbarramenti, vere e proprie cinture infernali strette da un avversario superiore per uomini e mezzi. Degli oltre 200.000 uomini che erano partiti dall'Italia con la prospettiva di contribuire a una facile vittoria, poco più della metà tornerà in patria dopo sofferenze e traversie indicibili. Il volto umano e drammatico di questa epopea viene riportato alla luce grazie a molteplici e inediti punti di vista; dal semplice artigliere all'ufficiale, dal pilota d'aereo al maniscalco, dall'autiere al fante in servizio postale. Testimonianze che fanno emergere con vigore i lati oscuri come le punte di eroismo e di solidarietà che hanno fatto della ritirata di Russia il corrispettivo italiano dell'Anabasi di Senofonte. Una vicenda di straordinario significato umano, prima che militare e politico, che ha segnato il destino d'Italia e d'Europa.
La campagna di Russia e la disastrosa ritirata dell'Armir raccontate attraverso le vere storie di una ventina di uomini che vi hanno partecipato in unità e con gradi differenti. Seguiamo questo piccolo plotone nei mesi precedenti alla spedizione e poi durante la partenza; vediamo i protagonisti insediarsi sulle rive del Don, tra difficoltà logistiche e insensatezze strategiche. Conosciamo armi, dotazioni, uniformi dei nostri. Assistiamo alla progressiva demoralizzazione di fronte alla superiorità russa per uomini e mezzi e poi alla ritirata a piedi per centinaia di chilometri con quaranta gradi sotto zero. Il sapore è quello della verità cruda che mescola coraggio e codardia, crudeltà e umanità. Una visione capace di riassumere gli accadimenti della storia a un'altezza d'uomo che rende possibile percepirne i dettagli.
Le vicende politiche e civili delle città dell'Italia centro-settentrionale dalla fine dell'XI all'inizio del XIV secolo: le loro relazioni con gli altri poteri, il papato, l'impero, le signorie; gli sviluppi istituzionali, le tensioni sociali e le evoluzioni amministrative in duecento anni cruciali nella storia italiana.